Longobucco

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Valico internazionale del Brennero -anni 69/71
Com’era la vita in questo Reparto tra il servizio e il tempo libero
“ Finanziere, La Rosa, (cito un nome a caso), vai a vedere se sul treno merci nr 5719( nr. di fantasia), c’è l’ultimo carro in coda”. Questi di buon grado obbediva e si accingeva a verificare quanto richiestogli. Senza pensare che era un ordine assurdo. Certo che esiste sempre un ultimo carro in coda al treno merci! Questo era lo scherzo frequente che veniva messo in atto al “valico ferroviario”soprattutto di notte, nei momenti in cui vi era poco da fare. I poveri malcapitati erano quei finanzieri trasferiti da poco al Reparto.
Durante la mia permanenza al Passo del Brennero, quindi, ci sono stati anche momenti di svago e divertimento, nonostante il gravoso servizio cui eravamo sottoposti quotidianamente nei vari luoghi in cui eravamo demandati: valico stradale, ferroviario e riscontro. Il riscontro era eseguito appena fuori degli spazi doganali ed era esclusiva competenza della Guardia di Finanza, mentre gli altri erano in collaborazione con gli uffici doganali.
I turni al Valico erano abbastanza pesanti. Nell’arco delle 24 ore erano cosi distribuiti: 0/6, 6/12,12/18, 18/24 con 12 ore di riposo a distanza uno dall’altro. C’erano tuttavia momenti che per lenire le fatiche sopportate si architettava qualche scherzo. Quelli presi di mira maggiormente erano i nuovi arrivati.
In quel periodo, un personaggio singolare si aggirava a volte negli spazi doganali, facendo visita alla “Caina” che era in servizio.
La sua presenza era tollerata in quanto dava un momento di allegria e spensieratezza. La chiamavamo Maria “La Fulminata” e penso che coloro i quali sono stati al Brennero hanno avuto modo di conoscerla. Si diceva che fosse donna di “costumi abbastanza facili” ma non posso commentare e giudicare il suo comportamento. Quelle volte che ho avuto modo di dialogare con lei anche se teneva un atteggiamento frivolo e scherzoso, questo era sempre nei limiti della correttezza.
Devo riconoscere che i componenti di questo reparto svolgevano i loro compiti sempre con attenzione, abnegazione, competenza e molto senso del dovere. Nei miei turni di capo drappello dei servizi espletati ai Valichi sia stradale che ferroviario, non ho mai avuto nei confronti di questi militari problemi di ordine disciplinare. Rare volte gli Ufficiali dovevamo intervenire per infliggere punizioni. Avevamo anche frequenti ispezioni effettuate da Superiori comandanti di Gruppo e di Legione, sia di giorno che di notte. Ce n’era uno in particolare che non perdonava. Se non eri al tuo posto di servizio erano dolori.
Ho avuto occasione di trovarmi varie volte a patire le sue ispezioni. “Bene brigadiere come va”? “Comandante che vuole che le dica fa un po’ freddo”. C’erano dai 15 ai 20 gradi sottozero ed io ero in mezzo alla strada ad occuparmi dei controlli agli autotreni TIR, invece di stare dentro la garitta, riscaldata con una piccola stufetta a gas ma nonostante questo, i vetri erano ricamati dal gelo a causa della bassissima temperatura. Mi riferisco al posto particolare denominato “Riscontro”.
Chi è stato in quegli anni in Alto Adige sicuramente saprà di chi parlo.
Ricordo solamente di episodio occorso ad un mio collega vicebrigadiere. Uscito di pattuglia in perlustrazione nelle montagne circostanti al Brennero, subì un controllo dal nostro comandante di compagnia. Successe un qualcosa di anomalo, nel senso che se non ricordo male, non fu trovato nel posto in cui doveva essere ad un orario prestabilito. Per tale inottemperanza gli furono dati diversi giorni di C.P.R.(Camera di Punizione di Rigore). Questo gli causò un notevole ritardo nell’avanzamento al grado superiore. Rimase vicebrigadiere per diversi anni oltre il tempo stabilito per avanzare a brigadiere.
Ricordo invece, un altro momento, questa volta positivo, che accadde proprio nel periodo in cui ero in quel Reparto.
C’era un finanziere: Rosaci, non mi sovviene il suo nome, di origine calabrese che aveva un fiuto pazzesco nell’individuare merce occultata di contrabbando.
Una volta scoprì un autotreno TIR con un doppio fondo nel quale erano contenute sigarette di tabacco lavorato estero (t.l.e.). Successivamente individuò un intero vagone ferroviario sempre con merce analoga. Eppure di fronte questi risultati ottenuti era sempre al suo posto di servizio e lo assolveva con serietà, modestia e competenza, senza vantarsi dei significativi risultati ottenuti.
Eravamo costantemente impegnati, comunque avevamo anche le nostre ore di libertà
Al Brennero non è che ci fosse una grande attrazione o svago, tranne che entrare in uno dei pochi locali pubblici per prendere un caffè, qualcosa da bere o fare qualche spuntino. Se non ricordo male, il lunedì e il giovedì, c’era una specie di mercatino, frequentato specialmente da austriaci e tedeschi. Mi è rimasta impressa la colazione che facevano queste persone a base di cappuccino e affettati: salame, prosciutto o mortadella. Che dire questo tipo di colazione per noi italiani non è che piacesse molto, tuttalpiù la colazione la si faceva con brioche e cappuccino oppure con un caffè. Ma come dire, paese che vai usanze che trovi.
Tornando al nostro tempo libero, lo sfruttavamo scendendo dal Brennero nei paesi situati in fondo valle: Colle Isarco, Vipiteno, Fortezza, in Val Pusteria, a Brunico. A volte ci spingevamo fino a Bolzano distante circa 80 chilometri. Questo quando le condizioni climatiche lo permettevano in quanto durante i mesi invernali la neve scendeva copiosa ed era arduo affrontare la strada, anche se costantemente gli spazzaneve funzionavano regolarmente, spargendo il sale sul manto stradale.
Chi aveva la passione dello sci, specialmente nel periodo invernale, di solito raggiungeva una delle mete più vicine. Questa era la località sciistica di “Monte Cavallo” nei pressi di Vipiteno.
A me non tanto attirava il fatto di andare a sciare e quando riuscivo ad accumulare due giorni di permesso, prendevo la mia Fiat 1100R e andavo a Marghera (VE) a trovare la mia famiglia e i miei amici. Di solito partivo finito il turno 18/24. Dopo mezzanotte quindi mi mettevo in macchina e cominciavo a percorre la strada per arrivare a Bolzano, Trento. Lì mi immettevo nella statale 47 – Valsugana – attraversavo i paesi di Levico Terme, Borgo Valsugana, Bassano del Grappa, Padova ed infine arrivavo a Marghera, dopo quasi 5 ore di viaggio. A volte a metà percorso dovevo fermarmi per fare un pisolino per non andare fuori strada a causa di qualche colpo di sonno.
Di solito approdavamo a Vipiteno (Sterzing) in tedesco. Si andava a vedere qualche film al cinema e frequentare qualche locale dove si ballava oppure andare a mangiare qualcosa nei locali tipici altoatesini. Mi piaceva e mi piace tuttora gustare le uova con lo speck. Generalmente si scendeva in compagnia di qualche altro collega sottufficiale con i quali si aveva un rapporto di amicizia. C’era però una cosa strana che notavamo, l’assenza dei finanzieri nonostante anch’essi avessero i loro momenti di libera uscita. Ci ponevamo questa domanda : “ Ma dove va la «Caina» quando hanno i permessi?” Nel nostro gergo la Caina erano tutti gli appartenenti al nostro Corpo.
Ma scoprimmo l’arcano. Per svelarlo è necessario fare un passo indietro.
All’epoca in cui prestavo servizio, gli echi degli attentati terroristici, ancora non erano spenti. Si parlava spesso della tragedia avvenuta a Malga Sasso, un distaccamento nostro, proprio sopra le montagne del Brennero. Nell’esplosione avvenuta il 9 settembre 1966, alle ore 11.30 del mattino che distrusse la caserma, persero la vita,, il tenente Franco Petrucci, il vicebrigadiere Herbert Volgger e il finanziere Martino Cossu.
Nella soffitta della nostra caserma ancora erano piazzate le mitragliatrici ed i sacchetti di sabbia. La caserma era sorvegliata giorno e notte. Di notte una sentinella vigilava davanti al portone dell’edificio. D’inverno a causa del freddo intenso il suo equipaggiamento era: cappotto di scolta e scarponi adeguati, per non rischiare il congelamento dei piedi. Il turno durava solo mezz’ora.
In conseguenza di questa situazione, per noi appartenenti dalla Guardia di Finanza, ci era stato fatto divieto di espatriare in Austria. Non so da dove provenisse questa disposizione e chi l’avesse emanata, sta di fatto che per noi esisteva questo divieto ma non per i Carabinieri. Questa situazione non è che ci piacesse molto ma come militari dovevamo osservarla, pena qualche provvedimento disciplinare.
Fortunatamente con i Carabinieri preposti al controllo passaporti avevamo buoni rapporti e con qualcuno di loro avevamo instaurato un buon legame.
Accadde quindi che un brigadiere dell’Arma, con il quale avevamo fatto amicizia, invitò me e il collega Addari, mi pare che il suo nome fosse Igino, a fare un giro a Innsbruck, in Austria. Questa era una delle prime località oltrepassato il confine . Ci assicurò che non ci sarebbero stati problemi in quanto erano loro responsabili per il controllo all’espatrio. Siamo saliti quindi a bordo della sua auto in direzione dell’Austria. Dopo aver preso l’autostrada, attraversato il ponte Europabrucke, uno dei più alti di Europa, con i suoi 190 metri di altezza, siano giunti a Innsbruck. Era la prima volta che espatriavo e che mi trovavo in questa tipica cittadina, capitale del Tirolo Austriaco. Il collega carabiniere ci propone, come prima alternativa, di andare a mangiare al Wienervald il galletto con le patatine fritte, accompagnato da un bel bicchiere di birra scura. Questo era un locale molto rinomato. Abbiano accettato. La scelta è stata azzeccata perché non avevo mai mangiato una pietanza così gustosa. Dopo questo il collega carabiniere avanza l’idea di recarci allo Schindler, una discoteca che per l’epoca era molto frequentata. Una volta entrati, ecco scoperto l’arcano di cui avevo fatto cenno. Con nostra grande meraviglia mia e del collega, abbiamo constatato dove stava tutta la “Caina”. A ballare allo Schindler! Ci siamo guardati in faccia io e Addari increduli di fronte a quella apparizione. Il carabiniere, come se nulla fosse accaduto, non prese parte. Sicuramente era al corrente della situazione ma non ne fece cenno e non commentò. Ci siamo chiesti : “Ma questi qua in che modo e con quale stratagemma usano per espatriare, considerato i divieti che ci sono in atto. Ecco il motivo per cui a Vipiteno non si vedeva l’ombra di nessun finanziere. Molto probabilmente questi ragazzi con la compiacenza dei colleghi carabinieri o di qualcun altro loro amico, riuscivano ad espatriare, logicamente rischiando problemi di natura disciplinare ma tant’è che il segreto era stato svelato.
A mio rischio e pericolo, dopo quella volta ci sono andato ancora in Austria anche con la mia Fiat 1100R. Avevo scoperto un passaggio che dall’Italia portava in Austria. Anche a distanza di quasi cinquant’anni ho ritrosia a rivelare come eludevo i controlli all’ espatrio. Incoscienza giovanile? Magari le superiori gerarchie erano conoscenza ma lasciavano fare? Mah! Sta di fatto che non ero il solo, molti di noi si avventuravano, al di là del confine, finanzieri semplici e graduati. Comunque eravamo così accorti che per tutta la mia permanenza al reparto non successe mai nulla. “La CAINA!”
Mi piaceva troppo ritornare al Wienervald e gustare il pollo con le patatine fritte o fermarmi ai chioschi ambulanti e mangiare il panino con il wurstel alla senape o con lo speck, pane nero di segala e birra scura. Andare allo Schindler e trascorrere qualche ora in mezzo a tanta gioventù e fare incontri soprattutto con le ragazze . Nonostante i problematici rapporti con l’Austria non era difficile avere conoscenze femminili. Conosco colleghi che si sono uniti in matrimonio proprio con delle donne austriache.
Scherzo attraverso un falso fonogramma di trasferimento immediato al brigadiere Longobucco.
Varie volte con il collega Longobucco di cui non ricordo il nome ci fiondavamo in Val Pusteria nella cittadina di Brunico. Avevo fatto amicizia con questo collega anche lui sottufficiale, di origine calabrese. Il motivo per il quale ci spostavano a Brunico era perché lui proveniva proprio da quel reparto prima di essere trasferito al Brennero e quindi aveva ancora delle conoscenze, amici ed amiche che desiderava andare a trovare. Da solo non gli piaceva e chiedeva sempre la compagnia di qualcuno, me compreso.
Longobucco era una “macchietta” simpatico, allegro, disponibile e amico con tutti, al punto che una volta decidemmo di fargli uno scherzo. Fu scritto un falso fonogramma nel quale vi era indicato che il sottufficiale doveva essere trasferito con effetto immediato alla Brigata della Guardia di Finanza di Tubre, in Val Venosta, provincia di Bolzano, distante circa 170 chilometri e a due ore e mezza di automobile dal Brennero.
Letto il messaggio Il povero ragazzo non sapeva che pesci prendere, era sbigottito da quell’ordine. Dovette in fretta e furia raccogliere tutta la sua roba, metterla in valigia, nel baule, e caricarla nella sua auto. Salutò tutti gli amici, salì in macchina e stava per partire per la nuova destinazione quando lo fermammo, facendogli capire, che non era niente vero e che gli avevamo fatto uno scherzo, mostrandogli il falso fonogramma. Tutti quelli che stavano davanti al portone della caserma andati per salutarlo non finivano di sbellicarsi dalle risate, al punto che anche lui tralasciò tutta l’ansia che aveva in corpo e si mise a ridere, mandandoci tutti “a quel paese”.
Il momento di lasciare il Reparto per essere destinato ad altra sede è giunto dopo più di due anni di permanenza.
A distanza di circa mezzo secolo affiorano dai meandri della mia mente alcuni nomi dei centocinquanta componenti la Compagnia del Brennero tra finanzieri sottufficiali ed ufficiali. Brigadieri: Addari Igino, Sorgente, Cardinale, Feroce, Vezzali, Soro, Ausiello, Senatore, Lorenzi. M.llo capo La Franca Domenico. Finanzieri: Petrella, Angius, Amodeo, Gronchi Nirvo, Stano Claudio. Ufficiali: Cap: Stanca comandante la Compagnia, tenenti: Ferro, Scaramuzzino, De Martina.
Chiedo scusa per tutti gli altri che non ho nominato. Il tempo è tiranno. Come un manto di neve che copre le montagne intorno al Valico, lo stesso ha coperto anche i loro nomi dalla mia mente. Nel profondo del mio animo però ci sono tutti. Con loro ho condiviso sia gioie e spensieratezza giovanile che tristezza. Persone che hanno vissuto insieme a me momenti di vita singolare, sia per l’appartenenza alle Fiamme Gialle sia per aver condiviso con me il sacrificio di un lavoro importante, al servizio della collettività. Un doveroso ricordo anche a quelli che hanno dato la propria vita nell’adempimento del dovere.
Giuseppe Abbaterusso

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Ispezione

Confine Italo-Austriaco

Valico internazionale del Brennero -anni 69/71

Ispezione
Ci viene comunicato che è prevista una ispezione alla Compagnia del Brennero da parte del Comandante Generale. All’epoca in cui vi prestavo servizio era il generale Raffaele Giudice.
Comandante di Corpo D’Armata a tre stelle, proveniente dall’Arma di Fanteria.
In quel periodo i comandanti generali della G.di F. provenivano ancora dall’Esercito. Solamente il 26 maggio 2010 la Commissione difesa del Senato approvò il disegno di legge che permise di nominare quale Comandante del Corpo un generale di corpo d’armata proveniente dalla stessa Guardia di Finanza.
Bene, per il giorno indicato, tutti i componenti della caserma, sono stati riuniti nella sala più grande della caserma per rendere omaggio alla visita dell’ufficiale superiore. Furono esclusi  quelli comandati di servizio nei luoghi previsti: valico stradale, valico ferroviario, entrambi in  entrata ed uscita dalla Stato, il servizio di riscontro e quello negli spazi doganali.
Il tempo trascorreva e il generale non arrivava. Com’era consuetudine in queste circostanze ci si preparava molto tempo prima e l’attesa provocava non poco disagio da parte del personale. Si doveva rimanere inquadrati pronti per scattare al comando dell’ “Attenti”, dato dal comandante del reparto, in onore all’ospite. Così, chiusi in questa sala, si aspettava pazientemente questo evento. Alla fine il generale arrivò. Fu accolto all’ingresso della caserma e salutato militarmente, da un drappello di finanzieri, comandato da un ufficiale, come di norma ci si comporta in circostanze del genere. A questo punto è iniziata la visita del Generale ai locali del reparto ma non si capisce per quale motivo non fu messo al corrente che tutto il personale si trovava rinchiuso nello stanzone ad attenderlo. Dopo aver ispezionato vari luoghi, si imbatte davanti alla porta di questo locale e aprendola, si trova di fronte tutti i componenti del reparto schierati. Vedendo questa moltitudine di persone  e rivolgendosi al suo seguito composto sia dai suoi, accompagnatori che dagli ufficiali responsabili del reparto: un capitano e due tenenti esordisce chiedendo:
“Ma che fa tutta questa gente qua?”
Attimi di silenzio…ma non c’è stato nessuno in grado di dichiarare il motivo per cui tutti quegli uomini si trovavano in quella stanza ben allineati e coperti. Comunque fu dato il fatidico “Attenti”. Dopo questo comando, il Generale ha dato inizio alla rivista. Mentre ispezionava il personale si soffermava di tanto in tanto commentando sul loro aspetto: capelli lunghi, divisa non in ordine, cravatta fuori posto, scarpe fuori ordinanza e così via, sino al termine del giro. Gli ufficiali al seguito, annotavano le varie osservazioni, fatte a carico degli uomini sottoposti ad ispezione. In conseguenza di queste annotazioni si ottenne il risultato di comminare delle sanzioni, fortunatamente non gravi a carico degli sfortunati malcapitati. Furono assegnati infatti, dei giorni di “consegna”, per le irregolarità riscontrate. Questo fu l’epilogo di quel giorno dedicato alla visita alla compagnia del Brennero del Comandante Generale Raffaele Giudice e, chi ne pagò le conseguenze, furono alcuni di quelli che per ore erano stati rinchiusi nel salone ad attenderlo.

Generale Raffaele Giudice
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I due tenenti

Alto Adige – Contine Italo Austriaco – Valico Internazionale del Brennero – anni 69/70

Arrivo al Reparto di due tenenti provenienti dall’Accademia

Ho prestato servizio in molti luoghi, sono stato a contatto con molte persone, con colleghi, con superiori, di ogni ordine e grado, ne ho apprezzato le loro doti e i loro difetti. Ho sempre cercato di comportarmi correttamente sia nell’ambiente interno che esterno. Ho cercato di andare d’accordo con tutti nei limiti del tollerabile e dove potevo dare una mano mi sono sempre prodigato per aiutare chi era in difficoltà. Purtroppo non sempre le cose vanno nel verso che uno vorrebbe. A volte ci si imbatte in situazioni, che non vorresti mai incontrare.
Lascio pertanto alla discrezione dei lettori, commentare sui fatti avvenuti in questo racconto, il quale cita un episodio accadutomi molto tempo fa, quando da giovane sottufficiale, mi trovavo a svolgere il mio compito al Valico Internazionale del Brennero, nella Regione Trentino-Alto Adige.
Il lavoro che si svolgeva al Passo del Brennero era suddiviso in turni composti da 6 ore ciascuno intervallato da 12 ore di riposo. L’attività era piuttosto stressante, in qualità di sottufficiale mi veniva dato l’incarico di essere a capo di un drappello di uomini che in entrata ed in uscita dallo Stato Italiano dovevano svolgere controlli a persone e mezzi che attraversavano il confine sia doganali che e a tutela di tutte le leggi fiscali contemplate dal nostro Ordinamento.
Vi erano giorni in cui il traffico di autoveicoli che transitava per il valico era talmente intenso che non si aveva il tempo di andare ai servizi igienici e per farlo dovevamo chiedere la sostituzione con altro collega direttamente sul posto. La mancanza di un solo addetto poteva pregiudicare tutto l’andamento del traffico causando code di autoveicoli e insofferenza da parte della gente.
Quindi a causa di questi turni pesanti, dei pasti quasi sempre consumati in orari impossibili, della vita frenetica e stressante effettuata al valico di confine, ho cominciato ad accusare vari disturbi allo stomaco. Sembra inverosimile ma nonostante ci trovavamo in una località di montagna ove si presume che l’aria che si respira sia di buona qualità, per noi che eravamo di turno al valico autostradale era davvero un dramma. Il più delle volte infatti respiravamo l’aria inquinata che fuoriusciva dai tubi di scarico degli autoveicoli per l’intero turno. Decisi pertanto di fare una visita medica recandomi un giorno ad una struttura ospedaliera situata alla vicina cittadina di Vipiteno. (Sterzing il nome in tedesco) ove fui sottoposto ad una radiografia allo stomaco.
Mi fu riscontrata infatti un principio di “ulcera duodenale” e il medico mi prescrisse un periodo di riposo e cura. Purtroppo per rendere efficace questa certificazione avrei dovuto avere l’avallo di una struttura ospedaliera militare. La più vicina si trovava a Bolzano città distante 80 Km circa dal Brennero.
Presento dunque i documenti al mio Comando con la richiesta di recarmi a Bolzano e ripetere ancora una volta l’esame radiografico. Ricordo che un medico militare aveva espresso il suo disappunto nel fatto che si sarebbe dovuto ripetere a distanza di pochi giorni un altro esame del genere. Tuttavia mi viene eseguito e questa volta l’esito fu soltanto “gastro duodenite” anziché un principio di ulcera. Ma quello che era importante per me e che mi diedero 40 giorni di convalescenza.
La preoccupazione per l’inconveniente accaduto al mio stomaco era sopperita dal fatto che ero ben lieto di andare a riposare per 40 giorni. Tenuto conto che ci trovavamo nel periodo estivo, credo fosse il mese di luglio, ho pensato bene di andare a trascorrere questi giorni al mare, nella casa estiva che i miei genitori possedevano in Puglia. Prima avrei dovuto passare per Marghera (VE) ove la mia famiglia ha dimora abituale. Il tempo di organizzarci e dopo qualche giorno ci mettiamo in viaggio verso il mare di Puglia a bordo della mia Fiat 1100 R. Ci vogliono dodici ore per giungere a destinazione, anche se la maggior parte del tragitto viene fatto in autostrada “Adriatica – A14”. Si entra al casello di Marghera e si esce in quello di Bari, poi si prende la superstrada per Brindisi-Lecce e poi altri 70 Km per arrivare nei pressi di Morciano di Leuca e raggiungere la Marina di Pescoluse. Il viaggio è lungo e la stanchezza si fa sentire, ma passa alla vista di questo mare splendido e di tutto il territorio circostante coperto da distese di ulivi a perdita d’occhio, il sole, il cielo azzurro, la terra rossa, i profumi e i colori della macchia mediterranea mi riempiono il cuore e lo spirito e mi fanno ben sperare che la mia scelta di trascorrere la mia convalescenza in questi posti fu proprio azzeccata.
Grazie alla buona cucina di mia madre, forse preoccupata più di me per il mio problema, mi sottopongo ad un regime alimentare controllato, con il proposito di giungere ad una guarigione. I giorni trascorrono piacevolmente. Riposo, sole, mare, bagni, gli incontri con gli amici, le uscite a pesca subacquea di cui sono molto appassionato mi rilassano al punto che anche il mio stomaco comincia a riprendersi.
Per 40 giorni avevo dimenticato il Passo del Brennero.
Ma come tutte le cose anche questa ebbe la sua fine. Era arrivato il momento del mio rientro al reparto, ma prima avrei dovuto fare delle visite mediche presso le strutture medico-militari che avrebbero dovuto dare il benestare per riprendere o meno la mia attività. Qui comincia una specie di calvario. La prima tappa è l’Ospedale Militare di Lecce, il quale non avendo la strumentazione radiologica necessaria mi comunica che avrei dovuto raggiungere quella di Bari dove non sono visitato immediatamente, ma devo aspettare qualche giorno lì in ospedale. Giunto finalmente il mio turno mi viene eseguita nuovamente una radiografia il cui esito convince i medici a giudicarmi “idoneo” e quindi mi avvertono che devo raggiungere nel più breve tempo possibile il mio reparto e riprendere l’attività.
Il tempo di riordinare le mie cose, caricare la macchina e ripartire per destinazione Brennero, non prima però di effettuare una capatina a casa dei genitori che nel frattempo anche loro erano rientrati a Marghera. Un breve saluto e riparto, arrivo al Brennero verso mezzanotte, sono stanco, saluto il piantone che mi ha aperto la porta e decido di andare a dormire subito, con la preoccupazione di consegnare tutta la documentazione medica, in mio possesso, al mattino successivo.
Alzatomi di buon ora, mi reco nella sala situata al piano terra in attesa che l’ufficio destinato a ricevere i miei documenti si apra, ancora non sono proprio concentrato e non mi rendo conto che mio malgrado devo ritornare al Valico di Frontiera e sopportare quei turni maledetti e pranzare o cenare ad orari impossibili che tanto hanno contribuito ad ammalare il mio stomaco.
Mentre ero assorto in questi pensieri, mi sento chiamare ad alta voce: “Ei brigadiere non si saluta un suo superiore quando lo si incontra?“ Mi giro e mi trovo davanti un ufficiale, un veloce sguardo ai gradi che porta e capisco che è un tenente, ma che non avevo mai visto prima. Gli rispondo salutandolo militarmente: “Mi perdoni signor tenente, ero sopra pensiero, sono in attesa che apra l’ufficio per consegnare i documenti medici che ho con me. Provengo da una convalescenza di 40 giorni a causa di una malattia allo stomaco diagnosticata come -gastro duodenite-”. Lui di rimando: “Come! arriva al reparto e non si presenta al suo superiore?” Gli rispondo : “Ma guardi che sono rientrato tardi stanotte e sono andato subito a dormire, nessuno mi ha informato della sua presenza e non so nemmeno se la mia squadra è alle sue dipendenze”. ”Convalescenza?, ma come mai, lei e’ tutto abbronzato” che convalescenza ha fatto? Rispondo: “Guardi che ho approfittato del periodo estivo e considerato che i miei familiari possiedono una casa al mare in Puglia ho deciso di andare a trascorrere questi giorni al mare per curarmi.”
Il tenente con fare arrogante mi dice: “Va bene brigadiere ora vada a consegnare la documentazione ma le rammento che non appena incontro il Comandante della Compagnia lo informerò del fatto che lei giunto al reparto non si è presentato al suo superiore diretto e inoltre mi torna tutto -abbronzato- da una convalescenza, la proporrò quindi per farle abbassare le sue NOTE CARATTERISTICHE”. Detto questo Il tenente si allontana. Io educatamente lo saluto ancora militarmente ma rimango impietrito da quello che è appena accaduto. Rimugino tra me, “ma come è possibile? cosa ho mai combinato per avere un simile trattamento?”. Mentre pensavo a queste cose, si avvicina un collega, che poco lontano aveva assistito alla scena, lo fermo e gli chiedo: “Ma mi sai dire chi è quell’individuo?” Lui mi dice: “Sono due tenenti assegnati al Brennero non appena hanno finito il corso in Accademia. Non ti preoccupare, stanno facendo così da quando sono arrivati, sono dei bei rompiscatole, si attaccano su tutto, sull’ordine della divisa, controllano se i nostri capelli sono corti, insomma fanno di tutto per essere antipatici.”
Penso tra me, “capperi che bel rientro e che bella accoglienza! Ho l’impressione che qua non sarà come prima con questi due ufficiali, Se ne vedranno delle belle”!
Avevo lasciato il reparto diretto da Superiori abbastanza accondiscendenti, nel senso che capivano le difficoltà operative che il personale impiegato doveva affrontare e discretamente gestivano la disciplina in modo oculato. Intervenivano infatti solo in casi in cui qualcuno commetteva qualche grave infrazione. Tutto il personale era composto da giovani finanzieri e sottufficiali che in genere erano coscienti e responsabili di quello che facevano. Ora l’arrivo di questi due tenenti aveva squilibrato tutta la vita di caserma.
Fortunatamente, il Comandante della Compagnia, era persona saggia e cercava di tenerli a bada, non prendendo in considerazione tutte le loro lamentele che avevano riguardo al comportamento del personale. Sono grato a lui, e non avevo dubbi in proposito, sul fatto che non prese mai in considerazione la richiesta che io ritengo veramente “balorda” e senza un minimo di logica sul fatto che io avessi dovuto avere le mie note caratteristiche abbassate per il semplice motivo di essere tornato al reparto “abbronzato”. Una cosa veramente assurda. Chissà che concetto avevano questi due tenenti della vita di reparto. Sta di fatto comunque che durante tutta la loro permanenza alla Compagnia del Brennero andavano cercando sempre il “pelo nell’uovo” che a mio avviso, in considerazione delle condizioni in cui si operava, avrebbero dovuto tenere nei nostri confronti un diverso atteggiamento. Sfortunatamente erano stati assegnati qua e dovevamo sopportarli e cercare di non commettere nei limiti del possibile azioni che secondo il loro punto di vista fossero deprecabili e oggetto di provvedimenti disciplinari.
Ebbi ancora altre volte contrasti con questi due tenenti. Con queste persone diventa difficile relazionarsi, hanno sempre una certa prevenzione di mala fede sul comportamento e quindi non va mai bene nulla. In coscienza ritengo di essermi sempre comportato con correttezza nello svolgimento del mio lavoro, e quando venivo fatto oggetto di osservazioni strane da parte loro, avevo proprio un senso di frustrazione. Facevano pesare insomma di essere un tuo superiore in ogni manifestazione dovendo sempre ubbidire ed accettare le loro strane richieste. Questi atteggiamenti mi ricordano una battuta che mi fu detta da un anziano istruttore quando ero ancora al corso presso la Scuola Alpina. Mi fece questa domanda: “Allievo, sai perché fuori della caserma c’è sempre la sentinella?” Io gli risposi quello che ritenevo giusto rispondere sul fatto di questa presenza che fosse per una sorta di tradizione militare che è osservata in tutte le strutture militari. Sbagliato rispose: “La sentinella sta di guardia fuori dalla caserma per impedire che entri la “Logica”. Io mi feci una grande risata, ma lui di rimando: “non c’è nulla da ridere, caro ragazzo, è proprio così la realtà.”
Comunque fortunatamente io lasciai il reparto definitivamente prima di loro, essendo stato assegnato con mio grande sollievo dopo quasi due anni e mezzo di permanenza al Brennero, ad altro reparto in Lombardia.
Non ricordo, forse proprio, per una forma di rimozione, nemmeno i nomi di questi due ufficiali, mentre ricordo perfettamente quelli di altri, che devo dire sono stati davvero persone signorili in tutto, dal contatto umano a quello del lavoro.

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Amodeo

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Valico del Brennero

Triste notte

Sono passati molti anni dal giorno in cui è accaduto l’episodio che tento di narrare. Mi ritorna abbastanza offuscato, vuoi per il tempo trascorso. vuoi anche per una sorta di rimozione dalla mia mente.
In quel periodo mi trovano al Valico Internazionale del Passo del Brennero ai confini tra Italia ed Austria; una porta aperta verso tutta l’Europa Continentale e già a quel tempo (1970) il transito sia civile che commerciale era notevole. In inverno si raggiungono qui anche 20 gradi sotto zero ma se sei ben coperto, non soffri molto, perché è freddo secco e non umido.
Lo spettacolo invernale della natura è incantevole, la neve raggiunge svariati metri di altezza, tutto intorno alle montagne si intravede un paesaggio incontaminato. Giù a valle il silenzio è interrotto solamente dal passaggio dei veicoli e dei treni che si accingono ad attraversare la frontiera.
Ricordo che proprio alle spalle della nostra Caserma scorgevo, dalle finestre della mia camera, una cascata gelata, riflettere in mille colori i raggi del sole.
Il nostro Comando era composto da una Compagnia di quasi 150 elementi, per la maggior parte non sposati. Questo perché il luogo era abbastanza disagiato per cui un militare sposato doveva affrontare notevoli sacrifici per raggiungerlo e poter svolgere il proprio lavoro.
Il paese più vicino ove si potevano trovare i servizi più essenziali, quali la scuola, l’ospedale, ed altre amministrazioni pubbliche, distava circa sette o otto chilometri. Poteva essere facile in estate da questi luoghi raggiungere il “Passo”, ma in inverno era davvero problematico. Nevicava spesso e il fondo stradale la notte, era quasi sempre sotto il gelo, con grave pericolo per la percorribilità delle strade, anche se periodicamente veniva gettato il sale, per cercare di non fare gelare la strada.
Era il primo reparto che mi era stato assegnato, dopo aver terminato i corsi di istruzione per conseguire lo stato di Sottufficiale, alla Scuola del Lido di Ostia.
Inizialmente non ero soddisfatto di questa sede. Mi sentivo un po’ defraudato e scontento di non essere stato mandato come molti altri miei colleghi in reparti operativamente ritenuti più interessanti sotto l’aspetto professionale ed ubicati in posti meno disagiati ma essendo stato, poco diligente nello studio, non avevo raggiunto in graduatoria, i posti necessari per meritarmi sedi migliori.
Col passare del tempo, dopo i primi mesi di disagio ambientale, sono riuscito ad instaurare un buon rapporto anche di amicizia, con gli altri colleghi, in considerazione anche del fatto che eravamo quasi tutti della stessa età, sia i militari semplici che i graduati. E quando eravamo liberi da impegni, dimenticando la gerarchia militare andavamo insieme a divertirci scendendo a valle, generalmente verso Colle Isarco, Vipiteno e se avevano più tempo arrivavamo anche a Brunico in Val Pusteria.
Col tempo avevo imparato anche il segreto di espatriare di nascosto in Austria ed arrivare alla vicina cittadina di Innsbruck. Qui, con mia grande meraviglia, ero riuscito finalmente a scoprire i locali dove i colleghi più scaltri e smaliziati, andavano a divertirsi, a rischio di possibili sanzioni disciplinari. Nel periodo di cui faccio cenno, infatti, era tassativamente proibito per noi, come Corpo della Finanza, espatriare legalmente, a causa di non buoni rapporti col Paese confinante, per via degli attentati terroristici che in quegli anni scuotevano la bilingue regione autonoma del Trentino Alto Adige.
I turni da intraprendere al Valico erano di sei ore intervallati da dodici ore di riposo, poi si riprendeva nuovamente. La rotazione era questa: 0-6,-18-24,12-18,6-12. Era duro lavorare in queste condizioni.
Ricordo comunque ancora volentieri il rituale che si compiva ad ogni turno di servizio.
Come giovane sottufficiale, ero orgoglioso di accompagnare il drappello di uomini che inquadrato militarmente e in bell’ordine partiva dalla Caserma, attraversava il paese per raggiungere il valico, assottigliandosi mano a mano, fino ad esaurirsi una volta che l’ultimo militare occupava il suo posto, dando il cambio al collega per fine turno.
Due venivano lasciati al «riscontro», due al «valico ferroviario», due al «valico in uscita» dall’Italia e due al «valico in entrata». Altri due rimanevano nell’ambito degli spazi della Dogana, con il compito di ordinare e controllare il traffico degli automezzi pesanti che si avvicinavano al Passo. Questi dovevano necessariamente fermarsi, per procedere alle operazioni doganali per poi attraversare la frontiera.
Il mio posto si trovava nei locali del “valico entrata” e per sei ore ero il responsabile della cosiddetta “Squadra Valico” a disposizione di qualsiasi evenienza. Ogni tanto infatti c’era sempre qualche problema da risolvere, controlli da effettuare ai veicoli alle persone, alle cose. Devo dire che non ci si annoiava proprio e poi era anche qui in questo posto di frontiera un lavoro interessante per la formazione professionale, in materia soprattutto doganale, ma anche sotto altri aspetti, considerato che la legge italiana concedeva al nostro Corpo innumerevoli facoltà con una larga autonomia operativa.
Il traffico pesante era notevole sia di giorno che notte. Ci voleva abbastanza polso fermo per tenere in riga i camionisti che come ben si sa, non hanno un carattere docile. Alcuni in attesa del loro turno si ubriacavano per poi dare in escandescenze. Erano di diverse nazionalità: polacchi, finlandesi, danesi, ma la maggior parte erano tedeschi.
La Germania infatti non era molto lontana dal Brennero, bastava attraversare l’Austria e subito si arrivava alla frontiera tedesca.
Quindi i due militari addetti a questo incarico avevano molto lavoro da svolgere per tenere ordinato il piazzale doganale da eventuali scorribande. Avevano il compito di incolonnare gli autocarri e fare attendere il loro turno per il disbrigo delle pratiche doganali.
Quella notte, Il finanziere Amodeo, (purtroppo non ricordo il suo cognome) era uno di questi. Aveva il suo bel da fare spostandosi di continuo per cercare di calmare i più irrequieti, e i meno pazienti.
Parlando di lui ecco che mi balena nella mente, come se accadesse in questo momento, il dramma che si verificò quella notte.
Era un giovane finanziere, non aveva ancora 22 anni, molto serio e scrupoloso nello svolgere il suo lavoro. Rispettoso dei suoi superiori non aveva mai dato adito a comportamenti scorretti o a gesti di insofferenza alla disciplina. A volte potevano saltare i nervi avendo a che fare con gente come i camionisti, insofferenti ai comandi e agli ordini che venivano a loro impartiti, al fine di meglio organizzare il lavoro doganale. Con estrema fermezza e senso del dovere, riusciva a farsi rispettare da questa gente. Loro ubbidivano di buon grado alle sue richieste di mettere il loro mezzo in colonna ed aspettare pazientemente il proprio turno.
Ma ecco che ad un certo punto della notte accade quello che uno non si aspetterebbe mai. Non si sa bene per quale motivo, un camioncino che si trovava in coda, abbastanza lontano dal piazzale, in attesa del proprio turno, in zona priva di illuminazione, di colpo, inspiegabilmente esce dalla colonna, avviandosi a fari spenti ed a velocità sostenuta verso la Dogana. Nessuno dei due militari del «controllo piazzale» lo aveva invitato ad uscire dal suo posto.
Amodeo infatti stava scendendo proprio verso quel luogo perché aveva notato una certa confusione, quando questo veicolo lo investe in pieno.
La mattina successiva si vedrà la violenza dell’impatto lasciata sulla carrozzeria del mezzo, Una vistosa ammaccatura all’altezza della testa fa capire immediatamente cosa è successo durante la notte.
Amodeo viene investito dal camioncino e perde la vita sul colpo.
Si immagini lo sgomento di tutti noi nell’apprendere la notizia. Cosa si può dire? Un profondo malessere fisico e mentale indescrivibile ci pervase per molto tempo.
Un ragazzo di ventidue anni che si spegne in questo modo nell’adempimento del proprio dovere. In un attimo svanisce l’intero sogno di una vita. I progetti, le amicizie, gli affetti più cari. Tutto rimane lì per terra accanto a lui.
La commozione che ti prende nel vedere il dolore dei suoi familiari giunti tempestivamente dalla lontana Calabria è immensa. Non è facile raccontare questi stati d’animo. La morte di un congiunto porta via una parte di te insieme a lui.
Ho sperimentato queste sensazioni in prima persona, sulla mia pelle, moltissimi anni dopo questo accadimento e assicuro che si muore un’altra volta insieme a colui il quale ci lascia per sempre.

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Fine avventura

Siamo giunti così anche alla fine di questa avventura
Ci troviamo in camerata già coricati tutti nelle nostre brandine dove ci apprestiamo a trascorrere l’ultima notte. Ognuno con i propri pensieri. I miei ripercorrono tutto il cammino fatto fino a questo momento. La vita in questo ambiente non è stata tra le più facili ma in cuor mio devo riconoscere che ne esco fuori maturato ed arricchito professionalmente e umanamente. E’ stata una scuola di vita. Nel frattempo le luci delle camerate si spengono ed ecco udire la tromba emettere le note del “silenzio fuori ordinanza”. L’ultimo saluto della Scuola ai suoi Allievi e Vicebrigadieri. Un brivido percorre il mio corpo ed un nodo si forma alla gola. Dopo circa due anni di permanenza in questo posto, domani sarà semi deserto perché come gli uccelli che si apprestano ad uscire dal nido noi prenderemo il volo ognuno per l’assegnata destinazione. Chissà se incontrerò ancora questi miei compagni, forse alcuni, forse altri mai più.

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Esami

Il momento dell’esame è arrivato
Valutano la nostra preparazione ed a ognuno di noi alla fine verrà assegnato il reparto dove andare a svolgere il proprio servizio da Sottufficiale.
I primi hanno il privilegio di essere assegnati ai Nuclei di Polizia Tributaria Regionali. Cioè andranno a svolgere la loro attività nelle città capoluoghi di Regione, come Milano, Torino, Venezia, Roma. Gli altri andranno necessariamente ai cosiddetti Reparti Ordinari: Brigate, Compagnie, Tenenze, ecc. Chi come comandante diretto, altri alle dipendenze, ma sempre con l’impegno di ben figurare e di dimostrare che il tempo trascorso alla Scuola Sottufficiali del Lido di Ostia è servito a qualcosa.

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Nove mesi da vicebrigadiere

Nove mesi da vicebrigadiere
La prima cosa che faccio quando arrivo a casa dei miei chiedo a mio padre se è d’accordo che con i risparmi accumulati nel corso di questi anni di servizio posso comperarmi un’automobile considerato che quando ero a Bellagio ero riuscito a prendermi la patente.
Detto fatto, ci rechiamo alla più vicina concessionaria Fiat e firmo il contratto per l’acquisto di una nuova e fiammante Fiat 1100R.
Così al mio rientro alla Scuola Sottufficiali di Ostia ci vado con l’automobile. Però prima mi sottopongo all’operazione chirurgica dell’asportazione dell’appendicite in quando da una visita medica mi era stata diagnosticata e bisognava intervenire. Poco male, ritardo il mio rientro di una ventina di giorni per la convalescenza fruita.
Mi presento a Ostia a Corso già iniziato. Faccio in tempo però a recuperare le lezioni perse, aiutato dai colleghi che mi passano i loro appunti.
Qui inizia la seconda fase della mia permanenza alla Scuola.
Devo riconoscere che le cose sono cambiate radicalmente. Innanzitutto affrontiamo il nuovo corso di studi con più pacatezza e tranquillità. Anche i rapporti con gli istruttori sono cambiati, il trattamento disciplinare è diverso. Siamo graduati “vicebrigadieri” che invece di essere stati inviati ai Reparti del Corpo sono trattenuti alla Scuola per un periodo di aggiornamento e studio approfondito sulle materie economico-fiscali. Niente più esercitazioni militari pesanti, rimane solo qualche ora di addestramento formale: il vicebrigadiere deve saper guidare una formazione quale che sia una squadra, un plotone o anche una compagnia con comandi appropriati. Rimane l’addestramento ginnico per tenere in forma il fisico. Niente più turni di guardia. Solo studio. Questa situazione mi porta ad una valutazione, nel senso che tutto sommato forse è più conveniente rimanere alla Scuola. La vita di reparto a volte non è sempre agiata e l’esperienza di altri ci porta alla considerazione che pur con la buona volontà e con la teoria acquisita a volte si può sbagliare e gli errori possono anche essere gravi per cui si possono avere ripercussioni in carriera. Succede spesso infatti che giovani sottufficiali ricevano gravi punizioni in buona o mala fede mentre svolgono attività di servizio. Comandare un reparto, un distaccamento, una brigata con tutte le incombenze da osservare non è cosa facile. C’è un territorio da sottoporre a vigilanza d’istituto, c’è del personale da amministrare, rapporti da mantenere con la collettività, con i superiori ecc. Per cui è conveniente rimanere a fare il Corso “vicebrigadieri” e una volta fuori dalla Scuola entro pochi mesi se non ci sono grossi impedimenti si riusce ad ottenere l’avanzamento a “brigadiere” al riparo da incidenti di percorso vari. L’unica cosa da fare qui è studiare. A proposito di questo e rifacendomi alla precedente esperienza di allievo in cui non ho brillato molto questa volta mi riprometto di migliorare il mio rendimento. Non voglio fare la figuraccia di prendere ancora delle sottomedie. Per cui rinunciando a qualche ora di libera uscita mi impegno la sera a prendere in mano i manuali, le sinossi e tutto il resto e leggerli sul serio. Così, comincio a girare per la pista di atletica e mentre cammino leggo ad alta voce quello che c’è da sapere sulle materie di studio. Forse è proprio in questa sede che finalmente acquisisco la metodologia giusta che mi servirà anche negli anni a venire. Ci vuole volontà e sacrificio. Non bisogna cullarsi ed accontentarsi della spiegazione fatta dall’istruttore in aula, necessita approfondirla, riprenderla successivamente con lo studio sistematico in modo da fissare nella mente i passaggi più importanti. Questo metodo si rivela davvero vincente. Al secondo corso non prendo nessuna sotto media anzi ricevo buone votazioni al punto che alla fine quando è periodo di esami e viene stilata una nuova classifica salgo di 100 posti. Per me è una bella soddisfazione personale. Ho dimostrato a me stesso che per realizzare qualcosa nella vita questo richiede impegno. A nulla è valso però questo mio salto ai fini della assegnazione. Vale la prima graduatoria. Non importa, ho la soddisfazione personale di essere riuscito a dimostrare a me stesso che posso fare o dare di più se mi impegno.
Comunque oltre allo studio in aula, ci sono anche i momenti organizzati dalla stessa Scuola per gite culturali e di approfondimento professionale nei dintorni. Ora che dispongo anche dell’automobile ho la possibilità di girare con più libertà e di allontanarmi più facilmente da Ostia. Quando si tratta di uscire di solito faccio gruppo con i vicebrigadieri Albarano, Ariano, Angeletti. Oramai siamo diventati assidui, insieme, del resto mi trovo benissimo in loro compagnia. Sono ragazzi coetanei con le stesse mie aspirazioni.
La meta più ricorrente per le nostre puntate in libera uscita, tra l’altro anche la più vicina ad Ostia, neanche a dirlo è la Città Eterna: Roma. Avere la fortuna di scoprirla è per noi grande soddisfazione. Eccoci quindi in San Pietro, Piazza di Spagna, all’Altare della Patria, in Via dei Fori Imperiali, Via Nazionale, Piazza Esedra, Piazza Navona, Fontana di Trevi, San Paolo Fuori le Mura, San Giovanni in Laterano. In moltissimi altri luoghi senza mai annoiarsi. Sembra che il tempo non basti mai per visitarla come si deve. Essere a Roma è un’esperienza unica ed indimenticabile.
Ci prendiamo anche la libertà di visitare i dintorni della provincia romana, così ecco fare un salto ai Castelli Romani. Ricordandone alcuni: Albano Laziale, Ariccia, Castel Gandolfo, Colonna, Frascati, Genzano di Roma, ecc. Gustare nelle loro caratteristiche trattorie, specialmente a giugno, fave crude, pecorino e vino bianco dei Colli Romani.
Indubbiamente devo riconoscere che nonostante la dura disciplina dentro la Scuola, qualche svago tutto sommato me lo sono preso.

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Giuramento

Giuramento
Il tanto sospirato giorno è arrivato, gli esami, il campo estivo, le esercitazioni di pratica di comando sono finiti, tutto è andato bene.
Siamo schierati nel piazzale della Scuola in attesa che abbia inizio la cerimonia del Giuramento di fedeltà alla Repubblica.
Finalmente lo stato di “allievo” termina per diventare, quello per cui abbiamo aspirato tanto per ben undici mesi.
Tutto il battaglione al completo è schierato nel campo sportivo della Scuola: Comandante, varie autorità invitate per la circostanza, i familiari degli allievi, per quelli che hanno avuto la fortuna di averli vicini, tutti gli istruttori: ufficiali e sottufficiali.
La cerimonia formalmente ricorda quella avuta a Predazzo quando fui nominato finanziere.
In questo caso però avviene la consegna dei gradi da “vicebrigadiere” da appuntare sulla divisa, sul berretto si applicherà il fregio dorato e il nastro “mille righi” la particolare fascia che circonda il copricapo.
Ora possiamo tranquillamente far parte della categoria dei Sottufficiali. Si parte dal grado appena ricevuto sino ad arrivare alla qualifica massima di Maresciallo Aiutante. Ci vorrà tutta una carriera!
Una cosa gradita è che dopo la cerimonia abbiamo la possibilità di raggiungere i nostri cari per un periodo di licenza finalmente dopo tanto trambusto.
Ho la soddisfazione di presentarmi a casa in divisa estiva con addosso i gradi. Mi sento euforico. Per la fretta di arrivare a destinazione alla Stazione Termini di Roma faccio il biglietto per il treno più veloce: il famoso Pendolino. Viaggio in prima classe come un signore, orgoglioso della mia uniforme e del mio stato.

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Pratica di comando

Pratica di comando
Il campo estivo è finito ora bisogna rifare i bagagli e prepararsi per raggiungere i luoghi che ci hanno assegnato per fare “pratica di comando”. In sostanza si tratta di mettere in atto le nozioni teoriche apprese al corso di studi e nel contempo anche essere di ausilio ai militari che si trovano in quelle sedi.
Insieme ad altri allievi il reparto che devo raggiungere è la compagnia di Porlezza. La cittadina si trova nella provincia di Como in Lombardia. Adagiata sulle sponde del Lago di Lugano è una località a spiccata vocazione turistica: nei mesi estivi è infatti meta di molti turisti e turiste, in particolar modo olandesi, tedeschi e svizzeri.
Nei momenti liberi dagli impegni, considerato che siamo in estate e che la zona è turistica non manca quel poco di svago. Ci viene concesso anche l’uso degli abiti civili. Quindi non c’è male come assegnazione nonostante che il tipo di attività contemplato nell’ordinamento della Compagnia è orientato a servizi anti-contrabbando. Bisogna andare su e giù per le montagne circostanti, di notte e di giorno oppure essere impiegati al servizio doganale al valico della Tenenza di Oria che dipende da Porlezza.
Sono i luoghi in cui nel lontano 1895 si è ispirato lo scrittore Antonio Fogazzaro nella scrittura del romanzo “Piccolo Mondo Antico”. L’ambientazione descritta in quelle pagine si rispecchia ancora oggi nel presente, sembra che nulla sia cambiato rispetto a quell’epoca. I paesaggi sono di una bellezza unica: il lago, i monti, i paesini, le ville. Un posto dove trascorrere una bella vacanza.
Nonostante queste bellezze che pur ho goduto nei momenti liberi dalle attività in questi posti si doveva lavorare. Ricordo ancora il nome del comandante la compagnia: capitano Luciani in cui ho la soddisfazione di effettuare, di notte, un servizio di repressione del contrabbando con lui a capo della nostra pattuglia composta da me e un altro allievo, forse era Albarano o Ariano, non sono sicuro. Questo ufficiale suscita meraviglia per il suo atteggiamento nei nostri confronti. In effetti si dimostra una persona molto alla mano. Abituati noi alla Scuola ad avere un certo riserbo e distacco nei confronti degli ufficiali, costui ci mette a nostro agio quasi fosse uno di noi. Singolare il fatto di aver preso parte al turno di di notte come se fosse anche lui un normale militare. Di solito gli ufficiali controllano l’operato dei dipendenti e non vanno con loro in pattuglia.
Sconcerto provo invece dal comportamento avuto dal tenente Dell’Angelo comandante del valico autostradale della tenenza di Oria. Questo reparto è sotto le dipendenze della Compagnia di Porlezza. Il valico si trova sul lago di Lugano al confine Italo-Svizzero nella frazione di Oria dipendente dal Comune di Valsolda. Sono sul posto per dare ausilio ai finanzieri comandati al controllo doganale di persone e mezzi in entrata ed uscita dalla Stato. Fa caldo, c’è molto traffico di autoveicoli. Ad un certo punto chiedo il permesso al capo valico, non ricordo bene se fosse un brigadiere o altro, di allontanarmi per recarmi presso il vicino bar per dissetarmi. Ordino una coppetta di gelato e comincio a gustarlo quando mi sento chiamare da una persona proveniente dal posto in cui ero stato assegnato. Costui gridando ad alta voce verso di me con fare autoritario ed anche arrogante mi dice:
“Cosa fa lei qui non sa che deve essere al suo posto a fare il suo lavoro invece di bighellonare al bar? Sono il tenente Dell’Angelo comandante la tenenza. Si rechi immediatamente da dove è venuto e faccia quello che per cui è stato inviato qua. Di questa sua mancanza provvederò ad informare i suoi superiori diretti. Voi allievi sottufficiali invece di collaborare siete di intralcio alle nostre normali attività”.
Sono pietrificato, ma come? Mi sono allontanato si… ma ho chiesto il permesso, non sono andato via senza dire nulla. Avevo sete e volevo dissetarmi e poi ritengo di essermi impegnato in quello che stavo svolgendo e non mi pareva di essere d’impiccio.
Da informazioni chieste in giro vengo a sapere che il tenente prima di diventare ufficiale faceva parte della nostra categoria. Non molti facevano questo passaggio. Non era una cosa facile, perché bisognava ugualmente frequentare il previsto periodo in Accademia per uscire con il grado di sottotenente.
Penso alla differenza di stile tra un ufficiale come il Capitano Luciani e questo signore.
Ancora mi chiedo del modo di fare di questo soggetto e non so darmi una risposta precisa. Chissà forse avrà avuto qualche trauma quando era sottufficiale.
Rapportarsi con queste persone molti di noi sono convinti che ci sia una condizione più favorevole nei rapporti quotidiani. Pare proprio che a volte non sia così. Comunque un certo comportamento penso sia dovuto dal carattere di una persona a prescindere dai gradi rivestiti con chiunque si abbia a che fare. In fin dei conti tutti siamo essere umani con le nostre debolezze e con le nostra aspirazioni.
Comunque quell’episodio fortunatamente non ha provocato implicazioni disciplinari a mio carico.
Lasciate da parte queste considerazioni una cosa piacevole emerge dalla mia permanenza a Porlezza. Ho la possibilità di ritornare in quel di Bellagio dopo neanche un anno di assenza. Le due località infatti non sono distanti. Siamo sempre nella provincia di Como. Una è situata sul lago di Lugano, l’altra sul lago di Como. Così che un giorno riesco ad ottenere un permesso e con qualche amico allievo ritorno al mio vecchio reparto a salutare i colleghi che ancora sono in quella sede e qualche persona del luogo.
Rivedo, il molo dove attraccano i traghetti che fanno la spola tra le sponde del lago, le bellissime ville Melzi d’Eril, Serbelloni. I locali gremiti di turisti seduti ai tavolini intenti a gustare le loro ordinazioni e ad ammirare il lago e tutto quello che gli sta attorno.
Il tempo a mia disposizione è poco, e devo fare ritorno a Porlezza contento però di essere riuscito ad esaudire questo mio desiderio.

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Al campo estivo


41^ Corso Montello 1967/1969 – Lido di Ostia
Al campo estivo
Siamo già al mese di luglio 1968 e ci si deve preparare per andare al campo estivo. Non è certo una passeggiata. Da Roma dobbiamo raggiungere la località di Ponte di Legno, un paesino nelle montagne del bresciano, quasi al confine con il Trentino. In questo luogo si dovranno fare esercitazioni prettamente militari. Addestramento al combattimento, esercitazioni di tiro e altre attività.
In questa circostanza chi guida il Battaglione al completo, oltre a tutti gli ufficiali e sottufficiali istruttori è il maggiore Braida. Questo ufficiale guida il Reparto nelle occasioni più importanti: quando è richiesta la nostra presenza in varie manifestazioni pubbliche come ad esempio la festa della Repubblica che si tiene il 2 Giugno di ogni anno più altre cerimonie. Per il resto il comandante Braida si avvale di tutti i suoi dipendenti nelle operazioni quotidiane. Di comportamento e atteggiamento molto elegante, impeccabile nell’indossare l’uniforme e il modo di tenere il berretto. Sembra quasi un ufficiale tedesco d’altri tempi. Attira l’attenzione anche per la sua dialettica che infonde buonumore, proprio quando ci sono operazioni di una certa rilevanza, in cui è richiesta maggiore attenzione da parte nostra, come nel caso della partecipazione al campo estivo.
Si parte da Roma con il treno. Per raggiungere la località dove sarà installato l’accampamento. Dobbiamo salire anche su dei camion i quali ci porteranno sino al punto previsto. I nostri ricoveri saranno delle tende dove prenderanno posto sei allievi. Per un mese quindi si farà una vita totalmente diversa da quella della Scuola. Al mattino per lavarci dobbiamo andare al vicino ruscello e prendere l’acqua per il nostro fabbisogno.
Lo stesso dobbiamo fare con le stoviglie che ci hanno dato in dotazione dopo aver pranzato e cenato. Dobbiamo provvedere noi a pulirle e quindi approfittiamo dell’acqua del ruscello.
Si parte di mattina presto con l’equipaggiamento previsto: tutta da combattimento, zaino, armamento individuale e di reparto, si cammina tra le montagne per due o tre ore circa, ci si ferma ogni tanto per fare esercitazioni. Gli istruttori si prodigano ad insegnarci i vari passi militari: del fantasma, del gatto del gattino, del leopardo, ecc. e le varie tattiche militari, poi si riprende il cammino. Alla fine della giornata siamo sfiniti.
C’è anche la libera uscita, ma sono pochi quelli che riescono a cambiarsi, lavarsi, pulirsi da tutta una giornata di esercitazioni e andare in qualche birreria del paesino di Ponte di Legno.
Nonostante tutto questo si affronta la giornata con spirito di sacrificio e non mancano anche i momenti di allegria e solidarietà, tra di noi allievi e qualche istruttore. La vita all’aria aperta è salutare, i problemi logistici di accampamento si superano. Dormire in sei in una tenda non è il massimo della comodità, ma si accetta volentieri questa condizione.
Uno si chiede ma come mai la Guardia di Finanza deve fare tutte queste cose. Il cittadino comune la conosce come organo che esegue attività di carattere economico-fiscale e tributario, che bisogno c’è di fare anche questo tipo di addestramento?
Per aver la risposta bisogna andare indietro negli anni e precisamente nel 1907 dove il Corpo ottiene la completa militarizzazione, sancita dall’estensione dell’uso delle stellette distintive dei reparti combattenti, sovrapposte alle tradizionali fiamme gialle.
La Guardia di Finanza è il corpo militare più antico dello Stato italiano: la troviamo già nel Regno di Sardegna e fa risalire le sue origini alla legione truppe leggere sin dal 1774.
Per cui obbligatoriamente le viene richiesto anche l’addestramento di tipo militare in ogni ordine e grado dei suoi appartenenti.

al campo estivo
Prima foto:Angeletti,io,Astolfi,Angelucci-Foto al centro: Io al torrente-Terza foto:Angeletti,Io,Ariano
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