Bizzarone

distintivo 6^ legione g.d.f.

Bizzarone
Questa storia è tratta dai miei ricordi oramai lontani nel tempo ma ancora vivi in me come se fossero accaduti di recente. Tutto ebbe origine da un ordine di trasferimento temporaneo nel quale si ordinava che dovevo raggiungere un reparto, ubicato in un’altra località, sempre a ridosso del confine Italo – Svizzero.
La motivazione esatta di questo mio movimento non l’ho mai saputa, ma con una certa dose di attendibilità, presumo che sia da attribuire ad una sorta di punizione. Mi spiego. Nel posto dove mi trovavo, che non consiglierei nemmeno al mio peggior nemico, prima di essere trasferito, prestavo unitamente a tutti i componenti il reparto, turni pesantissimi, ad ogni ora del giorno e della notte, dovevamo uscire in perlustrazione al confine di Stato per reprimere eventuali reati di carattere fiscale e non.
Nonostante i notevoli disagi cui eravamo sottoposti, eravamo anche oggetto di continue ispezioni da parte degli ufficiali superiori. Durante una di queste azioni ispettive, si verificò un problema sulla localizzazione della pattuglia di cui facevo parte. Nel posto e nell’ora che l’ufficiale riteneva di trovarci, noi non c’eravamo. Mi furono chiesti chiarimenti scritti che io giustificai cercando di spiegare che il mio incarico, quel giorno, secondo il mio punto di vista, era stato svolto correttamente rispettando gli orari e i percorsi indicati nel foglio di servizio. Evidentemente le mie argomentazioni non convinsero molto l’ufficiale ma non avendo egli elementi sufficienti per infliggere delle sanzioni disciplinari, si limitò ad emettere un ordine di trasferimento temporaneo, con destinazione: “Bizzarone”, cioè un’altra località il cui territorio era sempre confinante con la Svizzera.
Non sto a descrivere nei minimi particolari la figura di questo ufficiale, ma un accenno sul suo comportamento lo devo fare. Era considerato un incubo, effettuava continuamente ispezioni, giorno e notte e al solo sentire nominare il suo nome, il personale veniva preso dal panico. Era molto incline ad emettere provvedimenti disciplinari per quei militari che secondo la sua logica riteneva che non rispettassero sia i regolamenti che le altre direttive e quindi fioccavano le punizioni.
Questo era lo scotto da pagare per chi sfortunatamente, a quel tempo, ebbe assegnata la zona di confine tra l’Italia e la Svizzera. Considerata a rischio, sotto il profilo della illecita attività contrabbandiera era incessantemente monitorata dai comandi superiori in considerazione del fatto che il personale occupante le caserme era troppo giovane ed inesperto. La quasi totalità proveniva direttamente dai reparti di istruzione. Tutta gente fortemente motivata, con una gran voglia di entrare in gioco e mettere in pratica tutte le nozioni apprese alle Scuole. Purtroppo un conto era la teoria, altro era la pratica e quindi tutta questa gente giovane ed inesperta, obbligata a svolgere incarichi molto delicati, con la possibilità non remota di trovarsi anche di fronte alla necessità di far uso delle armi in zona di vigilanza doganale, aveva bisogno di essere controllata e seguita.
Per questi motivi tutta la zona era allertata, poiché non accadessero incresciosi episodi violenti, tra chi commetteva questi reati e i militari. Evidentemente non bastava essere animati da tanti buoni propositi e da tanto coraggio, ci voleva anche tanta esperienza, che era quella che mancava ai numerosi giovani che si trovavano a prestare la loro opera in quei luoghi.
Tornando quindi al mio trasferimento devo dire che questa cosa mi seccò molto, ho sempre avuto una avversione ad essere avvicendato, è una cosa che non sopportavo, eppure nel nostro ambiente era una prassi usuale, e non c’era verso di evitarlo. Era un’arma che i comandi usavano quando, dove e come volevano. Il povero malcapitato oggetto di questa attenzione, doveva in silenzio ubbidire e di buon grado apprestarsi ad effettuare il movimento. Fintanto che uno non era ammogliato, poteva anche andare bene, ma immaginate a quali disagi e complicazioni sarebbe andata incontro una famiglia intera, con figli in età scolastica o lavorativa. Eppure bisognava accettare pena il rischio di sanzioni o addirittura essere congedati e perdere il posto. Comunque dovetti accettare mio malgrado l’ordine. Anche se il luogo che lasciavo era a dir poco pessimo, mi dispiaceva abbandonare i colleghi con i quali avevo familiarizzato.
Sembra inverosimile, ma la solidarietà con la gente e l’amicizia, si ottiene sempre nelle condizioni più disagiate e il cameratismo si sente più forte. Anche se i contrasti tra di noi venivano alla luce, ma sostanzialmente ci rispettavamo e se potevamo ci aiutavamo uno con l’altro cercando di superare i molti momenti tristi della nostra vita in quel reparto. Tanto la speranza era che un giorno o l’altro saremmo stati avvicendati. Era previsto infatti che dopo aver compiuto un certo periodo di tempo in quelle zone, o a domanda o d’ufficio potevamo essere trasferiti.
Bizzarone, dunque, questa località è situata nella provincia di Como al confine con la Svizzera, all’epoca aveva una circoscrizione molto ampia, bisognava controllare circa tre chilometri di rete di confine: la cosiddetta “ramina”. Il Reparto aveva due valichi di frontiera, uno pedonale ed uno stradale. Questa situazione richiedeva un impegno notevole.
Ai tempi in cui mi trovavo là, la zona era fortemente a rischio di traffici illeciti tra la Svizzera e L’Italia. Vi erano generi quali le sigarette, il caffè, la saccarina, gli orologi, l’oro, i diamanti ed altri prodotti sottoposti in Italia a regime di monopolio che in Svizzera era più conveniente acquistare ma per essere regolarizzati in Italia dovevano sottostare al pagamento di diritti doganali. Questa pratica generalmente non veniva adottata e sia la gente del luogo che altri preferivano evitare questi obblighi importando clandestinamente la merce.
Per farlo, venivano escogitati tutti gli espedienti possibili ed immaginabili. Si attraversava il confine a piedi violando la protezione delle rete fiscale che lo Stato Italiano avevo posto per arginare il fenomeno, ma come deterrente non valeva molto.
Ad ogni ora del giorno e della notte, la frontiera veniva violata. Era una constatazione di fatto. Dalle perlustrazioni che venivano effettuate ci accorgevamo dei buchi alla rete che venivano praticati. Si andava di pattuglia muniti di filo di ferro e tenaglie per cercare di riparare le maglie della rete bucata. Altri modi per importare merce nel nostro territorio erano quelli di attraversare i valichi di frontiera, occultando il carico negli autoveicoli, o qualsiasi altro mezzo di locomozione, oppure se si trattava di merce non molto voluminosa questa veniva nascosta anche addosso alla persona stessa. Quando avevamo sospetto che qualcuno, uomo o donna avesse addosso merce di contrabbando, questa veniva accompagnata, nell’apposito locale, dove veniva perquisita e molte volte l’esito era positivo.
Ci si alternava, sia al valico pedonale che a quello stradale, più i pattugliamenti lungo la zona di confine dove c’era la rete fiscale. Nonostante la malinconia che mi aveva preso a causa del trasferimento di buon grado mi ero messo a fare il mio dovere anche in quel posto. Una sera mentre ero comandato al valico stradale riesco, così ad intuito, ad individuare un comportamento anomalo di una persona che a piedi transitava dalla Svizzera all’Italia. Lo faccio accompagnare nella sala delle visite e qua emerge durante la perquisizione personale che aveva nascosto, sotto la camicia, un corpetto, ove era occultata della saccarina. Di quanto accaduto, ho ottenuto le grazie del comandante del reparto che mi ha additato ad esempio, per tutti gli altri colleghi.
“Avete visto?” Diceva:, ”Neanche una settimana che si trova qua ed ha già fatto un risultato. Fate come lui e metteteci impegno quando andate al valico”. Io lusingato da questo trattamento, in tutto il periodo della mia permanenza nel reparto ho sempre cercato di non deludere le aspettative del comandante. Ho cercato di impegnarmi molto nello svolgimento dei miei compiti. A volte anche una semplice parola di elogio, ti dà quel senso di gratificazione che ti aiuta a fare bene il proprio lavoro.
Il reparto era composto da una quindicina di militari la gran parte erano di origine sarda, Orrù, Macis, Piras, Madeddu ecc. Per scherzo veniva chiamata la “Brigata Sassari”, per via delle origini della quasi totalità dei componenti. Per chi non lo sapesse la Brigata Sassari è una formazione di fanteria dell’Esercito Italiano di stanza in una località della Regione Campania e quindi non ha nulla a che fare con il nostro reparto ma io ed altri, per scherzo e per battute, alla Brigata di Bizzarone le avevamo affibbiato quel soprannome.
Questi Sardi tra di loro erano molto uniti. Io li rispettavo e loro rispettavano me. Ho sperimentato che l’uomo sardo è un tipo che se ti diventa amico è amico vero. Hanno uno spiccato senso dell’amicizia, del dovere e dell’onore ma guai a non essere leale nel comportamento nei loro confronti. In questo caso ti trovi di fronte il peggior nemico. Comunque non ho avuto problemi ad essere accettato come nuovo componente del reparto anche se non facevo parte della loro Regione. Nei loro riguardi non ho mai avuto problemi, probabilmente ero entrato nelle loro simpatie e tutto procedeva regolarmente. I turni si avvicendavano con regolarità: perlustrazioni lungo la rete di confine, controllo al valico pedonale e stradale. Il paese offriva poche distrazioni, e ai tempi vigeva la regola, un po’ anacronistica, che ci imponeva di non familiarizzare con le gente del luogo per evitare di essere oggetto di corruzione a causa dell’attività di contrabbando che alimentava quei luoghi di confine. Perciò quei pochi momenti liberi che avevamo dovevamo prendere l’autobus e spostarci in altre località. La città più vicina era Como e quindi per avere un po’ di distrazione, ci dovevamo recare là.

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