Amodeo

Confine-Italo-Austriaco

Valico del Brennero

Triste notte

Sono passati molti anni dal giorno in cui è accaduto l’episodio che tento di narrare. Mi ritorna abbastanza offuscato, vuoi per il tempo trascorso. vuoi anche per una sorta di rimozione dalla mia mente.
In quel periodo mi trovano al Valico Internazionale del Passo del Brennero ai confini tra Italia ed Austria; una porta aperta verso tutta l’Europa Continentale e già a quel tempo (1970) il transito sia civile che commerciale era notevole. In inverno si raggiungono qui anche 20 gradi sotto zero ma se sei ben coperto, non soffri molto, perché è freddo secco e non umido.
Lo spettacolo invernale della natura è incantevole, la neve raggiunge svariati metri di altezza, tutto intorno alle montagne si intravede un paesaggio incontaminato. Giù a valle il silenzio è interrotto solamente dal passaggio dei veicoli e dei treni che si accingono ad attraversare la frontiera.
Ricordo che proprio alle spalle della nostra Caserma scorgevo, dalle finestre della mia camera, una cascata gelata, riflettere in mille colori i raggi del sole.
Il nostro Comando era composto da una Compagnia di quasi 150 elementi, per la maggior parte non sposati. Questo perché il luogo era abbastanza disagiato per cui un militare sposato doveva affrontare notevoli sacrifici per raggiungerlo e poter svolgere il proprio lavoro.
Il paese più vicino ove si potevano trovare i servizi più essenziali, quali la scuola, l’ospedale, ed altre amministrazioni pubbliche, distava circa sette o otto chilometri. Poteva essere facile in estate da questi luoghi raggiungere il “Passo”, ma in inverno era davvero problematico. Nevicava spesso e il fondo stradale la notte, era quasi sempre sotto il gelo, con grave pericolo per la percorribilità delle strade, anche se periodicamente veniva gettato il sale, per cercare di non fare gelare la strada.
Era il primo reparto che mi era stato assegnato, dopo aver terminato i corsi di istruzione per conseguire lo stato di Sottufficiale, alla Scuola del Lido di Ostia.
Inizialmente non ero soddisfatto di questa sede. Mi sentivo un po’ defraudato e scontento di non essere stato mandato come molti altri miei colleghi in reparti operativamente ritenuti più interessanti sotto l’aspetto professionale ed ubicati in posti meno disagiati ma essendo stato, poco diligente nello studio, non avevo raggiunto in graduatoria, i posti necessari per meritarmi sedi migliori.
Col passare del tempo, dopo i primi mesi di disagio ambientale, sono riuscito ad instaurare un buon rapporto anche di amicizia, con gli altri colleghi, in considerazione anche del fatto che eravamo quasi tutti della stessa età, sia i militari semplici che i graduati. E quando eravamo liberi da impegni, dimenticando la gerarchia militare andavamo insieme a divertirci scendendo a valle, generalmente verso Colle Isarco, Vipiteno e se avevano più tempo arrivavamo anche a Brunico in Val Pusteria.
Col tempo avevo imparato anche il segreto di espatriare di nascosto in Austria ed arrivare alla vicina cittadina di Innsbruck. Qui, con mia grande meraviglia, ero riuscito finalmente a scoprire i locali dove i colleghi più scaltri e smaliziati, andavano a divertirsi, a rischio di possibili sanzioni disciplinari. Nel periodo di cui faccio cenno, infatti, era tassativamente proibito per noi, come Corpo della Finanza, espatriare legalmente, a causa di non buoni rapporti col Paese confinante, per via degli attentati terroristici che in quegli anni scuotevano la bilingue regione autonoma del Trentino Alto Adige.
I turni da intraprendere al Valico erano di sei ore intervallati da dodici ore di riposo, poi si riprendeva nuovamente. La rotazione era questa: 0-6,-18-24,12-18,6-12. Era duro lavorare in queste condizioni.
Ricordo comunque ancora volentieri il rituale che si compiva ad ogni turno di servizio.
Come giovane sottufficiale, ero orgoglioso di accompagnare il drappello di uomini che inquadrato militarmente e in bell’ordine partiva dalla Caserma, attraversava il paese per raggiungere il valico, assottigliandosi mano a mano, fino ad esaurirsi una volta che l’ultimo militare occupava il suo posto, dando il cambio al collega per fine turno.
Due venivano lasciati al «riscontro», due al «valico ferroviario», due al «valico in uscita» dall’Italia e due al «valico in entrata». Altri due rimanevano nell’ambito degli spazi della Dogana, con il compito di ordinare e controllare il traffico degli automezzi pesanti che si avvicinavano al Passo. Questi dovevano necessariamente fermarsi, per procedere alle operazioni doganali per poi attraversare la frontiera.
Il mio posto si trovava nei locali del “valico entrata” e per sei ore ero il responsabile della cosiddetta “Squadra Valico” a disposizione di qualsiasi evenienza. Ogni tanto infatti c’era sempre qualche problema da risolvere, controlli da effettuare ai veicoli alle persone, alle cose. Devo dire che non ci si annoiava proprio e poi era anche qui in questo posto di frontiera un lavoro interessante per la formazione professionale, in materia soprattutto doganale, ma anche sotto altri aspetti, considerato che la legge italiana concedeva al nostro Corpo innumerevoli facoltà con una larga autonomia operativa.
Il traffico pesante era notevole sia di giorno che notte. Ci voleva abbastanza polso fermo per tenere in riga i camionisti che come ben si sa, non hanno un carattere docile. Alcuni in attesa del loro turno si ubriacavano per poi dare in escandescenze. Erano di diverse nazionalità: polacchi, finlandesi, danesi, ma la maggior parte erano tedeschi.
La Germania infatti non era molto lontana dal Brennero, bastava attraversare l’Austria e subito si arrivava alla frontiera tedesca.
Quindi i due militari addetti a questo incarico avevano molto lavoro da svolgere per tenere ordinato il piazzale doganale da eventuali scorribande. Avevano il compito di incolonnare gli autocarri e fare attendere il loro turno per il disbrigo delle pratiche doganali.
Quella notte, Il finanziere Amodeo, (purtroppo non ricordo il suo cognome) era uno di questi. Aveva il suo bel da fare spostandosi di continuo per cercare di calmare i più irrequieti, e i meno pazienti.
Parlando di lui ecco che mi balena nella mente, come se accadesse in questo momento, il dramma che si verificò quella notte.
Era un giovane finanziere, non aveva ancora 22 anni, molto serio e scrupoloso nello svolgere il suo lavoro. Rispettoso dei suoi superiori non aveva mai dato adito a comportamenti scorretti o a gesti di insofferenza alla disciplina. A volte potevano saltare i nervi avendo a che fare con gente come i camionisti, insofferenti ai comandi e agli ordini che venivano a loro impartiti, al fine di meglio organizzare il lavoro doganale. Con estrema fermezza e senso del dovere, riusciva a farsi rispettare da questa gente. Loro ubbidivano di buon grado alle sue richieste di mettere il loro mezzo in colonna ed aspettare pazientemente il proprio turno.
Ma ecco che ad un certo punto della notte accade quello che uno non si aspetterebbe mai. Non si sa bene per quale motivo, un camioncino che si trovava in coda, abbastanza lontano dal piazzale, in attesa del proprio turno, in zona priva di illuminazione, di colpo, inspiegabilmente esce dalla colonna, avviandosi a fari spenti ed a velocità sostenuta verso la Dogana. Nessuno dei due militari del «controllo piazzale» lo aveva invitato ad uscire dal suo posto.
Amodeo infatti stava scendendo proprio verso quel luogo perché aveva notato una certa confusione, quando questo veicolo lo investe in pieno.
La mattina successiva si vedrà la violenza dell’impatto lasciata sulla carrozzeria del mezzo, Una vistosa ammaccatura all’altezza della testa fa capire immediatamente cosa è successo durante la notte.
Amodeo viene investito dal camioncino e perde la vita sul colpo.
Si immagini lo sgomento di tutti noi nell’apprendere la notizia. Cosa si può dire? Un profondo malessere fisico e mentale indescrivibile ci pervase per molto tempo.
Un ragazzo di ventidue anni che si spegne in questo modo nell’adempimento del proprio dovere. In un attimo svanisce l’intero sogno di una vita. I progetti, le amicizie, gli affetti più cari. Tutto rimane lì per terra accanto a lui.
La commozione che ti prende nel vedere il dolore dei suoi familiari giunti tempestivamente dalla lontana Calabria è immensa. Non è facile raccontare questi stati d’animo. La morte di un congiunto porta via una parte di te insieme a lui.
Ho sperimentato queste sensazioni in prima persona, sulla mia pelle, moltissimi anni dopo questo accadimento e assicuro che si muore un’altra volta insieme a colui il quale ci lascia per sempre.

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