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10 Canarini in gita a Venezia

10 canarini in gita a Venezia
Mi trovo a fare servizio in Alto Adige dopo aver frequentato la Scuola Sottufficiali del Lido di Ostia. Sono stato assegnato alla Compagnia del Brennero, comandata da un capitano. Il reparto è composto da circa 150 militari tra finanzieri, sottufficiali e tre ufficiali. All’epoca, intorno agli anni “70”, rivesto il grado di brigadiere. I servizi che si svolgono sono principalmente orientati al controllo dei valichi stradali, in entrata e uscita, dello Stato più il valico ferroviario. Gli incarichi sono abbastanza impegnativi con turni intervallati da sei ore di servizio e dodici di riposo: 0-6, 6-12, 12-18 e 18-24. Ad ogni turno di servizio in questi luoghi i miliari impiegati sono una decina circa. Il drappello esce dalla caserma, comandato da un sottufficiale che conduce i militari ad ogni postazione. Di questa operazione ne sono anch’io partecipe e mi sento orgoglioso, quando lo guido ben allineato in formazione, per raggiungere i posti di servizio.
Oltre a questo periodicamente vengono eseguite perlustrazioni sia di giorno che di notte nelle montagne circostanti.
In inverno le temperature scendono fino a 20 gradi sottozero ed è abbastanza problematico svolgere il proprio compito affidato. I traffico degli autoveicoli, anche in quegli anni, sia in entrata che in uscita dallo Stato è molto intenso, specialmente quello dei T.I.R. Le operazioni doganali vengono svolte sia di notte che di giorno nell’arco delle 24 ore.
In questa situazione non appena mi è possibile chiedo dei permessi per andare a trovare i miei genitori che risiedono in provincia di Venezia e precisamente a Catene di Chirignago: un borgo che nel corso degli anni è stato inglobato poi nella cittadina di Marghera, la quale dista una decina di chilometri da Venezia. In questo luogo trascorro tutta la mia infanzia ed adolescenza. Frequento le scuole elementari e le superiori nella città di Mestre, per poi nell’anno 1963 partire per la Scuola Alpina della Guardia di Finanza di Predazzo.
In genere finito il turno di 0-6 ai valichi, con il permesso in tasca, mi preparo a partire per raggiungere questa località. Con la mia autovettura Fiat 1100 R targata VE 156413 inizio a scendere: Brennero, Vipiteno, Bolzano, Trento, per poi prendere la strada della Valsugana, “SS-47”toccando la cittadina di Levico Terme, Borgo Valsugana, Bassano del Grappa, Padova ed infine Marghera. A volte preso dal sonno mi fermo per la strada a fare un pisolino e poi riprendere il viaggio. Ci impiego circa 4 ore per un percorso di circa 350 chilometri.
I colleghi sono al corrente di questo mio viaggio. Loro a volte invece sfruttano i permessi concessi, specialmente in inverno per andare nelle vicine località sciistiche intorno a Vipiteno, Colle Isarco e oltre. Non avendo io proprio la passione per lo sci preferisco andare a trovare i miei genitori, le mie sorelle, i miei amici.
A questo punto, sapendo dove vado, proprio nelle vicinanze di Venezia, ad un collega sottufficiale gli viene in mente di organizzare una gita per fare visita alla “Serenissima” e io avrei dovuto fare a loro da guida.
Mi sorprende tale richiesta fatta proprio da questo sottufficiale, di cui non ricordo il nome (che per comodità lo chiamerò “Fresi”). Costui è di origine sarda, con qualche anno di servizio più di me. Al reparto ha l’incarico di fare l’istruttore di Judo. Questo perché periodicamente vengono impartite lezioni di questo tipo di lotta per insegnare a tutti noi la difesa personale. Fresi è un soggetto abbastanza scontroso e ostico. Nelle lezioni che impartisce è alquanto severo con i partecipanti. Rimango infatti colpito, dalla sua idea, di organizzare un viaggio a Venezia, dando a me l’incarico di fare da guida, sia per la città, che per il percorso per raggiungerla.
Bene, accetto in quanto è occasione ulteriore per raggiungere la mia famiglia, per un breve saluto, una volta fatto il giro per Venezia.
Così è stato, partiamo con due autovetture, la mia e quella di un altro collega. In tutto siamo in dieci, cinque occupanti per auto. A distanza di tempo non ricordo più i nomi di questi colleghi. Mi viene in mente solamente, oltre a Fresi, quello di “Petrella” un finanziere di origini abruzzesi, molto simpatico e disponibile. Per gli altri al momento non li ricordo.
Il percorso è quello solito fatto da me. Cosi’ una domenica partiamo alle 6.00 del mattino per arrivare a Venezia verso le 10.00. Parcheggiate le autovetture a Piazzale Roma, prendiamo il vaporetto per raggiungere Piazza San Marco, attraversando tutto il Canal Grande. Per me è un giro che ho fatto innumerevoli volte ma, per qualche collega, vedere questa città è la prima volta. Il che rileva un impatto notevole. E’ un luogo unico al mondo e, si resta affascinati da tanta bellezza e dalla sua storia. Piazza San Marco, Palazzo Ducale, Il Campanile, Ponte dei Sospiri, ecc. Queste sono stati i principali luoghi in cui ci siamo soffermati La giornata è bella e quindi abbiano potuto godere di queste vedute. Purtroppo il tempo è limitato e non è possibile entrare e far visita almeno all’interno del Palazzo Ducale. Faccio uno sforzo di memoria ricordando una gita con la scuola, dove un bravo professore, ci fece da guida ai monumenti più importanti. Così descrivo brevemente ai colleghi i miei ricordi di quell’epoca.
“ Sala del Maggior Consiglio”.
È la sala più grande e maestosa di Palazzo Ducale e, con i suoi 53 metri di lunghezza e 25 di larghezza , è una delle più vaste d’Europa. Qui si tenevano le assemblee della più importante magistratura dello stato veneziano: il Maggior Consiglio. Organismo molto antico, era formato da tutti i patrizi veneziani. Lungo un’intera parete, dietro al trono, si staglia la più grande tela del mondo, il Paradiso, realizzata da Jacopo Tintoretto e dalla sua bottega tra il 1588 ed il 1592.
“ Ponte dei Sospiri”
Attraverso le finestre del ponte i condannati avrebbero visto per l’ultima volta il cielo prima di essere rinchiusi in carcere, da cui probabilmente non sarebbero più usciti. I sospiri alla fugace vista del panorama, insomma, sarebbero stati il loro ultimo anelito di libertà ormai perduta.
Il tempo trascorre serenamente ed è quasi ora di pranzo. Dobbiamo rientrare in giornata al reparto ma, prima di fare questo, chiedo di passare tutti da casa mia e fare un saluto alla mia famiglia.
Ecco che qui accade qualcosa di imprevisto. Proprio il collega Fresi, palesemente scorbutico istruttore di judo, propone di fare uno spuntino a casa mia prendendo qualcosa in rosticceria. Io ben volenti eri accetto questa idea.
La mia famiglia è all’oscuro della visita. Quando arriviamo a casa, e vedendo scendere dalle autovetture tutte queste persone, i miei genitori hanno un attimo di stupore e smarrimento. Li tranquillizzo, presento a loro tutti i miei colleghi e li informo del motivo di questa improvvisata. Rasserenati dalle mie indicazioni tutto ritorna normale e gioiscono di queste presenze.
L’ idea che si profila nella mia mente è quella di mangiare qualcosa nella sala da pranzo solo noi “canarini”e, lasciare da parte la mia famiglia che proprio in quel momento stava per mettersi a tavola per il pranzo. Invece Fresi mi riprende dicendomi: “No, oggi dobbiamo essere tutti in famiglia e stare insieme”. Mia madre e mio padre “vecchia fiamma gialla”, sentendo questa volontà espressa da questo collega, vedo i loro occhi inumidirsi per l’emozione. Sono sicuro che nella mente di mio padre si verifica un ritorno ai tempi in cui anche lui indossava la divisa e condivideva con i colleghi momenti significavi vissuti in carriera. Così tutti riuniti: canarini e la mia famiglia, trascorriamo un bel momento in sana armonia ed allegria.
Ancora una volta l’atteggiamento di Fresi mi sorprende. La persona che tutti consideravano un poco ostico e scorbutico, in questa occasione manifesta veramente un segno di solidarietà e umanità che, non mi sarei mai aspettato.
Giunge così il momento dei saluti, in quanto dobbiamo rientrare e, mentre stiamo per uscire la curiosa signora Giovannina che abita proprio di fronte alla nostra casa e che aveva visto tutte queste persone esordisce in dialetto veneto: “Ma Bepi tuta sta gente da dove a salta fora?” Traduco Ma Bepi (Giuseppe) tutta questa gente da dove sbuca? Io rispondo sempre in dialetto. “I xe tuti finansieri che i fa servisio insieme co mi in Alto Adige al Brennero e i ga vossuo venir a far una gita a Venesia e cossì go approfittà de venir a trovar a me famegia” Traduco: Sono tutti finanzieri che fanno servizio con me in Alto Adige, al Brennero e hanno voluto che gli accompagnassi a Venezia per una breve
gita. Così ho approfittato di fare visita alla mia famiglia. “Bravo Bepi te ga fato ben”.
Dopo questa chiacchierata, in dialetto veneto, con la signora Giovannina ci siamo messi in macchina per far rientro al Brennero, tutti felici per aver trascorso una bella giornata.

Un curioso episodio

3^Legione Guardia di Finanza -Milano
Nucleo Polizia Tributaria – Brescia

Un curioso episodio
Mi trovo a svolgere oramai da diversi anni il mio servizio nella città di Brescia presso il nucleo di polizia tributaria. 
Il territorio sotto la giurisdizione del reparto è molto vasto. Da considerare che confina con le province di Bergamo, Sondrio, Trento, Verona, Mantova, Cremona. La sua conformazione geografico-territoriale comprende sostanzialmente tre valli principali: Valle Camonica, Valle Trompia, Valle Sabbia, tre fiumi: Oglio, Mella, Chiese, tre laghi: Iseo, Garda e Idro.
Nei momenti liberi dal servizio c’è l’imbarazzo della scelta dove trascorrere un giornata. I laghi sono una notevole attrazione turistica. Anche se in uno di questi mi viene alla mente un fatto triste che può essere reso noto in un altro racconto.
Si tratta di un’area fortemente industrializzata che va dal manifatturiero, alla meccanica, alla lavorazione dei metalli, al tessile, all’abbigliamento, alla produzione di gomma e plastica, all’elettronica, all’agro alimentare. Attività queste svolte in notevole misura da piccole e medie imprese. Si trova al terzo posto in Italia nel manifatturiero. Seconda provincia lombarda per valore delle esportazioni. I settori che, generano i maggiori flussi, di merci diretti all’estero, in Germania, Francia e altri paesi sono il metalmeccanico, l’elettronica, la chimica e la moda.
Sono molte anche le ferriere ubicate e sparse per tutta la provincia.
Un altro aspetto da prendere in considerazione è la produzione vinicola di questa provincia. Questa viene effettuata principalmente nel territorio della “Franciacorta.” Affacciata sulle sponde del Lago d’Iseo, in una vasta area comprendente diversi comuni della Provincia di Brescia, qui si produce uno dei vini più pregiati e celebri d’Italia,
Il nucleo di polizia tributaria del quale faccio parte è fortemente impegnato nel controllo fiscale di tutte queste realtà. Sostanzialmente i controlli abbracciano un quinquennio (cinque anni solari), ove sono presi in considerazione vari aspetti della legislazione economico fiscale. L’esame delle varie imposte indirette e dirette quali: imposta sul valore aggiunto, bollo, registro, ecc., Irpeg, Irpef, Ilor e tutto quel che concerne la regolarità amministrativo-contabile: libri, registri, note, conti, fatture, bollette ecc.
Una mattina, come di consueto, mi reco presso la sezione da cui dipendo per prendere gli ordini da eseguire nel corso della giornata. Ci viene dato infatti l’incarico di formare una pattuglia composta da diversi elementi, me compreso, che sarà comandata da un ufficiale per andare ad eseguire una verifica fiscale nei confronti di una azienda situata nella bassa bresciana. A memoria non ricordo né il nome della ditta né la precisa località ove questa è ubicata. Credo si trattasse di una ferriera.
E’ risaputo che quando la Finanza entra in una azienda per effettuare delle verifiche fiscali crea diversi problemi a tutto il personale impiegatizio. A volte si delinea una sorta di panico generale. Chi si defila da una parte, chi dall’altra, cercando di occultare documentazione non regolare sotto il profilo fiscale. I militari consci di questi movimenti strani, preventivamente, prendono le dovute precauzioni. Si va a controllare un po’ in giro dappertutto nei locali aziendali, nei cestini, nei cassetti negli armadi, nel perimetro esterno, sotto le finestre. Non è la prima volta che si vedono buttare dai balconi borse, sacchetti, contenenti documenti fiscalmente non in regola. Una volta raccolta la documentazione, si cerca un locale idoneo, dove concentrare il tutto che sarà sottoposto a controllo nei giorni successivi. Alla fine della prima giornata in questo locale vengono apposti dei sigilli e indicati, gli obblighi da osservare, a carico dei responsabili delle ditte, nel caso di rottura o manomissione degli stessi. Ora non sto a descrivere analiticamente tutti gli accorgimenti adottati, per cautelare questa documentazione, perché penso che chiunque abbia fatto questo tipo di lavoro, lo sappia sicuramente. Quello che voglio fare emergere invece è un altro aspetto. È prassi consolidata che quando si intraprende una verifica fiscale a carico di una azienda vengano prodotti alcuni atti o verbali che garantiscono le corrette operazioni di raccolta documentale ed i sigilli apposti ai locali nei quali è stata concentrata la documentazione oggetto di esame nei giorni successivi. Uno di questi atti viene denominato “verbale di verifica” e viene sottoscritto dai militari partecipanti al controllo e dal responsabile aziendale, al termine delle operazioni della prima giornata. Nei giorni a seguire il verbale di verifica viene redatto quotidianamente. In pratica è il diario delle operazioni di controllo compiute dai verificatori.
Al momento di questa sottoscrizione ci siamo accorti che il responsabile della ferriera è risultato irreperibile. In effetti non è stato presente nel corso delle nostre operazioni. Abbiamo chiesto al personale dipendente delucidazioni in merito. Ci è stato detto che poco prima del nostro intervento costui era presente in azienda. Fatto sta che non si è reso disponibile alla firma degli atti.
L’arcano è stato svelato ben presto. Nell’ispezione ai locali aziendali effettuati dai partecipanti al controllo è emerso che uno dei componenti la pattuglia, non ricordo chi esattamente, aprendo un armadio per effettuare ricerche di ulteriori documenti, si accorge che dentro questo armadio c’era appoggiato, in piedi, che dormiva, proprio il responsabile della ditta. Si è saputo in seguito che per resistere dentro, quel vano aveva preso del “valium.” Inspiegabile il suo comportamento. Da parte della pattuglia operante, a memoria, non mi pare che a suo carico ci fossero provvedimenti di carattere giudiziario tali da limitare la sua libertà. Alla nostra richiesta di spiegare il motivo di questo comportamento è stato molto evasivo. Comunque quello che a noi interessava era esclusivamente la sua presenza alla sola firma degli atti che documentavano il nostro intervento in azienda e la cautela adottata nei confronti della documentazione da controllare.
Tuttavia ci è rimasto il dubbio sull’anomalo comportamento adottato da questo personaggio.
Probabilmente aveva qualche “scheletro nell’armadio” di altra natura e alla vista della Guardia di Finanza ha pensato bene di dileguarsi.
Sicuramente il mistero sarà stato chiarito nel corso della verifica, dalla pattuglia che è rimasta a continuare nei giorni seguenti il controllo documentale. Io ho preso parte solamente alle operazioni di raccolta documentale, effettuate solo il primo giorno dell’intervento e, non mi sono preoccupato più di tanto, in merito allo sviluppo di questo episodio. C’è da dire che questo evento ha generato nei partecipanti il controllo una buona dose di ilarità. Non succede tutti i giorni trovare un amministratore o un responsabile di azienda nascosto in un armadio.

Armadio

Longobucco

Confine Italo-Austriaco
Valico internazionale del Brennero -anni 69/71
Com’era la vita in questo Reparto tra il servizio e il tempo libero
“ Finanziere, La Rosa, (cito un nome a caso), vai a vedere se sul treno merci nr 5719( nr. di fantasia), c’è l’ultimo carro in coda”. Questi di buon grado obbediva e si accingeva a verificare quanto richiestogli. Senza pensare che era un ordine assurdo. Certo che esiste sempre un ultimo carro in coda al treno merci! Questo era lo scherzo frequente che veniva messo in atto al “valico ferroviario”soprattutto di notte, nei momenti in cui vi era poco da fare. I poveri malcapitati erano quei finanzieri trasferiti da poco al Reparto.
Durante la mia permanenza al Passo del Brennero, quindi, ci sono stati anche momenti di svago e divertimento, nonostante il gravoso servizio cui eravamo sottoposti quotidianamente nei vari luoghi in cui eravamo demandati: valico stradale, ferroviario e riscontro. Il riscontro era eseguito appena fuori degli spazi doganali ed era esclusiva competenza della Guardia di Finanza, mentre gli altri erano in collaborazione con gli uffici doganali.
I turni al Valico erano abbastanza pesanti. Nell’arco delle 24 ore erano cosi distribuiti: 0/6, 6/12,12/18, 18/24 con 12 ore di riposo a distanza uno dall’altro. C’erano tuttavia momenti che per lenire le fatiche sopportate si architettava qualche scherzo. Quelli presi di mira maggiormente erano i nuovi arrivati.
In quel periodo, un personaggio singolare si aggirava a volte negli spazi doganali, facendo visita alla “Caina” che era in servizio.
La sua presenza era tollerata in quanto dava un momento di allegria e spensieratezza. La chiamavamo Maria “La Fulminata” e penso che coloro i quali sono stati al Brennero hanno avuto modo di conoscerla. Si diceva che fosse donna di “costumi abbastanza facili” ma non posso commentare e giudicare il suo comportamento. Quelle volte che ho avuto modo di dialogare con lei anche se teneva un atteggiamento frivolo e scherzoso, questo era sempre nei limiti della correttezza.
Devo riconoscere che i componenti di questo reparto svolgevano i loro compiti sempre con attenzione, abnegazione, competenza e molto senso del dovere. Nei miei turni di capo drappello dei servizi espletati ai Valichi sia stradale che ferroviario, non ho mai avuto nei confronti di questi militari problemi di ordine disciplinare. Rare volte gli Ufficiali dovevamo intervenire per infliggere punizioni. Avevamo anche frequenti ispezioni effettuate da Superiori comandanti di Gruppo e di Legione, sia di giorno che di notte. Ce n’era uno in particolare che non perdonava. Se non eri al tuo posto di servizio erano dolori.
Ho avuto occasione di trovarmi varie volte a patire le sue ispezioni. “Bene brigadiere come va”? “Comandante che vuole che le dica fa un po’ freddo”. C’erano dai 15 ai 20 gradi sottozero ed io ero in mezzo alla strada ad occuparmi dei controlli agli autotreni TIR, invece di stare dentro la garitta, riscaldata con una piccola stufetta a gas ma nonostante questo, i vetri erano ricamati dal gelo a causa della bassissima temperatura. Mi riferisco al posto particolare denominato “Riscontro”.
Chi è stato in quegli anni in Alto Adige sicuramente saprà di chi parlo.
Ricordo solamente di episodio occorso ad un mio collega vicebrigadiere. Uscito di pattuglia in perlustrazione nelle montagne circostanti al Brennero, subì un controllo dal nostro comandante di compagnia. Successe un qualcosa di anomalo, nel senso che se non ricordo male, non fu trovato nel posto in cui doveva essere ad un orario prestabilito. Per tale inottemperanza gli furono dati diversi giorni di C.P.R.(Camera di Punizione di Rigore). Questo gli causò un notevole ritardo nell’avanzamento al grado superiore. Rimase vicebrigadiere per diversi anni oltre il tempo stabilito per avanzare a brigadiere.
Ricordo invece, un altro momento, questa volta positivo, che accadde proprio nel periodo in cui ero in quel Reparto.
C’era un finanziere: Rosaci, non mi sovviene il suo nome, di origine calabrese che aveva un fiuto pazzesco nell’individuare merce occultata di contrabbando.
Una volta scoprì un autotreno TIR con un doppio fondo nel quale erano contenute sigarette di tabacco lavorato estero (t.l.e.). Successivamente individuò un intero vagone ferroviario sempre con merce analoga. Eppure di fronte questi risultati ottenuti era sempre al suo posto di servizio e lo assolveva con serietà, modestia e competenza, senza vantarsi dei significativi risultati ottenuti.
Eravamo costantemente impegnati, comunque avevamo anche le nostre ore di libertà
Al Brennero non è che ci fosse una grande attrazione o svago, tranne che entrare in uno dei pochi locali pubblici per prendere un caffè, qualcosa da bere o fare qualche spuntino. Se non ricordo male, il lunedì e il giovedì, c’era una specie di mercatino, frequentato specialmente da austriaci e tedeschi. Mi è rimasta impressa la colazione che facevano queste persone a base di cappuccino e affettati: salame, prosciutto o mortadella. Che dire questo tipo di colazione per noi italiani non è che piacesse molto, tuttalpiù la colazione la si faceva con brioche e cappuccino oppure con un caffè. Ma come dire, paese che vai usanze che trovi.
Tornando al nostro tempo libero, lo sfruttavamo scendendo dal Brennero nei paesi situati in fondo valle: Colle Isarco, Vipiteno, Fortezza, in Val Pusteria, a Brunico. A volte ci spingevamo fino a Bolzano distante circa 80 chilometri. Questo quando le condizioni climatiche lo permettevano in quanto durante i mesi invernali la neve scendeva copiosa ed era arduo affrontare la strada, anche se costantemente gli spazzaneve funzionavano regolarmente, spargendo il sale sul manto stradale.
Chi aveva la passione dello sci, specialmente nel periodo invernale, di solito raggiungeva una delle mete più vicine. Questa era la località sciistica di “Monte Cavallo” nei pressi di Vipiteno.
A me non tanto attirava il fatto di andare a sciare e quando riuscivo ad accumulare due giorni di permesso, prendevo la mia Fiat 1100R e andavo a Marghera (VE) a trovare la mia famiglia e i miei amici. Di solito partivo finito il turno 18/24. Dopo mezzanotte quindi mi mettevo in macchina e cominciavo a percorre la strada per arrivare a Bolzano, Trento. Lì mi immettevo nella statale 47 – Valsugana – attraversavo i paesi di Levico Terme, Borgo Valsugana, Bassano del Grappa, Padova ed infine arrivavo a Marghera, dopo quasi 5 ore di viaggio. A volte a metà percorso dovevo fermarmi per fare un pisolino per non andare fuori strada a causa di qualche colpo di sonno.
Di solito approdavamo a Vipiteno (Sterzing) in tedesco. Si andava a vedere qualche film al cinema e frequentare qualche locale dove si ballava oppure andare a mangiare qualcosa nei locali tipici altoatesini. Mi piaceva e mi piace tuttora gustare le uova con lo speck. Generalmente si scendeva in compagnia di qualche altro collega sottufficiale con i quali si aveva un rapporto di amicizia. C’era però una cosa strana che notavamo, l’assenza dei finanzieri nonostante anch’essi avessero i loro momenti di libera uscita. Ci ponevamo questa domanda : “ Ma dove va la «Caina» quando hanno i permessi?” Nel nostro gergo la Caina erano tutti gli appartenenti al nostro Corpo.
Ma scoprimmo l’arcano. Per svelarlo è necessario fare un passo indietro.
All’epoca in cui prestavo servizio, gli echi degli attentati terroristici, ancora non erano spenti. Si parlava spesso della tragedia avvenuta a Malga Sasso, un distaccamento nostro, proprio sopra le montagne del Brennero. Nell’esplosione avvenuta il 9 settembre 1966, alle ore 11.30 del mattino che distrusse la caserma, persero la vita,, il tenente Franco Petrucci, il vicebrigadiere Herbert Volgger e il finanziere Martino Cossu.
Nella soffitta della nostra caserma ancora erano piazzate le mitragliatrici ed i sacchetti di sabbia. La caserma era sorvegliata giorno e notte. Di notte una sentinella vigilava davanti al portone dell’edificio. D’inverno a causa del freddo intenso il suo equipaggiamento era: cappotto di scolta e scarponi adeguati, per non rischiare il congelamento dei piedi. Il turno durava solo mezz’ora.
In conseguenza di questa situazione, per noi appartenenti dalla Guardia di Finanza, ci era stato fatto divieto di espatriare in Austria. Non so da dove provenisse questa disposizione e chi l’avesse emanata, sta di fatto che per noi esisteva questo divieto ma non per i Carabinieri. Questa situazione non è che ci piacesse molto ma come militari dovevamo osservarla, pena qualche provvedimento disciplinare.
Fortunatamente con i Carabinieri preposti al controllo passaporti avevamo buoni rapporti e con qualcuno di loro avevamo instaurato un buon legame.
Accadde quindi che un brigadiere dell’Arma, con il quale avevamo fatto amicizia, invitò me e il collega Addari, mi pare che il suo nome fosse Igino, a fare un giro a Innsbruck, in Austria. Questa era una delle prime località oltrepassato il confine . Ci assicurò che non ci sarebbero stati problemi in quanto erano loro responsabili per il controllo all’espatrio. Siamo saliti quindi a bordo della sua auto in direzione dell’Austria. Dopo aver preso l’autostrada, attraversato il ponte Europabrucke, uno dei più alti di Europa, con i suoi 190 metri di altezza, siano giunti a Innsbruck. Era la prima volta che espatriavo e che mi trovavo in questa tipica cittadina, capitale del Tirolo Austriaco. Il collega carabiniere ci propone, come prima alternativa, di andare a mangiare al Wienervald il galletto con le patatine fritte, accompagnato da un bel bicchiere di birra scura. Questo era un locale molto rinomato. Abbiano accettato. La scelta è stata azzeccata perché non avevo mai mangiato una pietanza così gustosa. Dopo questo il collega carabiniere avanza l’idea di recarci allo Schindler, una discoteca che per l’epoca era molto frequentata. Una volta entrati, ecco scoperto l’arcano di cui avevo fatto cenno. Con nostra grande meraviglia mia e del collega, abbiamo constatato dove stava tutta la “Caina”. A ballare allo Schindler! Ci siamo guardati in faccia io e Addari increduli di fronte a quella apparizione. Il carabiniere, come se nulla fosse accaduto, non prese parte. Sicuramente era al corrente della situazione ma non ne fece cenno e non commentò. Ci siamo chiesti : “Ma questi qua in che modo e con quale stratagemma usano per espatriare, considerato i divieti che ci sono in atto. Ecco il motivo per cui a Vipiteno non si vedeva l’ombra di nessun finanziere. Molto probabilmente questi ragazzi con la compiacenza dei colleghi carabinieri o di qualcun altro loro amico, riuscivano ad espatriare, logicamente rischiando problemi di natura disciplinare ma tant’è che il segreto era stato svelato.
A mio rischio e pericolo, dopo quella volta ci sono andato ancora in Austria anche con la mia Fiat 1100R. Avevo scoperto un passaggio che dall’Italia portava in Austria. Anche a distanza di quasi cinquant’anni ho ritrosia a rivelare come eludevo i controlli all’ espatrio. Incoscienza giovanile? Magari le superiori gerarchie erano conoscenza ma lasciavano fare? Mah! Sta di fatto che non ero il solo, molti di noi si avventuravano, al di là del confine, finanzieri semplici e graduati. Comunque eravamo così accorti che per tutta la mia permanenza al reparto non successe mai nulla. “La CAINA!”
Mi piaceva troppo ritornare al Wienervald e gustare il pollo con le patatine fritte o fermarmi ai chioschi ambulanti e mangiare il panino con il wurstel alla senape o con lo speck, pane nero di segala e birra scura. Andare allo Schindler e trascorrere qualche ora in mezzo a tanta gioventù e fare incontri soprattutto con le ragazze . Nonostante i problematici rapporti con l’Austria non era difficile avere conoscenze femminili. Conosco colleghi che si sono uniti in matrimonio proprio con delle donne austriache.
Scherzo attraverso un falso fonogramma di trasferimento immediato al brigadiere Longobucco.
Varie volte con il collega Longobucco di cui non ricordo il nome ci fiondavamo in Val Pusteria nella cittadina di Brunico. Avevo fatto amicizia con questo collega anche lui sottufficiale, di origine calabrese. Il motivo per il quale ci spostavano a Brunico era perché lui proveniva proprio da quel reparto prima di essere trasferito al Brennero e quindi aveva ancora delle conoscenze, amici ed amiche che desiderava andare a trovare. Da solo non gli piaceva e chiedeva sempre la compagnia di qualcuno, me compreso.
Longobucco era una “macchietta” simpatico, allegro, disponibile e amico con tutti, al punto che una volta decidemmo di fargli uno scherzo. Fu scritto un falso fonogramma nel quale vi era indicato che il sottufficiale doveva essere trasferito con effetto immediato alla Brigata della Guardia di Finanza di Tubre, in Val Venosta, provincia di Bolzano, distante circa 170 chilometri e a due ore e mezza di automobile dal Brennero.
Letto il messaggio Il povero ragazzo non sapeva che pesci prendere, era sbigottito da quell’ordine. Dovette in fretta e furia raccogliere tutta la sua roba, metterla in valigia, nel baule, e caricarla nella sua auto. Salutò tutti gli amici, salì in macchina e stava per partire per la nuova destinazione quando lo fermammo, facendogli capire, che non era niente vero e che gli avevamo fatto uno scherzo, mostrandogli il falso fonogramma. Tutti quelli che stavano davanti al portone della caserma andati per salutarlo non finivano di sbellicarsi dalle risate, al punto che anche lui tralasciò tutta l’ansia che aveva in corpo e si mise a ridere, mandandoci tutti “a quel paese”.
Il momento di lasciare il Reparto per essere destinato ad altra sede è giunto dopo più di due anni di permanenza.
A distanza di circa mezzo secolo affiorano dai meandri della mia mente alcuni nomi dei centocinquanta componenti la Compagnia del Brennero tra finanzieri sottufficiali ed ufficiali. Brigadieri: Addari Igino, Sorgente, Cardinale, Feroce, Vezzali, Soro, Ausiello, Senatore, Lorenzi. M.llo capo La Franca Domenico. Finanzieri: Petrella, Angius, Amodeo, Gronchi Nirvo, Stano Claudio. Ufficiali: Cap: Stanca comandante la Compagnia, tenenti: Ferro, Scaramuzzino, De Martina.
Chiedo scusa per tutti gli altri che non ho nominato. Il tempo è tiranno. Come un manto di neve che copre le montagne intorno al Valico, lo stesso ha coperto anche i loro nomi dalla mia mente. Nel profondo del mio animo però ci sono tutti. Con loro ho condiviso sia gioie e spensieratezza giovanile che tristezza. Persone che hanno vissuto insieme a me momenti di vita singolare, sia per l’appartenenza alle Fiamme Gialle sia per aver condiviso con me il sacrificio di un lavoro importante, al servizio della collettività. Un doveroso ricordo anche a quelli che hanno dato la propria vita nell’adempimento del dovere.
Giuseppe Abbaterusso

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Ispezione

Confine Italo-Austriaco

Valico internazionale del Brennero -anni 69/71

Ispezione
Ci viene comunicato che è prevista una ispezione alla Compagnia del Brennero da parte del Comandante Generale. All’epoca in cui vi prestavo servizio era il generale Raffaele Giudice.
Comandante di Corpo D’Armata a tre stelle, proveniente dall’Arma di Fanteria.
In quel periodo i comandanti generali della G.di F. provenivano ancora dall’Esercito. Solamente il 26 maggio 2010 la Commissione difesa del Senato approvò il disegno di legge che permise di nominare quale Comandante del Corpo un generale di corpo d’armata proveniente dalla stessa Guardia di Finanza.
Bene, per il giorno indicato, tutti i componenti della caserma, sono stati riuniti nella sala più grande della caserma per rendere omaggio alla visita dell’ufficiale superiore. Furono esclusi  quelli comandati di servizio nei luoghi previsti: valico stradale, valico ferroviario, entrambi in  entrata ed uscita dalla Stato, il servizio di riscontro e quello negli spazi doganali.
Il tempo trascorreva e il generale non arrivava. Com’era consuetudine in queste circostanze ci si preparava molto tempo prima e l’attesa provocava non poco disagio da parte del personale. Si doveva rimanere inquadrati pronti per scattare al comando dell’ “Attenti”, dato dal comandante del reparto, in onore all’ospite. Così, chiusi in questa sala, si aspettava pazientemente questo evento. Alla fine il generale arrivò. Fu accolto all’ingresso della caserma e salutato militarmente, da un drappello di finanzieri, comandato da un ufficiale, come di norma ci si comporta in circostanze del genere. A questo punto è iniziata la visita del Generale ai locali del reparto ma non si capisce per quale motivo non fu messo al corrente che tutto il personale si trovava rinchiuso nello stanzone ad attenderlo. Dopo aver ispezionato vari luoghi, si imbatte davanti alla porta di questo locale e aprendola, si trova di fronte tutti i componenti del reparto schierati. Vedendo questa moltitudine di persone  e rivolgendosi al suo seguito composto sia dai suoi, accompagnatori che dagli ufficiali responsabili del reparto: un capitano e due tenenti esordisce chiedendo:
“Ma che fa tutta questa gente qua?”
Attimi di silenzio…ma non c’è stato nessuno in grado di dichiarare il motivo per cui tutti quegli uomini si trovavano in quella stanza ben allineati e coperti. Comunque fu dato il fatidico “Attenti”. Dopo questo comando, il Generale ha dato inizio alla rivista. Mentre ispezionava il personale si soffermava di tanto in tanto commentando sul loro aspetto: capelli lunghi, divisa non in ordine, cravatta fuori posto, scarpe fuori ordinanza e così via, sino al termine del giro. Gli ufficiali al seguito, annotavano le varie osservazioni, fatte a carico degli uomini sottoposti ad ispezione. In conseguenza di queste annotazioni si ottenne il risultato di comminare delle sanzioni, fortunatamente non gravi a carico degli sfortunati malcapitati. Furono assegnati infatti, dei giorni di “consegna”, per le irregolarità riscontrate. Questo fu l’epilogo di quel giorno dedicato alla visita alla compagnia del Brennero del Comandante Generale Raffaele Giudice e, chi ne pagò le conseguenze, furono alcuni di quelli che per ore erano stati rinchiusi nel salone ad attenderlo.

Generale Raffaele Giudice
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I due tenenti

Alto Adige – Contine Italo Austriaco – Valico Internazionale del Brennero – anni 69/70

Arrivo al Reparto di due tenenti provenienti dall’Accademia

Ho prestato servizio in molti luoghi, sono stato a contatto con molte persone, con colleghi, con superiori, di ogni ordine e grado, ne ho apprezzato le loro doti e i loro difetti. Ho sempre cercato di comportarmi correttamente sia nell’ambiente interno che esterno. Ho cercato di andare d’accordo con tutti nei limiti del tollerabile e dove potevo dare una mano mi sono sempre prodigato per aiutare chi era in difficoltà. Purtroppo non sempre le cose vanno nel verso che uno vorrebbe. A volte ci si imbatte in situazioni, che non vorresti mai incontrare.
Lascio pertanto alla discrezione dei lettori, commentare sui fatti avvenuti in questo racconto, il quale cita un episodio accadutomi molto tempo fa, quando da giovane sottufficiale, mi trovavo a svolgere il mio compito al Valico Internazionale del Brennero, nella Regione Trentino-Alto Adige.
Il lavoro che si svolgeva al Passo del Brennero era suddiviso in turni composti da 6 ore ciascuno intervallato da 12 ore di riposo. L’attività era piuttosto stressante, in qualità di sottufficiale mi veniva dato l’incarico di essere a capo di un drappello di uomini che in entrata ed in uscita dallo Stato Italiano dovevano svolgere controlli a persone e mezzi che attraversavano il confine sia doganali che e a tutela di tutte le leggi fiscali contemplate dal nostro Ordinamento.
Vi erano giorni in cui il traffico di autoveicoli che transitava per il valico era talmente intenso che non si aveva il tempo di andare ai servizi igienici e per farlo dovevamo chiedere la sostituzione con altro collega direttamente sul posto. La mancanza di un solo addetto poteva pregiudicare tutto l’andamento del traffico causando code di autoveicoli e insofferenza da parte della gente.
Quindi a causa di questi turni pesanti, dei pasti quasi sempre consumati in orari impossibili, della vita frenetica e stressante effettuata al valico di confine, ho cominciato ad accusare vari disturbi allo stomaco. Sembra inverosimile ma nonostante ci trovavamo in una località di montagna ove si presume che l’aria che si respira sia di buona qualità, per noi che eravamo di turno al valico autostradale era davvero un dramma. Il più delle volte infatti respiravamo l’aria inquinata che fuoriusciva dai tubi di scarico degli autoveicoli per l’intero turno. Decisi pertanto di fare una visita medica recandomi un giorno ad una struttura ospedaliera situata alla vicina cittadina di Vipiteno. (Sterzing il nome in tedesco) ove fui sottoposto ad una radiografia allo stomaco.
Mi fu riscontrata infatti un principio di “ulcera duodenale” e il medico mi prescrisse un periodo di riposo e cura. Purtroppo per rendere efficace questa certificazione avrei dovuto avere l’avallo di una struttura ospedaliera militare. La più vicina si trovava a Bolzano città distante 80 Km circa dal Brennero.
Presento dunque i documenti al mio Comando con la richiesta di recarmi a Bolzano e ripetere ancora una volta l’esame radiografico. Ricordo che un medico militare aveva espresso il suo disappunto nel fatto che si sarebbe dovuto ripetere a distanza di pochi giorni un altro esame del genere. Tuttavia mi viene eseguito e questa volta l’esito fu soltanto “gastro duodenite” anziché un principio di ulcera. Ma quello che era importante per me e che mi diedero 40 giorni di convalescenza.
La preoccupazione per l’inconveniente accaduto al mio stomaco era sopperita dal fatto che ero ben lieto di andare a riposare per 40 giorni. Tenuto conto che ci trovavamo nel periodo estivo, credo fosse il mese di luglio, ho pensato bene di andare a trascorrere questi giorni al mare, nella casa estiva che i miei genitori possedevano in Puglia. Prima avrei dovuto passare per Marghera (VE) ove la mia famiglia ha dimora abituale. Il tempo di organizzarci e dopo qualche giorno ci mettiamo in viaggio verso il mare di Puglia a bordo della mia Fiat 1100 R. Ci vogliono dodici ore per giungere a destinazione, anche se la maggior parte del tragitto viene fatto in autostrada “Adriatica – A14”. Si entra al casello di Marghera e si esce in quello di Bari, poi si prende la superstrada per Brindisi-Lecce e poi altri 70 Km per arrivare nei pressi di Morciano di Leuca e raggiungere la Marina di Pescoluse. Il viaggio è lungo e la stanchezza si fa sentire, ma passa alla vista di questo mare splendido e di tutto il territorio circostante coperto da distese di ulivi a perdita d’occhio, il sole, il cielo azzurro, la terra rossa, i profumi e i colori della macchia mediterranea mi riempiono il cuore e lo spirito e mi fanno ben sperare che la mia scelta di trascorrere la mia convalescenza in questi posti fu proprio azzeccata.
Grazie alla buona cucina di mia madre, forse preoccupata più di me per il mio problema, mi sottopongo ad un regime alimentare controllato, con il proposito di giungere ad una guarigione. I giorni trascorrono piacevolmente. Riposo, sole, mare, bagni, gli incontri con gli amici, le uscite a pesca subacquea di cui sono molto appassionato mi rilassano al punto che anche il mio stomaco comincia a riprendersi.
Per 40 giorni avevo dimenticato il Passo del Brennero.
Ma come tutte le cose anche questa ebbe la sua fine. Era arrivato il momento del mio rientro al reparto, ma prima avrei dovuto fare delle visite mediche presso le strutture medico-militari che avrebbero dovuto dare il benestare per riprendere o meno la mia attività. Qui comincia una specie di calvario. La prima tappa è l’Ospedale Militare di Lecce, il quale non avendo la strumentazione radiologica necessaria mi comunica che avrei dovuto raggiungere quella di Bari dove non sono visitato immediatamente, ma devo aspettare qualche giorno lì in ospedale. Giunto finalmente il mio turno mi viene eseguita nuovamente una radiografia il cui esito convince i medici a giudicarmi “idoneo” e quindi mi avvertono che devo raggiungere nel più breve tempo possibile il mio reparto e riprendere l’attività.
Il tempo di riordinare le mie cose, caricare la macchina e ripartire per destinazione Brennero, non prima però di effettuare una capatina a casa dei genitori che nel frattempo anche loro erano rientrati a Marghera. Un breve saluto e riparto, arrivo al Brennero verso mezzanotte, sono stanco, saluto il piantone che mi ha aperto la porta e decido di andare a dormire subito, con la preoccupazione di consegnare tutta la documentazione medica, in mio possesso, al mattino successivo.
Alzatomi di buon ora, mi reco nella sala situata al piano terra in attesa che l’ufficio destinato a ricevere i miei documenti si apra, ancora non sono proprio concentrato e non mi rendo conto che mio malgrado devo ritornare al Valico di Frontiera e sopportare quei turni maledetti e pranzare o cenare ad orari impossibili che tanto hanno contribuito ad ammalare il mio stomaco.
Mentre ero assorto in questi pensieri, mi sento chiamare ad alta voce: “Ei brigadiere non si saluta un suo superiore quando lo si incontra?“ Mi giro e mi trovo davanti un ufficiale, un veloce sguardo ai gradi che porta e capisco che è un tenente, ma che non avevo mai visto prima. Gli rispondo salutandolo militarmente: “Mi perdoni signor tenente, ero sopra pensiero, sono in attesa che apra l’ufficio per consegnare i documenti medici che ho con me. Provengo da una convalescenza di 40 giorni a causa di una malattia allo stomaco diagnosticata come -gastro duodenite-”. Lui di rimando: “Come! arriva al reparto e non si presenta al suo superiore?” Gli rispondo : “Ma guardi che sono rientrato tardi stanotte e sono andato subito a dormire, nessuno mi ha informato della sua presenza e non so nemmeno se la mia squadra è alle sue dipendenze”. ”Convalescenza?, ma come mai, lei e’ tutto abbronzato” che convalescenza ha fatto? Rispondo: “Guardi che ho approfittato del periodo estivo e considerato che i miei familiari possiedono una casa al mare in Puglia ho deciso di andare a trascorrere questi giorni al mare per curarmi.”
Il tenente con fare arrogante mi dice: “Va bene brigadiere ora vada a consegnare la documentazione ma le rammento che non appena incontro il Comandante della Compagnia lo informerò del fatto che lei giunto al reparto non si è presentato al suo superiore diretto e inoltre mi torna tutto -abbronzato- da una convalescenza, la proporrò quindi per farle abbassare le sue NOTE CARATTERISTICHE”. Detto questo Il tenente si allontana. Io educatamente lo saluto ancora militarmente ma rimango impietrito da quello che è appena accaduto. Rimugino tra me, “ma come è possibile? cosa ho mai combinato per avere un simile trattamento?”. Mentre pensavo a queste cose, si avvicina un collega, che poco lontano aveva assistito alla scena, lo fermo e gli chiedo: “Ma mi sai dire chi è quell’individuo?” Lui mi dice: “Sono due tenenti assegnati al Brennero non appena hanno finito il corso in Accademia. Non ti preoccupare, stanno facendo così da quando sono arrivati, sono dei bei rompiscatole, si attaccano su tutto, sull’ordine della divisa, controllano se i nostri capelli sono corti, insomma fanno di tutto per essere antipatici.”
Penso tra me, “capperi che bel rientro e che bella accoglienza! Ho l’impressione che qua non sarà come prima con questi due ufficiali, Se ne vedranno delle belle”!
Avevo lasciato il reparto diretto da Superiori abbastanza accondiscendenti, nel senso che capivano le difficoltà operative che il personale impiegato doveva affrontare e discretamente gestivano la disciplina in modo oculato. Intervenivano infatti solo in casi in cui qualcuno commetteva qualche grave infrazione. Tutto il personale era composto da giovani finanzieri e sottufficiali che in genere erano coscienti e responsabili di quello che facevano. Ora l’arrivo di questi due tenenti aveva squilibrato tutta la vita di caserma.
Fortunatamente, il Comandante della Compagnia, era persona saggia e cercava di tenerli a bada, non prendendo in considerazione tutte le loro lamentele che avevano riguardo al comportamento del personale. Sono grato a lui, e non avevo dubbi in proposito, sul fatto che non prese mai in considerazione la richiesta che io ritengo veramente “balorda” e senza un minimo di logica sul fatto che io avessi dovuto avere le mie note caratteristiche abbassate per il semplice motivo di essere tornato al reparto “abbronzato”. Una cosa veramente assurda. Chissà che concetto avevano questi due tenenti della vita di reparto. Sta di fatto comunque che durante tutta la loro permanenza alla Compagnia del Brennero andavano cercando sempre il “pelo nell’uovo” che a mio avviso, in considerazione delle condizioni in cui si operava, avrebbero dovuto tenere nei nostri confronti un diverso atteggiamento. Sfortunatamente erano stati assegnati qua e dovevamo sopportarli e cercare di non commettere nei limiti del possibile azioni che secondo il loro punto di vista fossero deprecabili e oggetto di provvedimenti disciplinari.
Ebbi ancora altre volte contrasti con questi due tenenti. Con queste persone diventa difficile relazionarsi, hanno sempre una certa prevenzione di mala fede sul comportamento e quindi non va mai bene nulla. In coscienza ritengo di essermi sempre comportato con correttezza nello svolgimento del mio lavoro, e quando venivo fatto oggetto di osservazioni strane da parte loro, avevo proprio un senso di frustrazione. Facevano pesare insomma di essere un tuo superiore in ogni manifestazione dovendo sempre ubbidire ed accettare le loro strane richieste. Questi atteggiamenti mi ricordano una battuta che mi fu detta da un anziano istruttore quando ero ancora al corso presso la Scuola Alpina. Mi fece questa domanda: “Allievo, sai perché fuori della caserma c’è sempre la sentinella?” Io gli risposi quello che ritenevo giusto rispondere sul fatto di questa presenza che fosse per una sorta di tradizione militare che è osservata in tutte le strutture militari. Sbagliato rispose: “La sentinella sta di guardia fuori dalla caserma per impedire che entri la “Logica”. Io mi feci una grande risata, ma lui di rimando: “non c’è nulla da ridere, caro ragazzo, è proprio così la realtà.”
Comunque fortunatamente io lasciai il reparto definitivamente prima di loro, essendo stato assegnato con mio grande sollievo dopo quasi due anni e mezzo di permanenza al Brennero, ad altro reparto in Lombardia.
Non ricordo, forse proprio, per una forma di rimozione, nemmeno i nomi di questi due ufficiali, mentre ricordo perfettamente quelli di altri, che devo dire sono stati davvero persone signorili in tutto, dal contatto umano a quello del lavoro.

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Amodeo

Confine-Italo-Austriaco

Valico del Brennero

Triste notte

Sono passati molti anni dal giorno in cui è accaduto l’episodio che tento di narrare. Mi ritorna abbastanza offuscato, vuoi per il tempo trascorso. vuoi anche per una sorta di rimozione dalla mia mente.
In quel periodo mi trovano al Valico Internazionale del Passo del Brennero ai confini tra Italia ed Austria; una porta aperta verso tutta l’Europa Continentale e già a quel tempo (1970) il transito sia civile che commerciale era notevole. In inverno si raggiungono qui anche 20 gradi sotto zero ma se sei ben coperto, non soffri molto, perché è freddo secco e non umido.
Lo spettacolo invernale della natura è incantevole, la neve raggiunge svariati metri di altezza, tutto intorno alle montagne si intravede un paesaggio incontaminato. Giù a valle il silenzio è interrotto solamente dal passaggio dei veicoli e dei treni che si accingono ad attraversare la frontiera.
Ricordo che proprio alle spalle della nostra Caserma scorgevo, dalle finestre della mia camera, una cascata gelata, riflettere in mille colori i raggi del sole.
Il nostro Comando era composto da una Compagnia di quasi 150 elementi, per la maggior parte non sposati. Questo perché il luogo era abbastanza disagiato per cui un militare sposato doveva affrontare notevoli sacrifici per raggiungerlo e poter svolgere il proprio lavoro.
Il paese più vicino ove si potevano trovare i servizi più essenziali, quali la scuola, l’ospedale, ed altre amministrazioni pubbliche, distava circa sette o otto chilometri. Poteva essere facile in estate da questi luoghi raggiungere il “Passo”, ma in inverno era davvero problematico. Nevicava spesso e il fondo stradale la notte, era quasi sempre sotto il gelo, con grave pericolo per la percorribilità delle strade, anche se periodicamente veniva gettato il sale, per cercare di non fare gelare la strada.
Era il primo reparto che mi era stato assegnato, dopo aver terminato i corsi di istruzione per conseguire lo stato di Sottufficiale, alla Scuola del Lido di Ostia.
Inizialmente non ero soddisfatto di questa sede. Mi sentivo un po’ defraudato e scontento di non essere stato mandato come molti altri miei colleghi in reparti operativamente ritenuti più interessanti sotto l’aspetto professionale ed ubicati in posti meno disagiati ma essendo stato, poco diligente nello studio, non avevo raggiunto in graduatoria, i posti necessari per meritarmi sedi migliori.
Col passare del tempo, dopo i primi mesi di disagio ambientale, sono riuscito ad instaurare un buon rapporto anche di amicizia, con gli altri colleghi, in considerazione anche del fatto che eravamo quasi tutti della stessa età, sia i militari semplici che i graduati. E quando eravamo liberi da impegni, dimenticando la gerarchia militare andavamo insieme a divertirci scendendo a valle, generalmente verso Colle Isarco, Vipiteno e se avevano più tempo arrivavamo anche a Brunico in Val Pusteria.
Col tempo avevo imparato anche il segreto di espatriare di nascosto in Austria ed arrivare alla vicina cittadina di Innsbruck. Qui, con mia grande meraviglia, ero riuscito finalmente a scoprire i locali dove i colleghi più scaltri e smaliziati, andavano a divertirsi, a rischio di possibili sanzioni disciplinari. Nel periodo di cui faccio cenno, infatti, era tassativamente proibito per noi, come Corpo della Finanza, espatriare legalmente, a causa di non buoni rapporti col Paese confinante, per via degli attentati terroristici che in quegli anni scuotevano la bilingue regione autonoma del Trentino Alto Adige.
I turni da intraprendere al Valico erano di sei ore intervallati da dodici ore di riposo, poi si riprendeva nuovamente. La rotazione era questa: 0-6,-18-24,12-18,6-12. Era duro lavorare in queste condizioni.
Ricordo comunque ancora volentieri il rituale che si compiva ad ogni turno di servizio.
Come giovane sottufficiale, ero orgoglioso di accompagnare il drappello di uomini che inquadrato militarmente e in bell’ordine partiva dalla Caserma, attraversava il paese per raggiungere il valico, assottigliandosi mano a mano, fino ad esaurirsi una volta che l’ultimo militare occupava il suo posto, dando il cambio al collega per fine turno.
Due venivano lasciati al «riscontro», due al «valico ferroviario», due al «valico in uscita» dall’Italia e due al «valico in entrata». Altri due rimanevano nell’ambito degli spazi della Dogana, con il compito di ordinare e controllare il traffico degli automezzi pesanti che si avvicinavano al Passo. Questi dovevano necessariamente fermarsi, per procedere alle operazioni doganali per poi attraversare la frontiera.
Il mio posto si trovava nei locali del “valico entrata” e per sei ore ero il responsabile della cosiddetta “Squadra Valico” a disposizione di qualsiasi evenienza. Ogni tanto infatti c’era sempre qualche problema da risolvere, controlli da effettuare ai veicoli alle persone, alle cose. Devo dire che non ci si annoiava proprio e poi era anche qui in questo posto di frontiera un lavoro interessante per la formazione professionale, in materia soprattutto doganale, ma anche sotto altri aspetti, considerato che la legge italiana concedeva al nostro Corpo innumerevoli facoltà con una larga autonomia operativa.
Il traffico pesante era notevole sia di giorno che notte. Ci voleva abbastanza polso fermo per tenere in riga i camionisti che come ben si sa, non hanno un carattere docile. Alcuni in attesa del loro turno si ubriacavano per poi dare in escandescenze. Erano di diverse nazionalità: polacchi, finlandesi, danesi, ma la maggior parte erano tedeschi.
La Germania infatti non era molto lontana dal Brennero, bastava attraversare l’Austria e subito si arrivava alla frontiera tedesca.
Quindi i due militari addetti a questo incarico avevano molto lavoro da svolgere per tenere ordinato il piazzale doganale da eventuali scorribande. Avevano il compito di incolonnare gli autocarri e fare attendere il loro turno per il disbrigo delle pratiche doganali.
Quella notte, Il finanziere Amodeo, (purtroppo non ricordo il suo cognome) era uno di questi. Aveva il suo bel da fare spostandosi di continuo per cercare di calmare i più irrequieti, e i meno pazienti.
Parlando di lui ecco che mi balena nella mente, come se accadesse in questo momento, il dramma che si verificò quella notte.
Era un giovane finanziere, non aveva ancora 22 anni, molto serio e scrupoloso nello svolgere il suo lavoro. Rispettoso dei suoi superiori non aveva mai dato adito a comportamenti scorretti o a gesti di insofferenza alla disciplina. A volte potevano saltare i nervi avendo a che fare con gente come i camionisti, insofferenti ai comandi e agli ordini che venivano a loro impartiti, al fine di meglio organizzare il lavoro doganale. Con estrema fermezza e senso del dovere, riusciva a farsi rispettare da questa gente. Loro ubbidivano di buon grado alle sue richieste di mettere il loro mezzo in colonna ed aspettare pazientemente il proprio turno.
Ma ecco che ad un certo punto della notte accade quello che uno non si aspetterebbe mai. Non si sa bene per quale motivo, un camioncino che si trovava in coda, abbastanza lontano dal piazzale, in attesa del proprio turno, in zona priva di illuminazione, di colpo, inspiegabilmente esce dalla colonna, avviandosi a fari spenti ed a velocità sostenuta verso la Dogana. Nessuno dei due militari del «controllo piazzale» lo aveva invitato ad uscire dal suo posto.
Amodeo infatti stava scendendo proprio verso quel luogo perché aveva notato una certa confusione, quando questo veicolo lo investe in pieno.
La mattina successiva si vedrà la violenza dell’impatto lasciata sulla carrozzeria del mezzo, Una vistosa ammaccatura all’altezza della testa fa capire immediatamente cosa è successo durante la notte.
Amodeo viene investito dal camioncino e perde la vita sul colpo.
Si immagini lo sgomento di tutti noi nell’apprendere la notizia. Cosa si può dire? Un profondo malessere fisico e mentale indescrivibile ci pervase per molto tempo.
Un ragazzo di ventidue anni che si spegne in questo modo nell’adempimento del proprio dovere. In un attimo svanisce l’intero sogno di una vita. I progetti, le amicizie, gli affetti più cari. Tutto rimane lì per terra accanto a lui.
La commozione che ti prende nel vedere il dolore dei suoi familiari giunti tempestivamente dalla lontana Calabria è immensa. Non è facile raccontare questi stati d’animo. La morte di un congiunto porta via una parte di te insieme a lui.
Ho sperimentato queste sensazioni in prima persona, sulla mia pelle, moltissimi anni dopo questo accadimento e assicuro che si muore un’altra volta insieme a colui il quale ci lascia per sempre.

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