Aiuto nel bosco

Confine Italo-Svizzero – anni 64/67
Brigata G.di F. Bizzarone
Aiuto nel bosco
In questi luoghi, in quegli anni, la risorsa economica principale era l’attività di contrabbando, in special modo quello dei tabacchi lavorati esteri (t.l.e.) oltre ad altri generi :(orologi, oro, diamanti, saccarina, ecc.). I reparti della G.di F. erano costantemente impegnati 24 su 24 ore nel contrastare questo fenomeno. A volte si risolveva con il fermo e il sequestro della merce e i veicoli utilizzati per il trasporto. Altre volte, dopo estenuanti turni, il servizio terminava senza alcun risultato.
Il racconto che vado a narrare è imperniato proprio su un sevizio conclusosi con un nulla di fatto dal lato operativo ma nello stesso tempo, appagante per me dal lato umano.
Aiuto nel bosco
Era giunta l’ora di intraprendere i servizi cui eravamo demandati, chi doveva andare al valico pedonale, chi a quello stradale, io quella notte dovevo uscire di pattuglia con un collega, a perlustrare la rete di confine e reprimere eventuali azioni di contrabbando.
Nonostante fossi ancora nuovo del posto, trasferito temporaneamente, il collega mi dice:
“Se vogliamo riuscire a fare qualche risultato ovvero se vogliamo sequestrare qualche “bricolla” di sigarette, questa notte ci dobbiamo separare, tu ti fermi in questa posizione io vado più avanti…. Se vedi qualcosa di anomalo in qualche modo dammi qualche segnale, io farò altrettanto. Quando scadrà il turno ritorna per la strada che abbiamo fatto e ci incontriamo all’incrocio di quel sentiero” e mi indica e il nome di quel posto. Io non avevo altra scelta e per dimostrare a lui che non avevo alcun timore a rimanere solo, di notte, in mezzo ad un bosco, che non conoscevo, ho accettato questa situazione. Anche se devo dire che una certa apprensione l’avevo. Nonostante fossimo armati di moschetto e pistola d’ordinanza, il rischio e l’imprevisto erano sempre in agguato.
Così, quella notte trascorsi tutto il turno sdraiato per terra, dentro il sacco a pelo, e ad ogni rumore sospetto tendevo le orecchie e aguzzavo la vista per individuare se erano persone o animali notturni che si muovevano nel bosco.
Allo scadere del turno, arrotolo il sacco a pelo, prendo il moschetto e comincio a riprendere la strada di ritorno, cercando di ricordare da quale parte ero venuto, perché niente di più facile era perdersi di notte nel bosco e, non avendo apparati radio con noi, con cui comunicare la posizione, diventava problematico il rientro, a meno di non aspettare che facesse giorno.
Nonostante questi pensieri, mi metto in cammino, quando ad un certo punto del sentiero, vedo una massa scura per terra a pochi metri da me. Non nascondo un certo imbarazzo, ancora non riesco a distinguere bene cosa può essere. Penso, magari è qualche contrabbandiere. Lentamente mi avvicino, e con mio grande stupore vedo che per terra c’è un uomo, che si lamenta, mi chino su di lui, faccio per chiedergli qualcosa, chi è, da dove viene, ma subito capisco dall’odore del suo alito che è una persona ubriaca e, molto probabilmente colta da malore, si è persa nel bosco.
In qualche modo riesco a farlo alzare, ed appoggiarlo su di me. Lui mi dice balbettando che si è sentito male, ed è caduto per terra e non ricorda da quanto tempo si trova in quella situazione. Al che, io gli chiedo, se si ricorda dove abita che lo avrei accompagnato fino a casa sua. In qualche modo riesce a spiegarmi la direzione da prendere per arrivare alla sua abitazione. Lentamente quindi ci siamo incamminati. Già stava albeggiando quando giungo a destinazione, busso alla porta, si affaccia qualcuno, chiedo se conoscono la persona che sta con me, trovata distesa per terra lì nel bosco. Qualcuno dice: “Si è nostro padre, ed eravamo proprio preoccupati della sua scomparsa”. Bene dico io: ”Ora è qua sano e salvo.”Metto nelle loro mani questa persona che felici di aver ritrovato il loro familiare immediatamente la fanno entrare in casa. Talmente la preoccupazione e la felicità di averlo ritrovato che chiudono la porta dietro di loro, lasciandomi lì davanti, come una statua. Beh! Ho pensato tra me, almeno un ringraziamento avrebbero potuto darlo, d’accordo che in queste zone noi finanzieri non siamo ben visti per via del lavoro che facciamo, ma almeno un segno di riconoscimento…che diamine..!”
Con questi pensieri, riprendo la via del ritorno anche per andare incontro al collega che già mi aspettava al punto prestabilito per rientrare al Reparto. Racconto a lui l’accaduto il quale amaramente commenta: ”Non te la prendere, sai come è la situazione in questi posti, la gente non ci vede di buon occhio per via della nostra attività, qui vivono del contrabbando e noi non siamo ben accettati.”
Un poco rincuorato dalle parole del collega, mi adeguo alla situazione e il mio pensiero principale del momento è quello di depositare il sacco a pelo, e il moschetto e andare a riposare. La notte è stata lunga e stressante, francamente avevo un poco di stanchezza, non vedevo l’ora di andare a dormire.
Alzatomi, dopo aver riposato le giuste ore, mi preparo per andare a pranzare, quando un collega mi chiama e mi avverte di andare nella sala perché, ci sono due persone che mi cercano. Indovinate che erano? Si era proprio la persona che avevo accompagnato a casa durante la notte e in sua compagnia c’era anche uno dei suoi figli. Volevano ringraziarmi per il gesto compiuto nei confronti del papà. Si scusavano se in quel momento non avevano dato a me attenzione, ma erano così frastornati e felici di aver ritrovato il familiare che non avevano pensato a me. Per disobbligarsi pertanto il figlio cerca di consegnarmi un busta con del denaro dentro. Al che io rifiuto immediatamente l’offerta, dicendo che non avevo fatto altro che il mio dovere di pubblico ufficiale e di cittadino. A me non spettava alcuna ricompensa io avevo solamente compiuto un “atto di umanità” che qualsiasi persona avrebbe fatto trovandosi nella mia situazione. Il figlio accettando la mia volontà, rimette via la busta ma mi stringe calorosamente la mano e commosso mi ringrazia ancora. Lo stesso fa il padre e mi fa una promessa dicendomi che l’esperienza è stata davvero brutta e che in futuro cercherà di non alzare più il gomito per ubriacarsi.
La mia permanenza a Bizzarone è stata breve, infatti dopo poco tempo mi arriva un altro ordine di rientro per la Brigata di Cavallasca/Colombirolino, da dove ero partito. Non ho gridato di gioia, né di andare via da Bizzarone né di ritornare a Colombirolino.
La situazione era ugualmente gravosa in entrambe le parti. L’unica consolazione era che tornavo dai miei compagni di sventura anche se con i ragazzi della brigata di Bizzarone avevo fatto amicizia e a loro dispiacque che me ne andassi via, come pure al comandante, ma gli ordini bisognava eseguirli.

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Topolino

Confine Italo-Svizzero- anno 1965
Bizzarone
Il topolino
Una sera, d’inverno, mentre eravamo in attesa di uscire di pattuglia, la stufa a legna era accesa, e qualcuno tagliava fette di pane che faceva abbrustolire sulla piastra, poi con un poco di formaggio sardo e olio d’oliva spalmato sopra, le gustavamo chiacchierando del più e del meno in attesa dell’orario degli interventi da intraprendere. Ad un certo punto sbuca da non so dove un topolino, che forse attirato dall’odore del formaggio si era messo a passeggiare per la stanza. Uno di questi colleghi sardi appena vide il topolino, gli lanciò contro il coltello, che aveva in mano. Fatalmente l’utensile andò a conficcarsi proprio con la punta, sulla parete di legno, a pochi centimetri dal topolino. Sbigottiti ci siamo guardati in faccia e ci siamo messi tutti a ridere, per quella azione. Nemmeno al cinema si vedono queste cose riuscire così bene. Divertiti chiedemmo all’autore di questa azione se per caso lui prima di essere arruolato era stato lanciatore di coltelli, vista l’abilità che aveva dimostrato nel maneggiare quell’aggeggio. Lui logicamente rispose di no dicendo che era stato un puro caso che si fosse conficcato in quel modo a pochi centimetri dal topolino che impaurito subito scomparve.

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Bizzarone

distintivo 6^ legione g.d.f.

Bizzarone
Questa storia è tratta dai miei ricordi oramai lontani nel tempo ma ancora vivi in me come se fossero accaduti di recente. Tutto ebbe origine da un ordine di trasferimento temporaneo nel quale si ordinava che dovevo raggiungere un reparto, ubicato in un’altra località, sempre a ridosso del confine Italo – Svizzero.
La motivazione esatta di questo mio movimento non l’ho mai saputa, ma con una certa dose di attendibilità, presumo che sia da attribuire ad una sorta di punizione. Mi spiego. Nel posto dove mi trovavo, che non consiglierei nemmeno al mio peggior nemico, prima di essere trasferito, prestavo unitamente a tutti i componenti il reparto, turni pesantissimi, ad ogni ora del giorno e della notte, dovevamo uscire in perlustrazione al confine di Stato per reprimere eventuali reati di carattere fiscale e non.
Nonostante i notevoli disagi cui eravamo sottoposti, eravamo anche oggetto di continue ispezioni da parte degli ufficiali superiori. Durante una di queste azioni ispettive, si verificò un problema sulla localizzazione della pattuglia di cui facevo parte. Nel posto e nell’ora che l’ufficiale riteneva di trovarci, noi non c’eravamo. Mi furono chiesti chiarimenti scritti che io giustificai cercando di spiegare che il mio incarico, quel giorno, secondo il mio punto di vista, era stato svolto correttamente rispettando gli orari e i percorsi indicati nel foglio di servizio. Evidentemente le mie argomentazioni non convinsero molto l’ufficiale ma non avendo egli elementi sufficienti per infliggere delle sanzioni disciplinari, si limitò ad emettere un ordine di trasferimento temporaneo, con destinazione: “Bizzarone”, cioè un’altra località il cui territorio era sempre confinante con la Svizzera.
Non sto a descrivere nei minimi particolari la figura di questo ufficiale, ma un accenno sul suo comportamento lo devo fare. Era considerato un incubo, effettuava continuamente ispezioni, giorno e notte e al solo sentire nominare il suo nome, il personale veniva preso dal panico. Era molto incline ad emettere provvedimenti disciplinari per quei militari che secondo la sua logica riteneva che non rispettassero sia i regolamenti che le altre direttive e quindi fioccavano le punizioni.
Questo era lo scotto da pagare per chi sfortunatamente, a quel tempo, ebbe assegnata la zona di confine tra l’Italia e la Svizzera. Considerata a rischio, sotto il profilo della illecita attività contrabbandiera era incessantemente monitorata dai comandi superiori in considerazione del fatto che il personale occupante le caserme era troppo giovane ed inesperto. La quasi totalità proveniva direttamente dai reparti di istruzione. Tutta gente fortemente motivata, con una gran voglia di entrare in gioco e mettere in pratica tutte le nozioni apprese alle Scuole. Purtroppo un conto era la teoria, altro era la pratica e quindi tutta questa gente giovane ed inesperta, obbligata a svolgere incarichi molto delicati, con la possibilità non remota di trovarsi anche di fronte alla necessità di far uso delle armi in zona di vigilanza doganale, aveva bisogno di essere controllata e seguita.
Per questi motivi tutta la zona era allertata, poiché non accadessero incresciosi episodi violenti, tra chi commetteva questi reati e i militari. Evidentemente non bastava essere animati da tanti buoni propositi e da tanto coraggio, ci voleva anche tanta esperienza, che era quella che mancava ai numerosi giovani che si trovavano a prestare la loro opera in quei luoghi.
Tornando quindi al mio trasferimento devo dire che questa cosa mi seccò molto, ho sempre avuto una avversione ad essere avvicendato, è una cosa che non sopportavo, eppure nel nostro ambiente era una prassi usuale, e non c’era verso di evitarlo. Era un’arma che i comandi usavano quando, dove e come volevano. Il povero malcapitato oggetto di questa attenzione, doveva in silenzio ubbidire e di buon grado apprestarsi ad effettuare il movimento. Fintanto che uno non era ammogliato, poteva anche andare bene, ma immaginate a quali disagi e complicazioni sarebbe andata incontro una famiglia intera, con figli in età scolastica o lavorativa. Eppure bisognava accettare pena il rischio di sanzioni o addirittura essere congedati e perdere il posto. Comunque dovetti accettare mio malgrado l’ordine. Anche se il luogo che lasciavo era a dir poco pessimo, mi dispiaceva abbandonare i colleghi con i quali avevo familiarizzato.
Sembra inverosimile, ma la solidarietà con la gente e l’amicizia, si ottiene sempre nelle condizioni più disagiate e il cameratismo si sente più forte. Anche se i contrasti tra di noi venivano alla luce, ma sostanzialmente ci rispettavamo e se potevamo ci aiutavamo uno con l’altro cercando di superare i molti momenti tristi della nostra vita in quel reparto. Tanto la speranza era che un giorno o l’altro saremmo stati avvicendati. Era previsto infatti che dopo aver compiuto un certo periodo di tempo in quelle zone, o a domanda o d’ufficio potevamo essere trasferiti.
Bizzarone, dunque, questa località è situata nella provincia di Como al confine con la Svizzera, all’epoca aveva una circoscrizione molto ampia, bisognava controllare circa tre chilometri di rete di confine: la cosiddetta “ramina”. Il Reparto aveva due valichi di frontiera, uno pedonale ed uno stradale. Questa situazione richiedeva un impegno notevole.
Ai tempi in cui mi trovavo là, la zona era fortemente a rischio di traffici illeciti tra la Svizzera e L’Italia. Vi erano generi quali le sigarette, il caffè, la saccarina, gli orologi, l’oro, i diamanti ed altri prodotti sottoposti in Italia a regime di monopolio che in Svizzera era più conveniente acquistare ma per essere regolarizzati in Italia dovevano sottostare al pagamento di diritti doganali. Questa pratica generalmente non veniva adottata e sia la gente del luogo che altri preferivano evitare questi obblighi importando clandestinamente la merce.
Per farlo, venivano escogitati tutti gli espedienti possibili ed immaginabili. Si attraversava il confine a piedi violando la protezione delle rete fiscale che lo Stato Italiano avevo posto per arginare il fenomeno, ma come deterrente non valeva molto.
Ad ogni ora del giorno e della notte, la frontiera veniva violata. Era una constatazione di fatto. Dalle perlustrazioni che venivano effettuate ci accorgevamo dei buchi alla rete che venivano praticati. Si andava di pattuglia muniti di filo di ferro e tenaglie per cercare di riparare le maglie della rete bucata. Altri modi per importare merce nel nostro territorio erano quelli di attraversare i valichi di frontiera, occultando il carico negli autoveicoli, o qualsiasi altro mezzo di locomozione, oppure se si trattava di merce non molto voluminosa questa veniva nascosta anche addosso alla persona stessa. Quando avevamo sospetto che qualcuno, uomo o donna avesse addosso merce di contrabbando, questa veniva accompagnata, nell’apposito locale, dove veniva perquisita e molte volte l’esito era positivo.
Ci si alternava, sia al valico pedonale che a quello stradale, più i pattugliamenti lungo la zona di confine dove c’era la rete fiscale. Nonostante la malinconia che mi aveva preso a causa del trasferimento di buon grado mi ero messo a fare il mio dovere anche in quel posto. Una sera mentre ero comandato al valico stradale riesco, così ad intuito, ad individuare un comportamento anomalo di una persona che a piedi transitava dalla Svizzera all’Italia. Lo faccio accompagnare nella sala delle visite e qua emerge durante la perquisizione personale che aveva nascosto, sotto la camicia, un corpetto, ove era occultata della saccarina. Di quanto accaduto, ho ottenuto le grazie del comandante del reparto che mi ha additato ad esempio, per tutti gli altri colleghi.
“Avete visto?” Diceva:, ”Neanche una settimana che si trova qua ed ha già fatto un risultato. Fate come lui e metteteci impegno quando andate al valico”. Io lusingato da questo trattamento, in tutto il periodo della mia permanenza nel reparto ho sempre cercato di non deludere le aspettative del comandante. Ho cercato di impegnarmi molto nello svolgimento dei miei compiti. A volte anche una semplice parola di elogio, ti dà quel senso di gratificazione che ti aiuta a fare bene il proprio lavoro.
Il reparto era composto da una quindicina di militari la gran parte erano di origine sarda, Orrù, Macis, Piras, Madeddu ecc. Per scherzo veniva chiamata la “Brigata Sassari”, per via delle origini della quasi totalità dei componenti. Per chi non lo sapesse la Brigata Sassari è una formazione di fanteria dell’Esercito Italiano di stanza in una località della Regione Campania e quindi non ha nulla a che fare con il nostro reparto ma io ed altri, per scherzo e per battute, alla Brigata di Bizzarone le avevamo affibbiato quel soprannome.
Questi Sardi tra di loro erano molto uniti. Io li rispettavo e loro rispettavano me. Ho sperimentato che l’uomo sardo è un tipo che se ti diventa amico è amico vero. Hanno uno spiccato senso dell’amicizia, del dovere e dell’onore ma guai a non essere leale nel comportamento nei loro confronti. In questo caso ti trovi di fronte il peggior nemico. Comunque non ho avuto problemi ad essere accettato come nuovo componente del reparto anche se non facevo parte della loro Regione. Nei loro riguardi non ho mai avuto problemi, probabilmente ero entrato nelle loro simpatie e tutto procedeva regolarmente. I turni si avvicendavano con regolarità: perlustrazioni lungo la rete di confine, controllo al valico pedonale e stradale. Il paese offriva poche distrazioni, e ai tempi vigeva la regola, un po’ anacronistica, che ci imponeva di non familiarizzare con le gente del luogo per evitare di essere oggetto di corruzione a causa dell’attività di contrabbando che alimentava quei luoghi di confine. Perciò quei pochi momenti liberi che avevamo dovevamo prendere l’autobus e spostarci in altre località. La città più vicina era Como e quindi per avere un po’ di distrazione, ci dovevamo recare là.

rete fiscale
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Stanotte le prendi

Confine Italo-Svizzero anni 1964/1967
Brigata di Colombirolino

Dalla Scuola Alpina al primo reparto di frontiera
O fai come ti dico io oppure stanotte “le prendi!”.
Queste furono le parole di un compagno di pattuglia, che mi disse, mentre eravamo comandati di perlustrazione con appostamento per la repressione del contrabbando, in un turno di notte, presso la Brigata Frontiera della Guardia di Finanza di Colombirolino, sotto il comune di Cavallasca, in provincia di Como.
Che dire, non sempre sei in pattuglia con colleghi con i quali vai d’accordo.
Tuttavia è stata la prima ed unica volta che mi è accaduta una cosa del genere. Sono sempre andato d’accordo con il compagno con il quale uscivo in pattuglia.
L’affermazione del collega mi causò un certo disgusto. Rimasi pietrificato dalla sua reazione. Avevo solamente cercato di suggerirgli l’itinerario da intraprendere per effettuare la perlustrazione in quanto ero più pratico di lui nel conoscere la circoscrizione perché da più tempo mi trovavo in quel luogo. Lui era giunto al reparto da poco e pensavo di essergli utile nel consigliarli quale era il miglior percorso da fare. Invece la sua fu una reazione strana, per me incomprensibile.
Se avesse messo in atto veramente l’intenzione di bastonarmi non so come sarebbe finita.
In me sarebbe scattata la molla di autodifesa. In quel momento mi sono visto quando da ragazzo sempre facevo a botte anche con quelli anche più grandi di me, senza paura, allorquando vedevo mettere in atto delle prepotenze. Non le sopportavo. Se erano rivolte a me, cercavo di difendermi, se erano rivolte a qualche compagno più debole, prendevo le sue difese.
Spesso e volentieri rincasavo con la testa sanguinante a causa di questi episodi.
Fortunatamente quella notte non accadde questo. Alla fine del servizio rientrammo senza che lui mettesse in atto quello che aveva minacciato.
Questo finanziere era da poco giunto al reparto e ancora non avevo familiarizzato ma dimostrava un comportamento strano, anche con tutto il resto dei componenti del reparto.
Accadeva spesso che venissero trasferiti elementi puniti in altri posti ai quali era stato assegnato l’anno di “esperimento”. Pensai ad una cosa del genere anche a suo carico. Questo elemento era taciturno e non si confidava con nessuno. Probabilmente aveva qualche problema e non gradiva parlarne.
In merito a ciò, penso che scatenò parte delle sue rabbie, nei miei confronti, in quella notte in cui eravamo insieme di pattuglia.
Certo che sarebbe stato problematico andare in servizio con tale elemento ma il caso volle che dopo poco tempo fu trasferito ad altro reparto. Non ricordo il suo nome e se lo avessi saputo sicuramente lo avrei rimosso della mia mente.
Questo episodio, accadde al mio primo reparto che mi fu assegnato, dopo aver terminato il corso di allievo finanziere presso la Scuola Alpina della Guardia di Finanza di Predazzo, nel lontano 1964.
Approfitto per narrare qui di seguito l’iter che mi ha condotto a tale reparto.
Dopo nove mesi di corso mi trovo assegnato alla 6^ Legione – della Guardia di Finanza di Como. Se non ricordo male ci giunsi nel mese di agosto. In attesa di conoscere la destinazione definitiva io, più altri colleghi ci alloggiano, per tre giorni, presso il comando compagnia di Cernobbio. All’epoca era comandata dal capitano Domenico Gaddoni. Questo ufficiale lo ritroverò nel corso della mia carriera, come comandante di nucleo pt e successivamente comandante di gruppo della G. di F. di Brescia con il grado di tenente colonnello.
Questi tre giorni sono stati per noi come una vacanza inaspettata. In attesa dell’assegnazione del reparto ci hanno dato la possibilità di scoprire le bellezze del Lago di Como.
Per noi è stata una bella e gradevole esperienza.
Ho avuto occasione di apprezzarlo ulteriormente quando dopo alcuni anni di servizio fui trasferito alla Brigata di Bellagio. Ancor oggi ho impresso nella mia mente dei bei ricordi dei momenti vissuti in quel reparto.
Non ricordo se queste passeggiate le facevamo in abiti borghesi oppure anche in uniforme col cappello alpino.
A proposito di questo copricapo devo fare alcune considerazioni. Alla Scuola Alpina era d’obbligo indossarlo nei momenti di libera uscita, nelle occasioni ufficiali ed altre occasioni. Faceva parte integrante della nostra uniforme. Purtroppo il magazzino vestiario, responsabile della fornitura del nostro equipaggiamento, ci aveva consegnato un capo di vestiario non per nulla soddisfacente ai nostri desideri. Sembrava una padella scalcinata. Per cui, in armonia con i militari presenti alla Scuola, istruttori, ufficiali ed altri che avevano un bel copricapo che calzava a puntino, anche noi avevamo provveduto ad aggiustarlo secondo le nostre misure. Per fare questo ci siamo avvalsi di persone che a Predazzo lo sapevano fare. In questo modo, anche noi eravamo in grado di indossare un capo, veramente in linea con le nostre esigenze. Questo, secondo noi allievi, dava un tocco di eleganza, alla nostra divisa. I superiori non obiettavano, ci lasciavano fare queste modifiche.
Era giunto il giorno che tutti i finanzieri provenienti dalla Scuola Alpina i quali erano stati assegnati alla Legione di Como, dovettero essere presentati al cospetto dal Comandante. All’epoca il colonnello Fausto Musto.
Tutti schierati nel salone del Comando attendevamo la sua apparizione per i discorsi di circostanza.
Di li a poco si presentò e fummo costretti ad assistere ad un increscioso episodio. Ancora prima di darci il benvenuto fece un bel “cazziatone” all’ufficiale che ci aveva accompagnato. Era un capitano di cui non ricordo il nome. Il motivo? Ebbene al Colonnello non piacque il nostro cappello alpino, così come era stato amorevolmente aggiustato e come si usava tenerlo a Predazzo.
“Capitano porti via questa gente e faccia cambiare immediatamente i cappelli a questi finanzieri e presentatevi a questo Comando dopo averlo fatto.”
Restammo allibiti sia noi che il capitano che non sapeva che pesci prendere, dopo questa sfuriata ricevuta dal Colonnello.
Così di buon grado il mattino successivo, si dovette andare al magazzino vestiario, ove fu provveduto a ricevere le nuove “padelle” come da volontà del Colonnello.
Trascorsi i tre giorni alla Compagnia di Cernobbio, ci vennero comunicati i reparti da raggiungere al fine di iniziare finalmente il nostro servizio.
A me unitamente ad altri tre o quattro, non ricordo esattamente tutti i nomi, mi vengono in mente solo quelli di Amato e Accili Roberto, ci assegnarono la Brigata Frontiera di Colombirolino. Questo reparto si trovava sotto il comune della cittadina di Cavallasca in provincia di Como.
Ecco quindi che mi trovo ad operare al mio primo reparto dopo essere uscito dalla Scuola Alpina.
La permanenza di questo luogo non fu certo dei più idilliaci. La caserma si trovava proprio a ridosso della rete fiscale di confine tra la Svizzera e l’Italia, in mezzo ad un bosco dove tutto attorno vi era il nulla. Per poter raggiungere il luogo bisognava percorrere, a piedi, un tratto i sentiero di circa un chilometro partendo dal paese di Cavallasca.
L’immobile non era certo un albergo: letti a castello, pavimento in assi di legno, privo di armadi. Il riscaldamento era costituito da una semplice stufetta a gas. Il reparto era composto da circa 20 componenti tutti finanzieri giovani più un comandante: un brigadiere coadiuvato ed un vicebrigadiere.
Nonostante tutto questo aspetto negativo, dovetti intraprendere l’attività di servizio che consisteva esclusivamente a contrastare soprattutto il contrabbando di sigarette (t.l.e) tabacco lavorato estero oltre ad altri generi: saccarina, preziosi, accendini, orologi, ecc.
La circoscrizione era abbastanza ampia, non ricordo esattamente la sua dimensione. A Nord, confinava con il reparto di Maslianico, a Ovest con quello di Parè e a Sud c’era la cittadina di Cavallasca.
Nel pattugliare la circoscrizione si procedeva esclusivamente a piedi percorrendo vari sentieri i cui nomi a volte erano abbastanza lugubri: sentiero delle vipere, dell’uomo morto e così via.
Uscivo in servizio sia di giorno che di notte, sotto la pioggia, la neve. Sempre in armonia con il mio compagno di pattuglia. Unico caso negativo fu quello qui narrato. Scherzavamo, rosicavamo, ma quando c’era da fare sul serio, affrontavamo qualsiasi imprevisto. Con i miei colleghi ci confortavamo a vicenda cercando di esorcizzare momenti difficoltosi. Dovevamo infatti essere sempre attenti, a contrastare sia il contrabbando, che le numerose ispezioni effettuate dai superiori gerarchici, cercando di evitare le punizioni che comminavano frequentemente, a volte anche per piccole mancanze.
Nonostante tutto ciò i mie compagni ed io animati dagli insegnamenti ricevuti alla Scuola Alpina non vedevamo l’ora di metterci in gioco. Dimostrare le nostre doti, le nostre capacità, sia personali che quelle ricevute al reparto d’istruzione. Nel nostro operare saltava fuori: il coraggio, la pazienza, la sopportazione, il sacrificio, il temperamento, l’audacia, l’onestà, la correttezza. Gli ideali di un giovane finanziere, fiero di indossare l’uniforme e appartenere a questa Famiglia, quale era ed è la Guardia di Finanza.

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Galante

Sica Galante

Scrivo queste note in ricordo di un collega con il quale abbiamo affrontato i primi servizi anticontrabbando dopo essere usciti dalla Scuola Alpina di Predazzo.
Alcuni giorni addietro, stavo messaggiando con un amico e collega in FB, quando vengo a sapere che aveva fatto servizio nel Corpo, in qualità di cinofilo e che la sua attuale residenza si trova a Castiglione del Lago in provincia di Perugia. Informato di questo, gli ho chiesto se conosceva due cinofili che avevano fatto servizio con me, al confine Italo-Svizzero, nella Brigata di Colombirolino, sotto il comune di Cavallasca in provincia di Como. Uno si chiamava Leone Vincenzo, se non ricordo male, originario di Alcamo (Tp), l’altro era Sica Galante, originario di un paesino della Calabria che, sempre dico, dal nome esotico di villaggio indiano: Simeri Crichi, in provincia di Catanzaro. Mi ricordo ancora il nome del suo cane : Medom.
Il collega con il quale ero in contatto in FB riconosce tutti e due in special modo Sica. Mi dice che da circa vent’anni abitano nella stessa cittadina di Castiglione del Lago. Purtroppo mi comunica che dal mese di Agosto dello scorso anno Galante Sica non è più tra noi.
Questa notizia mi ha causato una certa emozione, sono rimasto senza parole, in un attimo sono apparse nella mia mente ricordi di oltre 55 anni fa, in cui con Sica Galante abbiamo svolto servizio anticontrabbando al confine svizzero. Questa persona era di carattere simpatico ed allegro e sempre disponibile. Con i suoi atteggiamenti e il suo marcato accento calabrese, teneva su il morale di tutti i componenti del reparto.
A me piaceva veramente uscire di pattuglia con lui ed il suo cane. Non c’era un attimo di noia nel trascorrere il turno di servizio. Sempre si chiacchierava e si scherzava, mettendo da parte, per qualche momento la gravosità dell’ambiente che ci circondava.
Il suo cane Medom, un bel cane lupo, era purtroppo abbastanza vivace, a volte non recepiva immediatamente gli ordini che il suo padrone gli dava. Quando uscivamo in pattuglia, di notte, per i sentieri del bosco, al buio, la regola era che dovevamo camminare in silenzio, senza far rumore. Non dovevamo allarmare eventuali contrabbandieri che magari erano in attesa di attraversare il confine, con le bricolle di sigarette. Purtroppo l’effervescenza del cane Medom era irrefrenabile. Così accadeva che si creava una sorta di bolgia notturna, nel bosco, tra il cane e il suo padrone il quale cercava di frenare la sua irrequietezza. Queste acrobazie notturne andavano tuttavia a scapito del buon esito del servizio.
Tutti i colleghi erano a conoscenza di questi episodi, ma venivano tollerati e ci si scherzava anche sopra. La simpatia che emanavano sia Galante che il suo cane era tale che questi episodi notturni venivano accolti benevolmente. Non si è mai infierito contro il collega.
Ricordo che una volta siamo andati a Milano a trovare dei suoi parenti con la sua lambretta. Ancora mi chiedo da dove la tirò fuori, considerando che la caserma dove eravamo alloggiati non aveva la possibilità di parcheggiare alcun veicolo. Fatto sta che io, situato al sellino di dietro della lambretta ci siamo avventurati da Colombirolino a Milano. Sia il viaggio di andata che quello di ritorno è stata un’allegria continua e spontanea. Abbiamo trascorso veramente una bella giornata che ci ha fatto dimenticare per un attimo la nostra condizione di militari impegnati in gravosi servizi diuturni al confine.
Un particolare singolare che voglio far notare. Mi trovo iscritto a Facebook proprio grazie a Galante.
Premetto che sono sempre stato restio ad iscrivermi a questo “social” ma c’è stato un momento della mia vita, che ho avvertito come un sensazione ed un bisogno, ricercare vecchi colleghi con i quali a distanza di oltre 50 anni avevano condiviso con me, periodi di avventure belle e brutte in vari reparti del Corpo, specialmente in quelli più problematici sia sotto l’ aspetto del servizio che in quello dei rapporti con le gerarchie militari.
Ripensando pertanto a questi episodi, ecco che mi viene in mente il nome e il cognome di questo giovane finanziere cinofilo. Faccio una ricerca su Google e trovo sue tracce. E’ iscritto a Facebook. Anche se sono trascorsi moltissimi anni, lo riconosco, è lui. Vado nelle pagine bianche, rintraccio numero telefonico ed indirizzo. Provo a chiamare diverse volte ma trovo sempre la linea libera. Mah! penso forse non abita più lì e si è trasferito in altro luogo. Sto perdendo le speranze, quando un giorno, mi sento rispondere al telefono :
“Chi sei?”, mi chiede. Mi faccio riconoscere. Dico il mio nome e cognome. Attimi di esitazione, ancora non è convinto di quello che gli sto dicendo. Gli racconto tutta la storia di quando eravamo insieme alla Brigata di Colombirolino, insieme in pattuglia con il suo cane Medom. In un primo momento rimane perplesso, poi man mano che gli racconto gli avvenimenti vissuti insieme, si rende conto chi sono effettivamente. Un suo collega e compagno di lavoro. Per farla breve, per mettermi in pieno contatto con lui e per inviargli qualche foto di quel periodo, ho dovuto iscrivermi a Facebook .
Caro Galane, mi raccomando, da lassù comportati bene, non fare rumore specialmente di notte quando sei nel bosco con il tuo cane. Non trattarlo male è una bella bestia anche se un poco irrequieta.
R.I.P.

Galante con il suo cane Medom
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Sica

Perché mi sono iscritto a Facebook?
Premetto che sono stato sempre restio ad iscrivermi, avevo come un rifiuto nell’avventurarmi in quel mondo. Si sentono e dicono molte cose negative sul suo conto e quindi ho sempre desistito. Il motivo che mi ha convinto a farne parte, si trova nel racconto che vado a descrivere.
Non vorrei annoiare con questo mio scritto gli amici di FB, non voglio raccontare la storia della mia vita ma mi sono deciso a mettere nero su bianco qualcosa riguardante i miei ricordi di oltre 50 fa. Da giovane finanziere, ero stato trasferito, appena uscito dalla Scuola Alpina di Predazzo, ad un Reparto del confine italo-svizzero in provincia di Como: “la Brigata Frontiera della Guardia di Finanza di Colombirolino.”
Per raggiungerla dovevo percorrere qualche chilometro a piedi in mezzo al bosco partendo dal vicino paese di Cavallasca, in provincia di Como. Alla fine si raggiungeva una radura in cui si trovava la Caserma. Il luogo non era dei più idilliaci. Era proprio a ridosso del confine e a pochi metri dalla rete fiscale messa a tutela del nostro confine. Gli alloggi non erano certo camere di albergo: pavimenti in tavole di legno, che producevano un sacco di polvere. Ci si accorgeva di questo quando dovevamo pulirli. Letti a castello, armadi in plastica acquistati di tasca propria, per contenere i nostri capi di abbigliamento. Come riscaldamento avevamo una semplice stufa a gas Il lavoro che si doveva svolgere era notevolmente disagiato, turni impossibili, sia di giorno che di notte, continue ispezioni da parte dei superiori gerarchici. Erano gli anni sessanta e a quell’epoca in quelle zone di confine tra la Svizzera e l’Italia il commercio principale era il contrabbando di sigarette che noi come Corpo della G.di F. dovevamo contrastare. Eravamo una ventina di militari più due sottufficiali un brigadiere e un vicebrigadiere.. Nonostante tutti questi disagi tra noi era sorta una specie di amicizia e solidarietà al punto di dispiacermi quando fui temporaneamente trasferito ad altro reparto sempre al confine italo-svizzero. Anche questo abbastanza disagiato. Ma non vedevo l’ora di ritornare a Colombirolino per vivere e condividere insieme ai compagni quei disagi. Si usciva in pattuglia in genere in coppia e a volte con un militare cinofilo conducente di cane addestrato alla lotta al contrabbando. Anche se ho vivo in me il ricordo di quegli anni non mi vengono in mente tutti i nomi dei colleghi ma uno in particolare lo ricordo. Non faccio il suo nome per rispetto della sua privacy nonostante il tempo trascorso. Era conduttore di un cane chiamato “Medom”. Purtroppo questo animale non era ben addestrato e quando uscivamo di notte in pattuglia insieme a lui era una tragedia. Ne combinava di tutti i colori. In genere la regola era che dovevamo percorrere i sentieri a ridosso del confine a passi felpati, in assoluto silenzio, le orecchie tese a percepire il minimo rumore. Ma il cane a volte, sfuggiva al controllo del conduttore e saltellava di qua e di la per il bosco, mettendosi a rincorrere qualche animale notturno facendo quindi un casino indicibile. Il suo conduttore non era da meno in quanto per riprenderlo si metteva a gridare in piena notte. Così il caos era completo. Se c’era qualcuno in zona certamente sentiva tutto il baccano e il fracasso che combinavano i due. A voglia di richiamarlo e dirgli di non comportarsi in quel modo specialmente di notte. Era inutile, io, al momento mi arrabbiavo ma a fine turno di servizio, ci si rideva sopra. Lui se la prendeva con il suo cane e io a dirgli che la colpa era sua che non lo aveva addestrato bene. Questo ragazzo di origini calabresi, proveniva da un paese dal nome esotico che sembra un villaggio indiano; lo canzonavamo e lo prendevamo in giro, sempre allegramente e non in modo offensivo, per il modo di agire maldestro suo e del suo cane. Si comportava nello stesso modo anche con gli altri colleghi con i quali usciva in pattuglia. Nonostante tutto, con lui ero diventato un buon amico. Una volta mi aveva invitato ad andare con lui a Milano a trovare suoi parenti a bordo di una lambretta di sua proprietà. A dire il vero non ricordo da dove fosse sbucato questo mezzo, considerato che era impossibile tenerlo in Caserma per mancanza di spazio. Così che da Colombirolino, (confine italo-svizzero in provincia di Como) abbiamo preso la strada per Milano. Per tutto il tragitto abbiamo riso e scherzato. Lui era davvero un tipo allegro e simpatico.
Come non ricordare questi episodi anche a distanza di più di 50 anni
Io avevo poco più di 20 anni e nonostante i disagi del posto e del servizio che dovevamo compiere affrontavo sia io che i miei colleghi volentieri tutto questo. Del resto le soddisfazioni di indossare una divisa, di portare un arma di ordinanza e di mettere in pratica tutti gli insegnamenti ricevuti alla Scuola Alpina mi riempiva di orgoglio e sopportavo tutto. La vita non era facile, i problemi non mancavano. Ripensando pertanto a questi episodi ecco che mi viene alla mente il nome, il cognome di questo giovane finanziere cinofilo. Faccio una ricerca su Google e trovo sue tracce. E’ iscritto a Facebook. Anche se sono trascorsi moltissimi anni, lo riconosco, è lui. Vado nelle pagine bianche, rintraccio numero telefonico ed indirizzo. Provo a chiamare diverse volte ma trovo sempre la linea libera. Mah! penso forse non abita più lì e si è trasferito in altro luogo. Sto perdendo le speranze, quando pochi giorno or sono ritento, mi sento rispondere al telefono :
“Chi sei?”, mi chiede. Mi faccio riconoscere. Dico il mio nome e cognome. Attimi di esitazione, ancora non è convinto di quello che gli sto dicendo. Gli racconto tutta la storia di quando eravamo insieme alla Brigata di Colombirolino, insieme in pattuglia con il suo cane Medom. In un primo momento rimane perplesso, poi man mano che gli racconto gli avvenimenti vissuti insieme si è rende conto chi sono effettivamente. Un suo collega e compagno di lavoro. Per farla breve, per mettermi in pieno contatto con lui e per inviargli qualche foto di quel periodo ho dovuto iscrivermi su Facebook .

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Trimblo

6^ Legione Guardia – Como – anni 1964/1967
Brigata di Colombirolino
La brigata dipendeva dalla Tenenza di Gironico e dalla Compagnia di Olgiate Comasco.
“TRIMBLO”
Questo era il soprannome affibbiato, a sua insaputa, al finanziere Mario (nome di fantasia) per rispetto alla sua privacy.
Il motivo era dovuto al fatto che ci eravamo accorti che quando doveva, per qualsiasi ragione, maneggiare qualche timbro lui ne storpiava il nome in “Trimblo”. Per questo difetto, a sua insaputa, lo sfottevamo e ci facevano tante risate e alle sue spalle. Questo accadeva in genere quando doveva presentare un foglio di permesso e c’era bisogno dell’attestazione del comandante attraverso il suo timbro. Per abbreviare, sia noi che Mario, timbravamo. Il comandante quindi autorizzava il permesso, apponendo semplicemente la sua firma. Oltre a questo difetto ne aveva anche un altro. Questa era una anomalia ricorrente in quei posti e in quei periodi, la chiamavamo: “bricollite”. Chi è stato alla legione di Como sa bene di che parlo come del resto è stata ben descritta anche in un racconto di Pasqualino Fadda su questo gruppo.
Il pensiero fisso del finanziere Mario, a tutte le ore del giorno e della notte, era quello di sequestrare bricolle. Sfruttava anche le ore di permesso e libera uscita per poter procedere a dei sequestri..
In qualche occasione mi sono trovato ed effettuare fermi di sigarette di contrabbando insieme a lui. La gioia che provava era incontenibile, il suo viso diventava rosso, ed era come se andasse in estasi contemplativa. Bisognava strattonarlo perché rientrasse in sé.
Un bel giorno, mi trovo ad uscire di pattuglia con lui. Nell’ordine di servizio vi è indicato: orario 10/16, l’itinerario da percorrere, con vari soffermi , era contemplato in diversi posti. Tra questi quelli che ricordo meglio e che meritano un poco di approfondimento, erano: il sentiero di Monte Sasso, detto anche Sasso di Cavallasca, la “Scala del Paradiso”, la rete denominata “Ramina” e la località Maiocca.
Percorrendo il sentiero di Monte Sasso ci si immergeva in una natura rigogliosa. Facile imbattersi anche in qualche scoiattolo, vederlo saltellare da un ramo all’altro di castagni, betulle, noccioli, ciliegi selvatici e faggi. Lì si incontrano anche siti di interesse culturale. Questo territorio, non so, se all’epoca in cui c’eravamo noi, facesse parte, come attualmente, del “Parco Regionale Spina Verde”. Ha infatti una caratteristica unica nel suo genere: è un parco di confine e per questo motivo permangono sul suo territorio alcuni manufatti singolari costruiti proprio per “difendere” il territorio italiano.
La cima del Monte Sasso è ad un’altitudine di circa 614 metri sul livello del mare. In questo posto vi sono anche due punti panoramici che attirano moltissime persone per la spettacolare vista che si può godere dalla loro posizione. Dal primo è possibile vedere i comuni di Cavallasca e di San Fermo della Battaglia, sullo sfondo, la pianura padana con Milano e nelle giornate terse gli Appennini.
Dal secondo punto è possibile vedere il panorama del bacino del lago di Como.
Un’altra caratteristica è sicuramente la Scala del Paradiso. Il nome rende bene l’idea dei più di novecento gradini di cui è costituita. Collega Ponte Chiasso con il Sasso di Cavallasca. Costruita alla fine dell’ottocento per favorire il controllo del confine da parte della Guardia di Finanza, ha paradossalmente finito per essere una “infrastruttura” a servizio di chi, illecitamente, ha contrabbandato beni di diverso genere tra Svizzera e  Italia negli anni 50-70 del secolo scorso. È infatti possibile ritrovare, in numerosi punti tratti della rete di confine, denominata “Ramina”. La rete sorge tutta all’interno del territorio Italiano, infatti è possibile notare come il vero confine di Stato, segnalato con bassi cippi di pietra, sia almeno 5-15 metri oltre la stessa rete. Nel secolo scorso la Guardia di Finanza pose dei campanelli su questo manufatto al fine di segnalare la presenza di contrabbandieri intenti a oltrepassare illegalmente il Confine.
Oggi che il fenomeno del contrabbando è sostanzialmente finito l’opera è rimasta a testimonianza del passato.
Ritornando al nostro turno di servizio, tutto procedeva tranquillo, la giornata era bella, si respirava un ‘aria buona su Monte Sasso. Era l’ultimo appostamento previsto dopo essere stati alla Maiocca e fatto un tratto della scalinata del Paradiso. Stavamo godendoci quel momento, quando vediamo in basso su un sentiero sottostante, in lontananza, un certo movimento di persone. Ci siamo alzati, dalla piazzola in cui eravamo appoggiati, per capire meglio cosa stava accadendo. La distanza tra noi e quelle persone non era molta, l’ostacolo principale era il dislivello che ci separava. Il sentiero infatti era più in basso della nostra posizione, c’era un bel salto da fare. In poche parole, ci accorgiamo che quelle non erano semplici persone ma spalloni con delle bricolle sulle spalle, contenenti con molta probabilità sigarette di contrabbando. Purtroppo si sono accorti della nostra presenza e hanno cominciato a correre. Ne abbiamo contati tre, ma forse erano di più, gli altri non ricadevano nella nostra visuale. Avvicinarsi a loro, ci siamo resi conto che era abbastanza problematico, a causa del dislivello che separava la nostra posizione con il sentiero sottostante. A parte questo intoppo, Mario ed io, in una attimo, abbiamo preso la decisione di inseguirli, cercando di avvicinarci a loro il più possibile, gridando nel frattempo il fatidico “MOLLA”. Non è servito a nulla. Hanno cominciato a fuggire con tutto il carico, al punto che, il nostro inseguimento è risultato vano. Io ne avevo puntato uno che mi sembrava il più facile da raggiungere, ma questa persona aveva le gambe che sembravano due trampoli, tanto erano lunghe. Correva come una lepre, nonostante il carico che aveva sulle spalle. Sono rimasto allibito da questo comportamento e dire che mi difendevo bene con la corsa considerando i miei vent’anni. Alla prima curva infatti l’ho perso di vista. Sono arrivato fino alla fine del sentiero, dove si congiungeva con una strada carrozzabile, con l’intento magari di scoprire l’autovettura, predisposta per contenere il carico illecito ma non ho visto nulla. Il tipo si dileguato nella boscaglia. A nulla è valso il colpo di fucile esploso in aria a scopo intimidatorio. Raramente ne facevo uso ma quella volta, quando ho capito che proprio era impossibile raggiungerlo, mi sono preso la libertà di farlo. Ci era stato consigliato, di usare le armi con estrema cautela, anche se, con i dovuti accorgimenti, previsti dalla legge 4 marzo 1958 nr. 100, si poteva farne uso, trovandoci in zona di vigilanza doganale.
Fatto sta che dell’inseguito ne avevo perso proprio le sue tracce. Analogo epilogo è toccato al collega Mario. Si era messo ad inseguire gli altri due ma con lo stesso risultato. Quel giorno ci avevano messo nel “sacco” come si suol dire. Con molta probabilità, erano perfetti conoscitori del luogo e al momento opportuno, hanno fatto perdere le loro tracce. Il collega (TRIMBLO) l’ho visto notevolmente affaticato, deve aver sofferto molto nell’inseguimento anche in considerazione del fatto che il suo fisico non era proprio da corridore ma ben piantato e un poco tarchiatello. Gli era venuto un fiatone pauroso, tutto in rosso in viso, faceva fatica anche a pronunciare qualche parola. Con la sua smania di sequestro, non essere riuscito a fermare, per lui è stato un o smacco insostenibile. Era davvero abbattuto. Ho cercato di consolarlo, una volta ripresosi da quell’inutile fatica, rabbonendolo e rammentandogli che, ci sarebbe stata sicuramente altra occasione, per sequestrare merce di contrabbando. Considerato quindi che il nostro turno era giunto alla fine, mestamente abbiamo ripreso la via del ritorno in Caserma.

La Scala Paradiso e mappa di Monte Sasso
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Lutto

Colombirolino
Lutto
A quel tempo si verificò un lutto in famiglia ad un componente del reparto. Se la memoria mi aiuta ricordo il suo cognome. Tuttavia per una questione di riservatezza qui metto un nome di fantasia: “Gianluigi”, credo che avessimo fatto il corso allievi insieme alla Scuola Alpina di Predazzo. Questo giovane finanziere, mio coetaneo, un giorno ebbe la brutta notizia della morte di suo padre, non so quale fu la causa del decesso. Gli fu concesso un breve periodo di licenza prevista in questi casi per partecipare alla cerimonia funebre.
La perdita di un congiunto è sempre un momento tragico nella vita di chi lo subisce. Chi viene colpito da un simile evento è come se una parte di sè stesso si unisce al congiunto. Il mondo sembra precipitare, non si capisce più nulla; è come vivere in un’altra dimensione, si perde ogni contatto con la realtà che ci circonda e ci si sente smarriti: A nulla valgono le parole di conforto dei parenti, degli amici, dei conoscenti. Sai che nei giorni a venire la presenza del proprio caro non esiste più. Il buio totale investe la tua anima. Difficile riprendersi da un tale dolore; tuttavia si deve avere il coraggio di continuare a vivere anche se sei cosciente che niente è più come prima.
Comprensibile quindi lo stato d’animo di Gianluigi al suo rientro al reparto. Egli era silenzioso e come smarrito, ma con una propria dignità; si vedeva sul volto la sua sofferenza anche se cercava in qualche modo di nasconderla cercando di riprendere il suo lavoro in un ambiente che non era certo tra i migliori, ma era necessario ritornare a vivere. Questo accadimento causò a tutti noi una profonda tristezza. Ognuno a proprio modo, cercava di trasmettergli fiducia e solidarietà. Capivamo che era difficile per lui riprendere la quotidianità in un ambiente poco confortevole quale era il nostro, ma nonostante la durezza di quello che ci attendeva, tra noi si era creato un buon rapporto. Direi che quasi era come una famiglia. Nei momenti di bisogno cercavamo sempre di dare un aiuto a chi ne avesse necessità.
Allo scadere del permesso Gianluigi dovette rientrare e riprendere la normale attività. Il solito monotono servizio di pattugliamento sia di giorno che di notte nei pressi del confine italo-svizzero. Lo scopo era sempre lo stesso: tutela delle leggi fiscali in vigore nel nostro Paese. Gli ordini di servizio erano oramai consueti: “perlustrazione con appostamento per la repressione del contrabbando in genere”.
Una notte dovetti uscire di pattuglia con questo collega. Dopo aver letto l’ordine di servizio che ci indicava i sentieri da percorrere e le località in cui avremmo dovuto sostare ci apprestammo a raggiungere il primo posto indicato nell’ordine. Qui dovevamo fermarci per circa due ore. Era notte, credo fossero l’una o le due. Sciogliamo l’unico sacco a pelo che avevamo in dotazione, lo stendiamo per terra e ci infiliamo tutti e due dentro, come di solito usavamo fare specialmente nelle notti autunnali o invernali, per ripararci dal freddo intenso della notte. Questo a dispetto del regolamento che ci impone di stare uno fuori di guardia e l’altro dentro il sacco a pelo, a turno, e di essere tutti e due svegli. Ci accordiamo invece di alternarci alla veglia. Prima devo farla io, poi tocca a lui. Allo scadere del tempo stabilito lo sveglio dicendogli: “Gianluigi il mio turno è finito, ora tocca a te. Qui mi sembra tutto tranquillo, alla fine del tuo turno svegliami che dobbiamo muoverci di qua per dirigerci in un altro posto” “Bene, ora tocca a me” disse. Ancora lo raccomando di non farsi prendere dal sonno, perché sarebbe stato un guaio se l’ispezione ci avesse trovato a dormire tutti e due. Si rischiava come minimo una grave punizione, se non di peggio, nei casi di addormentamento in servizio. A quei tempi le ispezioni erano ricorrenti e non pochi i casi di denunzie del genere da parte dei superiori gerarchici. Gli dico quindi di stare attento perché il “Capo” sovente gira di notte per ispezionare le pattuglie e non scherza in fatto di punizioni.
Da poco tempo infatti avevamo un nuovo comandante, un brigadiere. Questo era diverso dal precedente. Non si sa, quali fossero i motivi dal comportarsi diversamente dal suo precedessore. Quest’ultimo era sempre stato molto comprensivo con noi. Capiva quali erano le difficoltà che dovevamo affrontare in quel reparto e cercava di non fare pesare molto la sua autorità. Questo nuovo invece, che non voglio nominare, è apparso di altra opinione dimostrando meno confidenza nei confronti del personale. Sembrava abbastanza malfidente e sospettoso dei nostri comportamenti e pertanto operava diverse visite alle pattuglie dislocate nella circoscrizione di servizio di nostra competenza e se coglieva in difetto la pattuglia erano guai seri, perché applicava alla lettera il regolamento.
Di corporatura grossa, di statura sopra la media, arriva al reparto in sostituzione del suo parigrado in carica. Il suo sguardo mostra sempre una certa diffidenza nei confronti di chiunque, dal primo all’ultimo dei militari che sono alle sue dipendenze. Quando hai una conversazione con lui, sempre ti fa sentire a disagio, ti dà proprio la sensazione che devi stare attento da lui e che non devi commettere nessuna imprudenza perché non sarebbe perdonata specialmente se ti trovi in servizio. Si ha quindi la sensazione che in ogni momento ti voglia fregare. Non fidandosi quindi della correttezza del personale, è continuamente in giro di ispezione sia di notte che di giorno. Per controllare l’operato delle pattuglie. A volte mi chiedo: “Ma con quei piedi là, come hanno fatto ad arruolarlo.”. Si muove infatti come una “papera”. La sua camminata è proprio curiosa, classica di coloro i quali hanno i piedi piatti, con le punte rivolte all’esterno. Tuttavia a dispetto di queste critiche da noi fatte sul suo modo di camminare come un gorilla, riesce a muoversi nel bosco e a percorrere i sentieri senza far rumore. Te lo vedi apparire a poca distanza dal posto dove sei appostato di punto in bianco. Noi increduli dobbiamo essere sempre all’erta e mai scomposti se no sono guai. Si deve quindi stare attenti e con gli occhi aperti ad evitare di essere colti in atteggiamenti tali da dimostrare scarsa attenzione al compito che ci viene affidato. Siamo come presi da due fuochi: attenzione poiché non venga violato il confine con l’ingresso nel territorio italiano di merce di contrabbando o altro, attenzione nei confronti di eventuali ispezioni da parte dei superiori gerarchici. Un bel vivere davvero! Caspita!
Personalmente sono stato da lui sottoposto a svariati controlli ma fortunatamente non ho mai avuto problemi. Mi trova sempre abbastanza vigile in tutte le situazioni. Ho occhi e buone orecchie e sono sempre all’erta. Così che in un qualche modo acquisisce una certa simpatia nei miei riguardi, al punto che mi propone l’incarico della tenuta della contabilità vitto, in considerazione del fatto che sono anche fresco di studi.
Io rifiuto non perché non lo sappia fare, ma voglio avere, in un certo senso, una mia libertà. Una volta terminato il mio servizio voglio usufruire del tempo libero come mi pare e piace, considerato che poi tanto non ne abbiamo. Questi conti infatti devono essere sistemati quando non si è di pattuglia, ma rubati al tempo libero che ci spetta. Sinceramente questo stato di cose non è di mio gradimento.
Ritornando al nostro appostamento, dopo che indico le ultime raccomandazioni al mio collega Gianluigi, penso magari di schiacciare un pisolino, ma nel mio animo c’è sempre il pensiero di non mollare completamente ogni forma di attenzione. Penso magari sto qua cheto cheto, anche se tocca al mio collega stare sveglio. Mettendomi nei suoi panni, ho pensato: “Chissà in quale stato d’animo questa notte deve affrontare questo turno di servizio, visto che è appena tornato da casa, dove è stato per la cerimonia funebre del suo povero padre”. Sono situazioni spiacevoli e non certo si ha una predisposizione ad essere presenti ed attivi alle evenienze che si potrebbero presentare. Un lutto in famiglia è sempre una cosa grave, perdere un proprio caro incide notevolmente sul proprio animo e la mente a volte si perde, nei ricordi, nelle sensazioni, di tutta una vita. Comunque, assorto in questi pensieri, lentamente il sonno prende il sopravvento e credo proprio di essermi addormentato.
Non so quanto tempo sia passato, ma ad un certo punto, mi sento strattonare più volte: “Caspita questo è Gianluigi che mi sta chiamando per avvertirmi che è già ora di cambiare sede di appostamento; come è trascorso veloce il tempo dormendo!” Apro gli occhi e con mia grande meraviglia chi ti vedo che mi sta davanti, con un sorriso beffardo, a poca distanza dalla mia faccia?, Si proprio lui, il comandante. Ahi! Ahi!, che bella fregatura, innanzitutto che figuraccia che abbiamo fatto. Il collega si era addormentato anche lui e ci siamo fatti sorprendere come due allocchi. Oramai la frittata è compiuta. Ora non resta che aspettarne le conseguenze. La prima cosa che dice il superiore è stata questa: “Adesso finite il vostro turno, al rientro, mi presentate le vostre giustificazioni.” Poi ci chiede il nostro foglio di servizio per apporre le annotazioni di rito, al che io penso: “ Ora metterà là nero su bianco la nostra negligenza”. Dopo averlo riconsegnato a me in qualità di capo pattuglia riprende il suo cammino. Io per curiosità riapro il foglio e guardo l’annotazione. Per fortuna non vi era cenno di quanto accaduto, aveva apposto soltanto la data e l’ora della visita. Già questa cosa era un fatto positivo. Restava sempre che avremmo dovuto scrivere le nostre giustificazioni una volta giunti al Reparto.
Mi rivolgo a Gianluigi e gli dico: “Mannaggia come siamo stati cosi imbecilli da farci sorprendere.” Non ho avuto il coraggio di incolparlo visto che avrebbe dovuto stare sveglio, ma in considerazione del suo stato d’animo, proprio non me la sono sentita di riprenderlo. Posso capire cosa aveva ancora nel suo animo il povero Gianluigi, la perdita di un caro congiunto, il padre, è un dolore forte, triste, sono momenti della vita molto tristi e quindi da parte mia non ho avuto il coraggio di inveire contro di lui.
Il comandante, da parte sua, seppur nella severità e pignoleria che lo contraddistingue limita la punizione ad una semplice “consegna”. In pratica ci ha privato di due giorni senza poter ottenere permessi per andare in libera uscita. Ha dimostrato in questo caso di aver anche lui un’anima .
Questa avvenimento ci è servito però di insegnamento al punto che non mi sono fatto più prendere in difetto, conscio delle conseguenze che sarebbero sorte se avessi mancato ancora.

Colombirolino-Scala del Paradiso
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Il Cane Argo

6^ Legione Guardia – Como – anni 1964/1967
Brigata di Colombirolino
La brigata dipendeva dalla Tenenza di Gironico e dalla Compagnia di Olgiate Comasco. •
Il cane Argo
L’ordine arriva a notte inoltrata, l’incarico consiste in una perlustrazione con appostamento per la repressione del contrabbando in genere, che può essere commesso dalla vicina Svizzera verso il suolo italiano in vari luoghi della circoscrizione di nostra competenza.
In pattuglia con me c’è il conduttore cinofilo e il suo cane Argo. Il percorso che ci è stato assegnato è abbastanza difficile: dobbiamo camminare lentamente senza fare rumore e al buio, in mezzo al bosco, su sentieri scoscesi, pieni di ostacoli. Bisogna agire con cautela. Ho con me l’unico sacco a pelo che servirà per ripararci dal gelo della notte. Dico unico perché in teoria ce ne sarebbe spettato uno per ogni componente della pattuglia, ma disposizioni assurde ci obbligano diversamente.
L’attesa è lunga, fa freddo, decidiamo di metterci tutti e due dentro al sacco a pelo per riscaldarci un po’, in barba alla regola che indica il contrario. La cosa buffa è che anche il cane vorrebbe infilarsi dentro il sacco insieme a noi. Ma il conduttore con tono brusco gli ordina di rimanere fuori e di stare attento. Il cane ubbidisce, si siede, le orecchie tese, il muso rivolto dritto al confine, pronto a percepire ogni rumore anomalo. Argo è una bella bestia, addestrata bene per il suo compito, ma ha quasi raggiunto il meritato riposo dopo anni di intensa attività. A causa della sua età, a volte, il suo conduttore ha problemi a fargli accettare i comandi che gli vengono impartiti. Non sempre infatti ubbidisce al primo colpo. Ora sta lì in silenzio, sembra aver recepito in pieno quanto gli è stato ordinato.
Fratucello, questo è il nome del conduttore del cane, che io per abbreviare chiamerò “Frate”, è un ragazzone di origine trentina, tutto sommato di buon carattere. Ha più esperienza e qualche anno più di me di servizio. In questi posti l’anzianità di pochi anni o addirittura di pochi mesi conta molto. Ma lui, fortunatamente non è di quelli che fanno pesare la cosa. Da buon trentino invece gli piace qualche buon bicchiere di vino e anche questa notte esce dal Comando abbastanza allegro.
Il rapporto che ha stabilito con il suo cane non è tra i migliori. Come previsto dal regolamento, ha cura dell’animale ma non ha molto legame affettivo con lui. Ogni tanto gli rifila qualche calcio, e qualche pugno, quando ritiene di non essere ubbidito a dovere. Io soffro nel vedere queste azioni, ma non posso intervenire, lui è il responsabile della gestione. Argo subisce in silenzio, senza nemmeno guaire e da lì capisco quanta referenza e rispetto ha per il suo padrone. Mai una volta l’ho visto rivoltarsi contro per le botte subite. Io amo questo cane e quando ho la fortuna di uscire in pattuglia con loro mi sento più tranquillo. Tra noi tre è nato un buon accordo e riusciamo anche a farci qualche risata dimenticando per qualche momento la responsabilità e la pericolosità del lavoro che dobbiamo svolgere.
Il tempo trascorre lentamente e complice sia il tepore del sacco a pelo che del vino bevuto la sera, Frate si addormenta. Il patto tra noi è quello di darci ogni tanto il cambio. Al momento sono io quello che deve restare sveglio. La notte è fredda ma limpida, la volta stellata è meravigliosa e nel contemplarla molti pensieri affollano la mia mente facendomi dimenticare totalmente, per alcuni istanti, il luogo in cui mi trovo. Ripasso tutti i consigli che mi sono stati dati, durante il corso di istruzione su come ci si deve comportare in casi di intervento anti-contrabbando. Penso a casa, alla mia famiglia, alla scuola che ho abbandonato per arruolarmi, agli amici, che magari stanno divertendosi in qualche posto. L’epoca che vivo è di grandi cambiamenti, i giovani portano tutti i capelli lunghi come vuole la moda dei Beatles. Io, invece sono costretto a portarli corti, venendo riconosciuto subito come militare. Cosa un po’ fastidiosa. Tutto questo accade mentre sono lì, sdraiato per terra, al freddo, a dividere un unico sacco a pelo col compagno ed ammirare la volta celeste in un silenzio assoluto.
Mi chiedo cosa sto facendo lì, alla mia età, neanche 20 anni, in mezzo ad un bosco, armato di pistola Beretta calibro 9 e moschetto mod. 91, e con un unico sacco a pelo da dividere in due a controllare che vengano rispettate le leggi fiscali in vigore nel mio Paese. Eppure nonostante la malinconia del momento e del luogo in cui mi trovo, che non è dei più idilliaci, sono fiero di adempiere ai compiti che mi sono stati affidati, con molto senso del dovere.
Mentre tutti questi pensieri occupano la mia mente mi accorgo che ad un tratto il cane Argo comincia a dare segni di nervosismo. Sveglio il compagno e gli dico:”Frate, ci siamo, il cane è in allarme.” e lui: ”Si hai ragione, Argo si comporta così quando sente persone che si muovono nell’oscurità” Dico: ”Frate, io ancora non sento nulla ma a vedere i movimenti ed il nervosismo del cane mi rendo conto che sta per accadere qualcosa”. Tutto questo viene detto tra noi sottovoce, in modo da non sviare l’attenzione del cane su quello che sta percependo. Ecco che qui entra in gioco il buon addestramento che ha ricevuto. Di solito un cane normale al primo rumore comincia ad abbaiare, lui invece no, dalla sua bocca esce appena un impercettibile sibilo. Il conduttore allora si convince e capisce che sta accadendo davvero qualcosa. In silenzio ascoltiamo anche noi, immobili. Siamo proprio vicini alla rete fiscale “la ramina”, Dopo un po’ ecco che, la percezione del cane si materializza, in un movimento di persone, che stanno attraversando il confine, per entrare in Italia dai luoghi non consentiti. Siamo certi che si tratta, di contrabbandieri di sigarette che trasportano le “bricolle” come vengono nominati i sacchi che contengono questi tabacchi.
Tra poco dobbiamo agire, il cuore comincia a battere forte forte, la tensione aumenta, siamo in due più un cane a fronteggiare almeno un gruppo di persone, certamente più numeroso di noi.
Il conduttore cinofilo impartisce al cane Argo il classico ordine che si dà in questi casi: “Attacca”. Questo comando allerta il cane il quale è addestrato per andare contro la persona che trasporta la merce di contrabbando, ma non appena il carico viene lasciato cadere per terra, l’animale deve fermarsi, senza curarsi della persona. A questa deve preoccuparsi il tutore della legge; se riesce in qualche modo ad arrestarla e condurla in caserma. In queste frazioni di secondo comincia la fase di attacco e sia il cane che tutti e due noi ci muoviamo, corriamo contro questo gruppo di persone, le quali avvertite dal rumore conseguente al nostro intervento, alcune riescono a fuggire e ritornare in Svizzera, altre abbandonano il carico e si perdono nell’oscurità del bosco. Sembra un fermo di sigarette classico, infatti quello che interessa maggiormente è recuperare la merce illegale se poi si riesce a fermare il responsabile tanto meglio. Ma qualcosa va storto. Argo ha compiuto in parte il suo lavoro. Invece di fermarsi davanti al carico giacente lì per terra, ha continuato ad inseguire la persona che lo portava. Questo significa che nella sua corsa Argo ha sconfinato in Svizzera. Ahimè! quello che non doveva accadere è accaduto, guardandoci in faccia tutti e due attoniti, ci siamo detti: qua stanotte, succedono dei guai, se le guardie svizzere si accorgono che un cane anti-contrabbando italiano è sconfinato nel loro territorio per inseguire una persona, qui andiamo incontro a problemi seri. Il tempo passa, inutile chiamarlo anche a voce alta, sembra scomparso nel fitto del bosco. Siamo proprio scoraggiati e amareggiati e anche impauriti ma ecco che all’improvviso, dal nulla, Argo appare. Un sospiro di sollievo esce dalle nostre bocche ma l’animale si prende anche una bella pedata nel sedere dal suo conduttore e consapevole dell’imperdonabile errore commesso, non ha nessuna reazione, emette solo un impercettibile mugolio, come per chiedere scusa dell’errore commesso e con la coda tra le gambe si accuccia vicino al suo padrone.
Dopo i primi momenti di paura e di rabbia, tutto passa, allora provo a dare una carezza ad Argo come per rincuorarlo; lui sembra accettare e mi lecca la mano.
Tutto è finito per il meglio. Soddisfatti dell’esito del servizio lentamente cominciamo a trasportare la merce sequestrata dirigendoci verso il Comando. Giunti al reparto riceviamo il plauso del comandante e dei colleghi per il buon esito dell’operazione.
Durante la mia permanenza in questo reparto disagiato sono state molte le notti trascorse all’addiaccio in situazioni come quelle qui descritte. Ma sono servite a temprare il mio carattere. Quando ho deciso infatti di concorrere per l’ammissione alla Scuola Sottufficiali, ormai lontano da questo luogo abbastanza inospitale, non ho avuto difficoltà, a trattare l’argomento dato come tema alla prova scritta, di ammissione al concorso per la Scuola Sottufficiali. Ebbene si, il titolo del tema è stato il seguente: “Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me. Commentate queste parole scritte da un celebre filosofo (Kant)”. Quando i commissari leggono questo titolo nella sala dei concorsi, un brivido percorre la mia schiena, e penso: “Coraggio, questa volta ci sei, è il tuo momento fortunato. Prendi al balzo questa opportunità e concentrati al massimo sull’argomento del tema, che è alla tua portata. Sono fatti e situazioni che hai vissuto di persona sulla tua pelle pertanto non puoi sbagliare.”Dopo poco tempo infatti mi viene comunicato che il mio trattato è stato classificato con un punteggio tale da risultare primo “ex equo” con quello di un altro collega della stessa Legione da cui dipendo. Evviva! forse è il momento che riesco a fare un salto di qualità nella mia carriera. Con il superamento della prova scritta si accede a quella orale. Tutto questo accade mentre non sono più nel reparto disagiato, ma mi trovo in un posto dove è l’invidia di tutti i miei colleghi. Sono soddisfatto.

bricolle sequestrate e il cane Argo
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Fine Corso

Il corso AA.FF – 31° Antelao,
che ho frequentato presso la Scuola Alpina della Guardia di Finanza di Predazzo volge al termine. Nove mesi sono trascorsi dal 19 novembre 1963. Non è stata una passeggiata, si è dovuto lavorare parecchio con sacrificio e con notevole difficoltà ma non rimpiango nulla. A diciotto anni si sopporta il duro lavoro ma si ottengono anche soddisfazioni e la consapevolezza che quello che stai intraprendendo è un valore aggiunto alla personalità che andrà a formarsi nel corso della vita. Vengo catapultato in un mondo tutto nuovo, diverso da quello che mi sono lasciato alle spalle. Sento che la mia vita sta cambiando radicalmente. Da semplice studente con abitudini gestite in un certo modo, casa scuola, svago, cinema, festicciole con gli amici, diventano un ricordo, non dico un rimpianto, perché al Corso non mi sono certo annoiato, ma la nostalgia di quello che ho lasciato mi prende. Certo ci sono momenti di smarrimento, il cambiamento a volte non viene metabolizzato all’istante, ci vuole il suo tempo ma sento che la scelta che ho fatto è, per me la cosa giusta da fare. Nuove prospettive mi si presentano davanti, sono costretto a decidere in assoluta autonomia, non ho più il conforto della famiglia, nel fare o non fare determinate cose. Ho la sensazione che tutto questo mi sarà utile per formare il mio carattere.
Quello che ho appreso nell’aula di studio, nelle esercitazioni militari, nell’educazione sportiva, nella solidarietà verso i compagni mi ha certamente cambiato. Sono maturato al punto di sentirmi un’altra persona., Sono motivato e conscio delle responsabilità che mi carico con l’indossare questa uniforme.
Si sa che la disciplina militare è un modo di concepire certe regole che non sono quelle della vita civile e che bisogna adattarsi al cambiamento. Per questo non tutti sono capaci di sopportare.
Ho assistito, nei primi giorni di permanenza alla Scuola Alpina, alle rinunce di ragazzi che mal hanno sopportato le regole della vita militare. Non poter indossare gli abiti civili al proprio piacimento, l’obbligo di rispettare consuetudini, orari, comportamenti e soprattutto il doversi abituare al rispetto e agli ordini, molte volte anche banali, dei superiori e degli istruttori. Fai questo o quello, prendi questo, vai là, torna indietro, divieto di qua, stai fermo là. Essere limitati della propria libertà, non poter decidere di propria iniziativa, non poter andare in libera uscita od altro perché magari puniti per qualche irregolarità commessa. Tutto questo non da tutti è ben digerito. Siamo proprio gli ultimi della scala gerarchica chiunque ci può comandare.
Nonostante tutto ciò, prometto a me stesso di non voler rinunciare alla scelta che ho fatto. Dentro di me una voce mi dice di sopportare perché mi hanno insegnato che le più belle soddisfazioni vengono proprio dopo aver trascorso dure prove che ci aiutano a formare il carattere. La condizione del momento in cui mi trovo è appunto l’inizio di una scalata di vita, un trampolino di lancio e il mio impegno è quello di affrontare questa prova e non deludere, prima di tutto me stesso ed in secondo luogo la mia famiglia. Perciò accetterò con grato animo il cambiamento. Faccio tesoro delle nuove esperienze, capire veramente cosa significa il senso del dovere. La scoperta dell’amicizia con i compagni di corso, tutti accomunati nello stesso destino. Ne ricordo alcuni: Cretoni, Deci, Cianfrocca, Amato, Accili, Pegoraro, Rossi, Conti, Coronas, con le scuse per gli altri che al momento non riesco a focalizzare. Ragazzi provenienti da varie Regioni d’Italia e da varie estrazioni sociali. Tutti tesi al raggiungimento di uno scopo importante: la soddisfazione finale di indossare l’uniforme del Corpo della Guardia di Finanza. Organismo militare questo onorato e rispettato dalla parte onesta della società, per le sue funzioni, tese al rispetto delle regole del vivere civile e salvaguardia della collettività. Per me è grande soddisfazione ed orgoglio il fatto di poter indossare questa uniforme unitamente al cappello alpino. Quest’ultimo specialmente nelle zone alpine ai confini dello Stato e nelle rimanenti nostre amate montagne ha sempre suscitato una forte attrazione, sia per chi lo indossa, sia per chi lo vede indossato. Rappresenta una pietra miliare per la nostra tradizione militare, Simbolo di eroismo, di fatica, di sacrifici di amicizia e solidarietà.

Quello che ho riportato in questo scritto sono considerazioni personali avvenute quando avevo 18 anni. Immagino che molti giovani che come me hanno intrapreso questa carriera, alla conclusione dei corsi di formazione, abbiano pensato allo stesso modo. Sono convinto inoltre che coloro i quali faranno la mia scelta come quella di tanti altri, alla fine, nel loro intimo, sorgeranno le medesime aspettative che la grande famiglia delle Fiamme Gialle saprà elargire.

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