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10 Canarini in gita a Venezia

10 canarini in gita a Venezia
Mi trovo a fare servizio in Alto Adige dopo aver frequentato la Scuola Sottufficiali del Lido di Ostia. Sono stato assegnato alla Compagnia del Brennero, comandata da un capitano. Il reparto è composto da circa 150 militari tra finanzieri, sottufficiali e tre ufficiali. All’epoca, intorno agli anni “70”, rivesto il grado di brigadiere. I servizi che si svolgono sono principalmente orientati al controllo dei valichi stradali, in entrata e uscita, dello Stato più il valico ferroviario. Gli incarichi sono abbastanza impegnativi con turni intervallati da sei ore di servizio e dodici di riposo: 0-6, 6-12, 12-18 e 18-24. Ad ogni turno di servizio in questi luoghi i miliari impiegati sono una decina circa. Il drappello esce dalla caserma, comandato da un sottufficiale che conduce i militari ad ogni postazione. Di questa operazione ne sono anch’io partecipe e mi sento orgoglioso, quando lo guido ben allineato in formazione, per raggiungere i posti di servizio.
Oltre a questo periodicamente vengono eseguite perlustrazioni sia di giorno che di notte nelle montagne circostanti.
In inverno le temperature scendono fino a 20 gradi sottozero ed è abbastanza problematico svolgere il proprio compito affidato. I traffico degli autoveicoli, anche in quegli anni, sia in entrata che in uscita dallo Stato è molto intenso, specialmente quello dei T.I.R. Le operazioni doganali vengono svolte sia di notte che di giorno nell’arco delle 24 ore.
In questa situazione non appena mi è possibile chiedo dei permessi per andare a trovare i miei genitori che risiedono in provincia di Venezia e precisamente a Catene di Chirignago: un borgo che nel corso degli anni è stato inglobato poi nella cittadina di Marghera, la quale dista una decina di chilometri da Venezia. In questo luogo trascorro tutta la mia infanzia ed adolescenza. Frequento le scuole elementari e le superiori nella città di Mestre, per poi nell’anno 1963 partire per la Scuola Alpina della Guardia di Finanza di Predazzo.
In genere finito il turno di 0-6 ai valichi, con il permesso in tasca, mi preparo a partire per raggiungere questa località. Con la mia autovettura Fiat 1100 R targata VE 156413 inizio a scendere: Brennero, Vipiteno, Bolzano, Trento, per poi prendere la strada della Valsugana, “SS-47”toccando la cittadina di Levico Terme, Borgo Valsugana, Bassano del Grappa, Padova ed infine Marghera. A volte preso dal sonno mi fermo per la strada a fare un pisolino e poi riprendere il viaggio. Ci impiego circa 4 ore per un percorso di circa 350 chilometri.
I colleghi sono al corrente di questo mio viaggio. Loro a volte invece sfruttano i permessi concessi, specialmente in inverno per andare nelle vicine località sciistiche intorno a Vipiteno, Colle Isarco e oltre. Non avendo io proprio la passione per lo sci preferisco andare a trovare i miei genitori, le mie sorelle, i miei amici.
A questo punto, sapendo dove vado, proprio nelle vicinanze di Venezia, ad un collega sottufficiale gli viene in mente di organizzare una gita per fare visita alla “Serenissima” e io avrei dovuto fare a loro da guida.
Mi sorprende tale richiesta fatta proprio da questo sottufficiale, di cui non ricordo il nome (che per comodità lo chiamerò “Fresi”). Costui è di origine sarda, con qualche anno di servizio più di me. Al reparto ha l’incarico di fare l’istruttore di Judo. Questo perché periodicamente vengono impartite lezioni di questo tipo di lotta per insegnare a tutti noi la difesa personale. Fresi è un soggetto abbastanza scontroso e ostico. Nelle lezioni che impartisce è alquanto severo con i partecipanti. Rimango infatti colpito, dalla sua idea, di organizzare un viaggio a Venezia, dando a me l’incarico di fare da guida, sia per la città, che per il percorso per raggiungerla.
Bene, accetto in quanto è occasione ulteriore per raggiungere la mia famiglia, per un breve saluto, una volta fatto il giro per Venezia.
Così è stato, partiamo con due autovetture, la mia e quella di un altro collega. In tutto siamo in dieci, cinque occupanti per auto. A distanza di tempo non ricordo più i nomi di questi colleghi. Mi viene in mente solamente, oltre a Fresi, quello di “Petrella” un finanziere di origini abruzzesi, molto simpatico e disponibile. Per gli altri al momento non li ricordo.
Il percorso è quello solito fatto da me. Cosi’ una domenica partiamo alle 6.00 del mattino per arrivare a Venezia verso le 10.00. Parcheggiate le autovetture a Piazzale Roma, prendiamo il vaporetto per raggiungere Piazza San Marco, attraversando tutto il Canal Grande. Per me è un giro che ho fatto innumerevoli volte ma, per qualche collega, vedere questa città è la prima volta. Il che rileva un impatto notevole. E’ un luogo unico al mondo e, si resta affascinati da tanta bellezza e dalla sua storia. Piazza San Marco, Palazzo Ducale, Il Campanile, Ponte dei Sospiri, ecc. Queste sono stati i principali luoghi in cui ci siamo soffermati La giornata è bella e quindi abbiano potuto godere di queste vedute. Purtroppo il tempo è limitato e non è possibile entrare e far visita almeno all’interno del Palazzo Ducale. Faccio uno sforzo di memoria ricordando una gita con la scuola, dove un bravo professore, ci fece da guida ai monumenti più importanti. Così descrivo brevemente ai colleghi i miei ricordi di quell’epoca.
“ Sala del Maggior Consiglio”.
È la sala più grande e maestosa di Palazzo Ducale e, con i suoi 53 metri di lunghezza e 25 di larghezza , è una delle più vaste d’Europa. Qui si tenevano le assemblee della più importante magistratura dello stato veneziano: il Maggior Consiglio. Organismo molto antico, era formato da tutti i patrizi veneziani. Lungo un’intera parete, dietro al trono, si staglia la più grande tela del mondo, il Paradiso, realizzata da Jacopo Tintoretto e dalla sua bottega tra il 1588 ed il 1592.
“ Ponte dei Sospiri”
Attraverso le finestre del ponte i condannati avrebbero visto per l’ultima volta il cielo prima di essere rinchiusi in carcere, da cui probabilmente non sarebbero più usciti. I sospiri alla fugace vista del panorama, insomma, sarebbero stati il loro ultimo anelito di libertà ormai perduta.
Il tempo trascorre serenamente ed è quasi ora di pranzo. Dobbiamo rientrare in giornata al reparto ma, prima di fare questo, chiedo di passare tutti da casa mia e fare un saluto alla mia famiglia.
Ecco che qui accade qualcosa di imprevisto. Proprio il collega Fresi, palesemente scorbutico istruttore di judo, propone di fare uno spuntino a casa mia prendendo qualcosa in rosticceria. Io ben volenti eri accetto questa idea.
La mia famiglia è all’oscuro della visita. Quando arriviamo a casa, e vedendo scendere dalle autovetture tutte queste persone, i miei genitori hanno un attimo di stupore e smarrimento. Li tranquillizzo, presento a loro tutti i miei colleghi e li informo del motivo di questa improvvisata. Rasserenati dalle mie indicazioni tutto ritorna normale e gioiscono di queste presenze.
L’ idea che si profila nella mia mente è quella di mangiare qualcosa nella sala da pranzo solo noi “canarini”e, lasciare da parte la mia famiglia che proprio in quel momento stava per mettersi a tavola per il pranzo. Invece Fresi mi riprende dicendomi: “No, oggi dobbiamo essere tutti in famiglia e stare insieme”. Mia madre e mio padre “vecchia fiamma gialla”, sentendo questa volontà espressa da questo collega, vedo i loro occhi inumidirsi per l’emozione. Sono sicuro che nella mente di mio padre si verifica un ritorno ai tempi in cui anche lui indossava la divisa e condivideva con i colleghi momenti significavi vissuti in carriera. Così tutti riuniti: canarini e la mia famiglia, trascorriamo un bel momento in sana armonia ed allegria.
Ancora una volta l’atteggiamento di Fresi mi sorprende. La persona che tutti consideravano un poco ostico e scorbutico, in questa occasione manifesta veramente un segno di solidarietà e umanità che, non mi sarei mai aspettato.
Giunge così il momento dei saluti, in quanto dobbiamo rientrare e, mentre stiamo per uscire la curiosa signora Giovannina che abita proprio di fronte alla nostra casa e che aveva visto tutte queste persone esordisce in dialetto veneto: “Ma Bepi tuta sta gente da dove a salta fora?” Traduco Ma Bepi (Giuseppe) tutta questa gente da dove sbuca? Io rispondo sempre in dialetto. “I xe tuti finansieri che i fa servisio insieme co mi in Alto Adige al Brennero e i ga vossuo venir a far una gita a Venesia e cossì go approfittà de venir a trovar a me famegia” Traduco: Sono tutti finanzieri che fanno servizio con me in Alto Adige, al Brennero e hanno voluto che gli accompagnassi a Venezia per una breve
gita. Così ho approfittato di fare visita alla mia famiglia. “Bravo Bepi te ga fato ben”.
Dopo questa chiacchierata, in dialetto veneto, con la signora Giovannina ci siamo messi in macchina per far rientro al Brennero, tutti felici per aver trascorso una bella giornata.

Un curioso episodio

3^Legione Guardia di Finanza -Milano
Nucleo Polizia Tributaria – Brescia

Un curioso episodio
Mi trovo a svolgere oramai da diversi anni il mio servizio nella città di Brescia presso il nucleo di polizia tributaria. 
Il territorio sotto la giurisdizione del reparto è molto vasto. Da considerare che confina con le province di Bergamo, Sondrio, Trento, Verona, Mantova, Cremona. La sua conformazione geografico-territoriale comprende sostanzialmente tre valli principali: Valle Camonica, Valle Trompia, Valle Sabbia, tre fiumi: Oglio, Mella, Chiese, tre laghi: Iseo, Garda e Idro.
Nei momenti liberi dal servizio c’è l’imbarazzo della scelta dove trascorrere un giornata. I laghi sono una notevole attrazione turistica. Anche se in uno di questi mi viene alla mente un fatto triste che può essere reso noto in un altro racconto.
Si tratta di un’area fortemente industrializzata che va dal manifatturiero, alla meccanica, alla lavorazione dei metalli, al tessile, all’abbigliamento, alla produzione di gomma e plastica, all’elettronica, all’agro alimentare. Attività queste svolte in notevole misura da piccole e medie imprese. Si trova al terzo posto in Italia nel manifatturiero. Seconda provincia lombarda per valore delle esportazioni. I settori che, generano i maggiori flussi, di merci diretti all’estero, in Germania, Francia e altri paesi sono il metalmeccanico, l’elettronica, la chimica e la moda.
Sono molte anche le ferriere ubicate e sparse per tutta la provincia.
Un altro aspetto da prendere in considerazione è la produzione vinicola di questa provincia. Questa viene effettuata principalmente nel territorio della “Franciacorta.” Affacciata sulle sponde del Lago d’Iseo, in una vasta area comprendente diversi comuni della Provincia di Brescia, qui si produce uno dei vini più pregiati e celebri d’Italia,
Il nucleo di polizia tributaria del quale faccio parte è fortemente impegnato nel controllo fiscale di tutte queste realtà. Sostanzialmente i controlli abbracciano un quinquennio (cinque anni solari), ove sono presi in considerazione vari aspetti della legislazione economico fiscale. L’esame delle varie imposte indirette e dirette quali: imposta sul valore aggiunto, bollo, registro, ecc., Irpeg, Irpef, Ilor e tutto quel che concerne la regolarità amministrativo-contabile: libri, registri, note, conti, fatture, bollette ecc.
Una mattina, come di consueto, mi reco presso la sezione da cui dipendo per prendere gli ordini da eseguire nel corso della giornata. Ci viene dato infatti l’incarico di formare una pattuglia composta da diversi elementi, me compreso, che sarà comandata da un ufficiale per andare ad eseguire una verifica fiscale nei confronti di una azienda situata nella bassa bresciana. A memoria non ricordo né il nome della ditta né la precisa località ove questa è ubicata. Credo si trattasse di una ferriera.
E’ risaputo che quando la Finanza entra in una azienda per effettuare delle verifiche fiscali crea diversi problemi a tutto il personale impiegatizio. A volte si delinea una sorta di panico generale. Chi si defila da una parte, chi dall’altra, cercando di occultare documentazione non regolare sotto il profilo fiscale. I militari consci di questi movimenti strani, preventivamente, prendono le dovute precauzioni. Si va a controllare un po’ in giro dappertutto nei locali aziendali, nei cestini, nei cassetti negli armadi, nel perimetro esterno, sotto le finestre. Non è la prima volta che si vedono buttare dai balconi borse, sacchetti, contenenti documenti fiscalmente non in regola. Una volta raccolta la documentazione, si cerca un locale idoneo, dove concentrare il tutto che sarà sottoposto a controllo nei giorni successivi. Alla fine della prima giornata in questo locale vengono apposti dei sigilli e indicati, gli obblighi da osservare, a carico dei responsabili delle ditte, nel caso di rottura o manomissione degli stessi. Ora non sto a descrivere analiticamente tutti gli accorgimenti adottati, per cautelare questa documentazione, perché penso che chiunque abbia fatto questo tipo di lavoro, lo sappia sicuramente. Quello che voglio fare emergere invece è un altro aspetto. È prassi consolidata che quando si intraprende una verifica fiscale a carico di una azienda vengano prodotti alcuni atti o verbali che garantiscono le corrette operazioni di raccolta documentale ed i sigilli apposti ai locali nei quali è stata concentrata la documentazione oggetto di esame nei giorni successivi. Uno di questi atti viene denominato “verbale di verifica” e viene sottoscritto dai militari partecipanti al controllo e dal responsabile aziendale, al termine delle operazioni della prima giornata. Nei giorni a seguire il verbale di verifica viene redatto quotidianamente. In pratica è il diario delle operazioni di controllo compiute dai verificatori.
Al momento di questa sottoscrizione ci siamo accorti che il responsabile della ferriera è risultato irreperibile. In effetti non è stato presente nel corso delle nostre operazioni. Abbiamo chiesto al personale dipendente delucidazioni in merito. Ci è stato detto che poco prima del nostro intervento costui era presente in azienda. Fatto sta che non si è reso disponibile alla firma degli atti.
L’arcano è stato svelato ben presto. Nell’ispezione ai locali aziendali effettuati dai partecipanti al controllo è emerso che uno dei componenti la pattuglia, non ricordo chi esattamente, aprendo un armadio per effettuare ricerche di ulteriori documenti, si accorge che dentro questo armadio c’era appoggiato, in piedi, che dormiva, proprio il responsabile della ditta. Si è saputo in seguito che per resistere dentro, quel vano aveva preso del “valium.” Inspiegabile il suo comportamento. Da parte della pattuglia operante, a memoria, non mi pare che a suo carico ci fossero provvedimenti di carattere giudiziario tali da limitare la sua libertà. Alla nostra richiesta di spiegare il motivo di questo comportamento è stato molto evasivo. Comunque quello che a noi interessava era esclusivamente la sua presenza alla sola firma degli atti che documentavano il nostro intervento in azienda e la cautela adottata nei confronti della documentazione da controllare.
Tuttavia ci è rimasto il dubbio sull’anomalo comportamento adottato da questo personaggio.
Probabilmente aveva qualche “scheletro nell’armadio” di altra natura e alla vista della Guardia di Finanza ha pensato bene di dileguarsi.
Sicuramente il mistero sarà stato chiarito nel corso della verifica, dalla pattuglia che è rimasta a continuare nei giorni seguenti il controllo documentale. Io ho preso parte solamente alle operazioni di raccolta documentale, effettuate solo il primo giorno dell’intervento e, non mi sono preoccupato più di tanto, in merito allo sviluppo di questo episodio. C’è da dire che questo evento ha generato nei partecipanti il controllo una buona dose di ilarità. Non succede tutti i giorni trovare un amministratore o un responsabile di azienda nascosto in un armadio.

Armadio

Su e giù per la Valcamonica

3^Legione Guardia di Finanza -Milano
Nucleo Polizia Tributaria – Brescia

Anno 1985

Nonostante siano trascorsi circa 35 anni dall ‘episodio che vado a narrare, per dovere di riservatezza e, in ricordo dei colleghi con i quali sono stato in pattuglia, che, peraltro, non sono più tra noi, li chiamerò solamente per nome:Elvio e Domenico.
Una mattina veniamo convocati nell’ufficio del capo sezione del nucleo di polizia tributaria di Brescia io, unitamente al maresciallo maggiore aiutante Elvio e il m.llo capo Domemico. Ci viene comunicato che avremmo dovuto eseguire una verifica fiscale a carico di una certa ditta in Val Camonica in località Darfo-Boario Terme.
L’oggetto sociale di questa impresa era: “montaggi generali di carpenterie metalliche in genere, realizzazione ed installazione strutture metalliche complesse per il settore industriale e civile”.
Purtroppo venne constatato il fallimento di questa azienda. Tutto quello che era rimasto, compresa la scarsa documentazione amm-vo contabile, si trovava in un unico locale, situato nella cittadina di Darfo-Boario Terme in Valle Camonica. Qui sono stati effettuati i controlli relativi alla verifica fiscale. L ‘esame documentale ha evidenziato che l’impresa aveva operato preliminarmente all’estero ed in particolare in paesi del Medio Oriente, effettuando costruzioni metalliche per diversi richiedenti.
I controlli portarono alla determinazione che l’impresa oltre ad effettuare lavori come da oggetto principale della sua attività, impiegava il personale dipendente, nella costruzione di interi villaggi, in zone del Medio Oriente, operando in “nero”. Questo è stato possibile appurarlo attraverso la documentazione rinvenuta e i controlli incrociati richiesti anche in altri paesi esteri. Ricordo che inviammo diverse rogatorie tra cui : Germania, Inghilterra, Spagna ed altri, compresa la Svizzera. Questi ci inviarono i dati da noi richiesti, ad eccezione della Svizzera, la quale si trincero’ dietro il segreto bancario.
Per poter effettuare tale controllo la nostra pattuglia doveva, ogni mattina, per diversi mesi, recarsi con un auto di servizio, guidata dal m.llo Domenico, raggiungere dopo circa un’ora di strada, la località di Darfo-Boario Terme.
Il percorso che iniziava dal nostro Comando di Brescia in via Milano, 9 attraversava diversi paesi della Valle Camonica:Iseo, Pilzone, Sulzano, Sale Marasino, Marone, Pisogne, Pian Camuno, Artogne, Gianico ed infine Darfo-Boario Terme.
Si ammirava sino a Pisogne, la bellezza del lago d’Iseo, per poi riprendere il tragitto normale, attraverso numerose gallerie, sino alla destinazione designata.
Il tragitto era di 56 km della durata di circa un’ora. Durante questo viaggio, tra noi colleghi, si chiacchierava, affrontando gli argomenti più disparati, ferie comprese. I colleghi erano tutti e due di origini piemontesi Domenico originario di Tortona, Elvio di Castagneto nel torinese. Con Elvio non avevo molta confidenza in quanto era la prima volta che facevo un servizio insieme a lui, nonostante appartenesse anche allo stesso comando nucleo ma lavorava in sezioni diverse. Aveva anni di esperienza ed era molto preparato. In questo controllo fungeva da capo pattuglia. Aveva un amore particolare per il gioco del tennis e quasi sempre nei momenti liberi dal servizio lo si trovava in qualche campo dedicato a questo sport. Con Domenico invece avevo fatto altre volte servizio insieme. Direi che mi è stato di grande aiuto nell’inserimento al nucleo pt, trovandosi da più tempo. I suoi consigli sono stati molto utili e mi hanno permesso di meglio integrarmi al nuovo reparto. Aveva una mente vulcanica e coltivava molti interessi tra i quali quello della fotografia, degli orologi, le radio e le autovetture. Conosceva nei minimi dettagli questi oggetti.
Tornando al nostro incarico, all’ora di pranzo, avevamo trovato una ottima sistemazione. Il ristorante Aprica, situato quasi all’uscita di Darfo. Singolare il fatto che all’ epoca era gestito da ben sette sorelle che ci fornivano un ottimo trattamento.
In una di queste occasioni si venne al discorso dell’argomento ferie. Ognuno illustrava i luoghi dove le trascorreva. Quando Elvio mi senti descrivere della casa situata nel Salento ove mi recavo per la mia vacanza, volle saperne di più. Lo lusingava molto sentire parlare di questo luogo. Ammise che non era mai stato nel Sud Italia e gli sarebbe piaciuto conoscerlo. A questo punto gli dico: “Se ti accontenti, di abitare nel Salento, in una masseria ristrutturata, situata in una posizione strategica, in collina a circa 80 metri sul livello del mare, a metà strada tra Morciano di Leuca e la bellissima spiaggia di Posto Vecchio di Salve, dove l’immobile, offre al visitatore o a chi ci abita una veduta panoramica stupenda. Da Torre Vado a Torre Pali, sono circa cinque chilometri di costa e di mare dai colori che vanno dal cobalto allo smeraldo, in contrasto con il rosso della terra e il verde intenso delle estese piantagioni di ulivi sottostanti, allora puoi fruire della mia casa. Ti avverto però che allo stato attuale non c’è corrente elettrica. Bisogna servirsi di lampade a gas o a petrolio. Per avere l’acqua devi prelevarla da una cisterna, per mezzo di una pompa con motore a scoppio “.
Elvio rimase incuriosito dalla mia descrizione e senza pensarci su due volte esordi: ” Finiamo il controllo che abbiamo in atto. Sicuramente la chiusura avverrà proprio nel periodo delle ferie e quindi ne riparliamo. La tua proposta la ritengo interessante.”
Il controllo alla ditta intanto era alle battute finali. Era il periodo delle ferie e mi sono state concesse nel mese di luglio. Ho lasciato così al m.llo Elvio e Domenico la fase di chiusura. Tuttavia mi hanno aggiornato sul risultato che, per il nostro controllo fu più che buono. Riscontrata evasione a vari tributi: Iva, imposte dirette, bollo, concessioni governative più, denunzia al responsabile, anche di carattere penale, per varie omissioni ed al collegio sindacale per non aver adempiuto agli obblighi previsti per tale organo. Questi sono i dati che ricordo a memoria. Gli elementi concreti ed ufficiali si trovano negli atti redatti ed inviati agli organi competenti.
Quindi erano giunte le agognate ferie anche per Elvio e Domenico. Elvio mantenne la promessa che sarebbe venuto a trascorrere la vacanza nella mia casa salentina. All’epoca non esistevano i cellulari ma telefoni normali e con uno di questi Elvio mi disse che il tal giorno nella mattinata ci saremmo trovati al Santuario di Capo S.Maria di Leuca. Circa 10 chilometri da casa mia. Detto fatto, vado a riceverli al Santuario come previsto. Il viaggio lo fece tutto di notte unitamente alla sua famiglia su una citroen o renault non ricordo quale delle due. Moglie e due figlie. Quando ci presentammo, la signora Giovanna, moglie di Elvio, anche lei la prima volta al Sud, mi chiese : “Ma che profumo ha quest’aria? Non ho mai sentito niente di simile al Nord. ” Le risposi: “Signora Giovanna qui siamo in piena macchia mediterranea e ci sono molte erbe spontanee, selvatiche e aromatiche che emanano profumi particolari che ci riempiono i polmoni e ci rendono felici.”
La mia vacanza era giunta al termine per cui, lasciai alla completa disponibilità, la mia dimora , ad Elvio e alla sua famiglia. Alla vista della posizione dell’immobile, rimasero stupefatti. Dalla Masseria del Cantoro, questa era la sua denominazione, poterono ammirare e verificare in concreto, quanto avevo in precedenza descritto: un paesaggio mozzafiato.
Morale: Dopo quell’anno Elvio e la sua famiglia, fintanto che lui è rimasto in vita, hanno continuato a frequentare il Salento con grande passione.

panorama di Darfo e Cantoro
Veduta panoramica di Darfo e Masseria del Cantoro

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Bomba a Piazza Loggia

Brescia – 28 maggio 1974 – Bomba in Piazza Loggia.
In ricordo di quel tragico giorno.
Da circa un anno mi trovo a svolgere il mio servizio presso il Nucleo pt della G.di F. di Brescia.
Di questo grave lutto cittadino sono stato testimone trovandomi proprio quel giorno in Brescia, per fortuna non nel luogo in cui è avvenuta la tragedia.
La giornata è uggiosa, una fine pioggerellina bagna la città, non sembra proprio una tempo primaverile. Mi appresto ad uscire dagli uffici del Nucleo pt verso le ore 09:00, devo raggiungere la Camera di Commercio in Via Gramsci per ritirare delle visure camerali che mi servono per dei controlli a carico di alcune ditte. Percorro a piedi Via Milano, Corso Garibaldi e Corso Mameli. Quest’ultima strada conduce nei pressi di Piazza Loggia, la più importate della città. Sono al corrente che nel corso della mattinata in questo luogo è prevista una manifestazione sindacale per cui evito di attraversarlo per non incappare in qualche blocco attivato per l’occorrenza. Mi dirigo pertanto nella strada sottostante: “Corsetto S.Agata” per raggiungere infine la Camera di Commercio.
Dopo essere venuto in possesso dei documenti che mi servivano esco per far ritorno alla sede del Nucleo pt, per continuare il lavoro, quando vedo delle persone che corrono in direzione della stazione ferroviaria. Alcune impaurite e altre piangono. Incuriosito chiedo ad alcuni passanti cosa sta accadendo.
Mi dicono che in Piazza Loggia è esplosa una bomba. Nascosto in un cestino porta rifiuti l’ordigno è esploso intorno alle ore 10.02, mentre era in corso una manifestazione contro il terrorismo neofascista indetta dai sindacati e dal Comitato Antifascista con la presenza del sindacalista della CISL Franco Castrezzati, dell’on. del PCI Adelio Terraroli e del segretario della camera del lavoro di Brescia Gianni Panella. L’attentato provoca la morte di otto persone e il ferimento di altre centodue.
Morti:
Giulietta Banzi Bazoli, anni 34, insegnante
Livia Bottardi Milani, anni 32, insegnante
Euplo Natali, anni 69, pensionato
Luigi Pinto, anni 25, insegnante
Bartolomeo Talenti, anni 56, operaio
Alberto Trebeschi, anni 37, insegnante
Clementina Calzari Trebeschi, anni 31, insegnante
Vittorio Zambarda, anni 60, operaio .
Di questo avvenimento si sono riempite pagine di atti giudiziari, è stato scritto su libri, e giornali per documentare questo episodio.
Il 20 giugno 2017 la Corte di Cassazione ha confermato la condanna di tutti i responsabili di quella tragedia. La soddisfazione dei familiari delle vittime e delle istituzioni per la conclusione di una vicenda durata oltre 43 anni e che ha visto lo svolgimento di 11 processi.
(fonte)
https://agensir.it/…/strage-brescia-finalmente-la…/

Bomba a Piazza Loggia

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Giudice Rosario Livatino

Il giudice Livatino
Mi trovo tra le mani a leggere la nostra rivista “Fiamme Gialle” del mese di ottobre 2020. Le prime righe di pagina 6 riportano:
“Proprio oggi ricorre il trentesimo anniversario dell’omicidio del giudice Rosario Livatino, che Giovanni Paolo II, nell’indimenticabile viaggio nel 1993 ad Agrigento in cui alzò forte il grido contro la mafia, aveva definito -martire della giustizia e indirettamente della fede-.
Queste righe portano alla mia memoria un episodio verificatosi negli anni 80. L’anno e il giorno esatto non mi sovviene ma quello che accadde è stampato nel mio cervello come se avvenisse in questo momento. Sono fatti di vita che lasciano il segno ed è impossibile cancellarli. Fanno parte del tuo vissuto.
Ma andiamo con ordine.
Sono assegnato al comando nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Brescia oramai da diversi anni. Qui svolgo il mio servizio osservando le regole del comando ed in particolare secondo le direttive impartite dal comandante di sezione. La prassi è che ogni mattina all’inizio del turno ci viene assegnato un ordine attraverso il quale dobbiamo dare esecuzione. A seconda delle difficoltà questo incarico può essere risolto nell’arco della giornata medesima. A volte invece e richiesto più tempo per portarlo a termine ed una giornata non è sufficiente.
Una di queste mattine sono convocato, unitamente ad un altro collega, nell’ufficio del comandante di sezione il quale ci presenta il giudice Livatino. Il capo sezione ci comunica che dobbiamo essere a disposizione di questo magistrato per il tempo necessario ad una sua particolare indagine che dovrà compiere presso un locale istituto di credito.
Ci viene data la disponibilità di un autovettura di servizio, utile per accompagnare noi e il giudice presso la banca designata. Il percorso che dobbiamo compiere non è poi un lungo tragitto. Si può raggiungerlo anche percorrendolo a piedi, dal comando sino alla banca, ma per comodità ci viene assegnata un’autovettura.
Raggiunto il luogo prescritto entriamo in banca. Ci troviamo ancora nell’atrio di ingresso quando il giudice sente pronunciare il nome di un dipendente. Un altro suo collega lo aveva chiamato per un qualche motivo. Il giudice sentendo quel nome si allerta, si avvicina a questa persona e si presenta.
Lei è il signor ……? Io sono il giudice Rosario Livatino e devo farle alcune domande. L’impiegato aderisce facendoci accomodare in un ufficio.
Qui il magistrato inizia a formulare al dipendente della banca una serie di richieste. Si fa anche esibire documentazione bancaria utile al suo controllo. Questa viene resa senza alcun problema da parte del funzionario.
Viene data possibilità anche a noi componenti la pattuglia di esaminare tale documentazione, previo consenso del magistrato il quale ad un certo punto esordisce verso di me: “Maresciallo considerato che in questo ufficio, è disponibile una macchina da scrivere, prenda un unico foglio senza carta carbone e scriva quello che andrò a chiedere al funzionario.”
A conclusione di quanto da me dattiloscritto il magistrato chiede all’impiegato di sottoscrivere quanto esposto.
Dopo le dichiarazioni viene ripreso l’esame dei documenti, sia dal magistrato che da parte della pattuglia. Il giudice è talmente assorto in questa incombenza che si dimostra di poche parole nei nostri confronti.
Ricordo che eravamo giunti allora di pranzo quando ci avverte che potevamo interrompere per poi ritornare nel pomeriggio. Lui sarebbe rimasto nella sede della banca a continuare l’esame dei documenti accontentandosi di un semplice cappuccino.
Il pomeriggio si riprende e ad un certo punto del controllo sia io che il collega facciamo doverosamente osservare alcuni aspetti interessanti che emergono dalla documentazione bancaria esibita.
Su queste osservazioni il giudice Livatino anche se non commenta sembra apprezzare il nostro intervento, al punto che a fine giornata, al rientro al comando nucleo, dà disposizione affinché la stessa pattuglia possa continuare nei giorni a seguire, la disamina della documentazione esibita e la successiva raccolta in quanto, la sua permanenza a Brescia, si limita ad un solo giorno. La richiesta del magistrato viene molto apprezzata da parte nostra. Questo fatto ci inorgoglisce e ci incute entusiasmo al fine di proseguire nel controllo.
Bene, ho ancora presente il comportamento di questa persona e quanta educazione mostrata nei nostri confronti nel momento in cui è stato accompagnato al suo albergo alla fine della giornata. Sceso dell’autovettura dopo i rituali saluti, ha atteso fuori dall’ edificio, con grande compostezza che la vettura si allontanasse, per poi poter fare rientro in albergo dopo la nostra dipartita.
Il collega ed io compreso l’autista siamo rimasti senza parole nel constatare il comportamento del magistrato. Ha dimostrato grande rispetto verso le nostre persone. Questi sono gli atteggiamenti di grandi uomini che seppur di poche parole sanno infondere stima, educazione e alti valori.
Il giudice a causa della lotta alla mafia che aveva intrapreso fu ucciso il 21 settembre 1990.
La notizia mi colpì duramente avendo conosciuto e stimato personalmente, anche se per un tempo molto breve, un grande uomo il quale ha dato la propria vita per fini di giustizia e legalità.

Giudice Rosario Livatino

Al corso trimestrale a Roma

3^Legione Guardia di Finanza – Milano
Nucleo pt di Brescia

1983 – Al corso trimestrale a Roma

Sono già dieci anni che mi trovo al Nucleo di Polizia Tributaria di Brescia. Finalmente dopo lunga attesa mi viene assegnato il grado di maresciallo ordinario: un binario applicato sulle spalline della divisa.
In questi anni, come previsto dalla consuetudine del reparto, ho fatto diversi avvicendamenti nelle varie sezioni: ufficio schedario, sezione mobile, sezione tasse affari, prima sezione ecc.
In quell’anno, se non ricordo male, mi trovavo a far servizio in una sezione abbastanza tranquilla. I compiti da svolgere erano essenzialmente quelli mirati a controlli di carattere fiscale ad aziende ed opifici. Si agiva di iniziativa o attraverso pratiche trasmesse al comando dai vari uffici finanziari. I controlli di iniziativa facevano parte di un programma ben sviluppato e organizzato dal comando nucleo pt secondo dei piani annuali.
Finalmente dopo dieci anni potevo svolgere dei servizi che mi davano la possibilità di aumentare la mia preparazione sopratutto sotto il profilo professionale. Ero anche più stimolato ad affrontare tutte le problematiche fiscali. Mi tenevo aggiornato su tutto quanto concerneva quanto era di nostra competenza. Mi interessava molto capire la normativa prevista in materia di imposta sul valore aggiunto, in materia di imposte dirette, bollo, registro, imposte di fabbricazione ecc. In servizio ero in pattuglia sovente con persone molto qualificate e quindi facevo tesoro della loro esperienza.
Un giorno purtroppo, sono convocato nell’ufficio del comandante del nucleo, il quale mi dà una notizia non tanto piacevole. Mi comunica che sono stato segnalato, unitamente al collega Arace Francesco, per andare a frequentare un corso di aggiornamento tributario di tre mesi, che si sarebbe svolto a Roma. A breve termine avrei dovuto raggiungere quella sede. Questa notizia proprio non ci voleva.
Faccio presente al comandate che, proprio in quel periodo, ero sotto trasloco. Dovevo lasciare l’appartamento ubicato nel quartiere Chiesanuova, in via Fura, per la zona di San Polo Nuovo e precisamente in via Michelangelo 110. Ho dovuto darmi da fare per trovare la nuova sistemazione perché la proprietaria, una signora vedova, mi aveva comunicato che era sua intenzione venire lei ad occupare l’appartamento. Non mi aveva messo fretta ma, sicuramente avrei dovuto darmi da fare per trovare un altro alloggio. Sono stati alcuni mesi di preoccupazione.
Non sapevo a che santo votarmi, avevo ancora i figli in minore età, che frequentavano la scuola elementare nel quartiere.
Trovare una nuova sistemazione non era tanto facile in una città come Brescia. Anche se si riusciva a trovare qualche locale libero questo era abbastanza caro per quanto riguardava l’affitto. Lo stipendio all’epoca non era poi molto e in famiglia eravamo in quattro, io mia moglie e due bambini. Si doveva stare attenti con le spese.
Avevo fatto anche domanda per ottenere un alloggio attraverso l’Istituto Case Popolari.
Fortunatamente l’istanza venne accolta e mi fu assegnato un appartamento in un palazzone di nuova costruzione, situato in via Michelangelo 110, nel quartiere San Polo Nuovo. In questa struttura avevano previsto degli alloggi di servizio per le varie forze dell’ordine: Polizia, Carabinieri, Penitenziaria compresa la Guardia di Finanza.
Devo ringraziare i colleghi che avevano preso contatti con questo istituto. In effetti altri appartenenti al nostro Corpo avevano fatto la mia stessa richiesta. Ci fu quindi anche l’interessamento del nostro Comando.
Avevo pertanto preso accordi con la ditta di traslochi per fare questo movimento ad una data stabilita.
Questa data coincideva proprio con il periodo in cui avrei dovuto partire per Roma e frequentare questo corso.
Avevo rappresentato al mio comandante di nucleo la possibilità di farmi sostituire con qualche altro collega. Gli feci capire che non è che non volessi andare a Roma ma considerato che questi corsi erano periodici, gli dissi se potevo andare ad uno dei successivi che si sarebbero svolti. In un primo momento è sembrato che accettasse la mia proposta ma, dopo qualche giorno, mi richiama e mi riferisce che non c’è possibilità di sostituzione e che necessariamente devo andarci io.
Questo comandante doveva essere assecondato, aveva tutto un modo suo di concepire il trattamento con suoi dipendenti. A volte anche si comportava non proprio con modi garbati.
Ho assistito una volta ad una scenata. Eravamo diversi colleghi convocati nel suo ufficio non ricordo di preciso il motivo, forse era per impartire qualche direttiva, in merito a qualche operazione di servizio da intraprendere. Ad un certo punto gli arriva una telefonata dal Prefetto di Brescia. Si è visto che durante il colloquio dava segni di insofferenza. Era un soggetto che voleva far valere la propria autonomia e indipendenza anche nei confronti di altre rappresentanze istituzionali. Fatto sta, che alla fine della telefonata, non sappiamo che cosa gli avesse comunicato il Prefetto ma, questo comandante, prese la cornetta del telefono e la fece sbattere con violenza sul tavolo, con un moto di stizza. Probabilmente quello che gli era stato detto non gli era andato a genio. Tutti i presenti si guardarono in faccia attoniti senza profferire alcuna parola. Rimanemmo ammutoliti per questo comportamento.
Tornando quindi al mio problema, mi era stata fissata la data del mio trasferimento per un periodo di tre mesi a questo corso di aggiornamento da tenere a Roma. Feci appena in tempo ad effettuare il trasloco e partire. Comunque c’erano ancora molte cose da sistemare nella nuova dimora. Dovetti ogni fine settimana, alla fine delle lezioni che, in genere si tenevano fino al venerdì, prendere il treno per Brescia per andare ad aiutare la famiglia e finire di sistemare le cose a causa del trasloco avvenuto.
Il corso era iniziato e si teneva in locali della Guardia di Finanza situati in via XXI Aprile. Avevamo preso alloggio, il collega Arace ed io, in un albergo non molto distante dalla caserma.
I partecipanti a questo corso erano 81 sottufficiali e provenivano dai Nuclei di Polizia Tributaria di tutta Italia. Un fatto piacevole è stato quello di incontrare qualche collega di corso sia da finanziere che da sottufficiale, provenienti dalle varie regioni ma che negli anni ci eravamo persi di vista.
Tutto sommato questo corso non era male, si apprendevano nuove normative che erano utili per la nostra attività di polizia tributaria. Le materie infatti erano specifiche nel ramo della imposizione diretta e indiretta, nozioni di cultura giuridica e di contabilità aziendale.
Quando eravamo liberi dallo studio avevamo la possibilità di uscire la sera e di fare delle belle passeggiate per Roma. La città offriva molte distrazioni. Visitavamo i luoghi più interessanti, avevamo l’imbarazzo della scelta: Piazza di Spagna, Trinità dei Monti, Fontana di Trevi, Piazza Navona, la visita alle Basiliche: San Pietro, San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le mura, Santa Maria Maggiore, l’Altare della Patria. Le passeggiate per Via del Corso, Via Nazionale, Piazza del Popolo. Non c’era proprio di che annoiarsi. Almeno ci si distraeva un poco.
Io però avevo sempre la preoccupazione di aver lasciato e caricato di problemi la famiglia, proprio in momento critico. Per questo decidevo ogni fine settimana di prendere il treno per ritornare a Brescia. Fortunatamente c’era la possibilità di ottenere dal comando che gestiva il corso dei permessi.
Arace ed io nelle ore libere ci eravamo anche iscritti in piscina tanto per tenere il fisico in allenamento.
La sera, passeggiando per Piazza Navona, si incontravano tanti artisti, alcuni dei quali, se richiesto, ti facevano il tuo autoritratto, sia di persona che, anche esibendo qualche fotografia. Ne feci fare uno per mia moglie Anna che ancora conservo a casa in un quadro.
Avevamo anche concordato che una volta la famiglia ci avrebbe raggiunto a Roma e saremmo stati qualche giorno insieme e visitare i luoghi più interessanti della città. Tutto era stabilito quando all’ultimo momento, mia moglie mi avverte che nostra figlia Cristina non stava tanto bene e perciò dovettero rinunciare al viaggio.
Alla fine dei tre mesi si dovette affrontare l’esame finale.
Devo dire con un buon risultato. Feci una buona prova in tutte le materia sopratutto nella contabilità aziendale. In questo mi fu utile proprio il fatto che da poco tempo del diploma di ragioniere conseguito frequentando i corsi serali presso l’Istituto Giuseppe Cesare Abba di Brescia.
Ebbi un bel punteggio e su 81 partecipanti mi classificai quarto.

Ritratto di Anna mia moglie

Lago d’Idro – Un triste ricordo

Mi spetta il turno di Comando alla Sezione Mobile. È la regola delle rotazioni annuali, alle Sezioni del Nucleo di Polizia Tributaria di Brescia, Questa dipende dalla Prima Sezione. All’epoca in cui si svolsero i fatti che vado a narrare era comandata dal tenente Battistini. ufficiale proveniente dalla categoria dei sott.li. ed esperto sciatore.
Ho il compito di gestire diversi dipendenti tra finanzieri, appuntati v.brigadieri e brigadieri, più dai tre ai quattro alfisti. Il grado che rivesto in quel periodo è quello di Maresciallo capo.
L’operatività della Sezione è abbastanza estesa. Si effettuano controlli che spaziano da quelli relativi al codice della strada, al contrasto del contrabbando di sigarette, a quello delle imposte di fabbricazione sugli oli minerali e sugli spiriti, all’antidroga ed altro.
Si opera nell’arco delle 24 ore. La permanenza in ufficio consiste solamente per redigere eventuali verbali. Il mio compito è di formare le pattuglie, predisporre gli ordini di servizio che poi saranno firmati dal comandante della Prima Sezione e sorvegliare il buon andamento degli incarichi dati al personale.
Il più delle volte prendo parte anch’io alle operazioni. A bordo di autovetture guidate da questi alfisti, a seconda delle esigenze di servizio, ci rechiamo in tutti i luoghi sotto la giurisdizione del Nucleo di Polizia Tributaria. A Nord della circoscrizione si arrivava sino a Ponte di Legno attraversando tutta la Valcamonica. A Est il limite era la cittadina di Peschiera del Garda, a Ovest quella di Treviglio. A Sud ai confini con le province di Mantova e Cremona.
Uno di questi alfisti, con i quali mi trovo diverse volte a bordo della sua autovettura di servizio, è il finanziere Giambanco. Ritengo opportuno citare il suo vero nome considerato che è la figura principale del racconto a prescindere dal tempo intercorso dall’epoca di quei fatti sino ad oggi. Questo finanziere con la qualifica di “alfista” è di origini siciliane, precisamente nativo di Villa Grazia di Carini, frazione di Carini in provincia di Palermo. Costui è un ragazzo molto cordiale, gioviale, educato, rispettoso degli ordini che gli vengono impartiti ed è benvoluto da tutti i componenti della Sezione Mobile. Di corporatura piuttosto robusta. Ho anche modo di apprezzare le sue doti di ottimo nuotatore, quelle volte che ci troviamo in piscina comunale.
A bordo dell’autovettura da lui condotta mi trovo a mio agio. La sua guida è piacevole specialmente quando non c’è motivo di fare alcun intervento urgente. Dico questo a differenza di qualche altro alfista che, fa venir il mal di mare, a causa della pessima guida.
Per questi soggetti è sempre necessario redarguirli, invitandoli a non esagerare, se non ci si trova in presenza di operazioni urgenti, alle quali è necessario procedere in velocità.
Ritornando all’alfista Giambanco, una volta riusciamo a fare un buon risultato di servizio, in materia di stupefacenti. Si sequestra una grossa autovettura marca Volvo di colore bianco in quanto chi la guida viene trovato in possesso di una notevole dose di cocaina. Non ricordo il preciso quantitativo. Si procede al sequestro del mezzo della droga e all’arresto del guidatore. Ricordo il particolare. C’è una soffiata in cui veniamo avvertiti che ad una certa ora di sera sarebbe transitato in via Milano proprio nelle vicinanze della nostra caserma questa autovettura, con della droga. Viene predisposto un buon piano d’intervento e quando arriva la giusta la segnalazione Giambanco con un’ abile manovra messa in atto con l’autovettura di servizio da lui condotta blocca la Volvo, dandoci la possibilità di intervenire successivamente.
Siamo in estate e fa caldo. Il finanziere Giambanco approfittando di un momento libero dal servizio decide di fare un giro con la sua ragazza al lago d’Idro. Per arrivarci ci si impiega circa un’ora attraversando i paesi di Nave, Caino, S. Eusebio, Sabbio Chiese, Barghe, Vestone e Lavenone.
Giunto sul posto ordina, in un chiosco lì vicino, per lui e la sua ragazza, una coca cola ghiacciata e una fetta d’anguria. Quando ha finito decide di immergersi nelle acque del lago pur sapendo che sono abbastanza fredde ma, è giornata estiva e fa caldo e quindi non ci fa caso. Considerando anche che è un bravo nuotatore si tuffa. Poche bracciate e lo si vede scomparire dalla superficie dell’acqua. Giambanco è vittima di un infarto e nel giro di pochi minuti annega.
Lascio immaginare lo stupore causato dall’incidente a tutto il personale della caserma. Io apprendo la notizia da un collega che, mi comunica il fatto, in quanto mi trovo fuori Brescia, in licenza. Non ho potuto quindi assistere alle operazioni successive al triste evento.
Al mio rientro, effettuato dopo poco tempo dall’accaduto, trovo tutti i componenti della Sezione in un profondo sconforto. Giambanco era un ragazzo benvoluto da tutti e la sua dipartita ha lasciato un mare di tristezza in tutti noi.
Dopo qualche giorno d’aver ripreso il mio compito nella Sezione vengo convocato dal tenente Battistini. Il motivo è da attribuire al fatto che Giambanco aveva la disponibilità di un’autovettura Alfa Romeo 155 che, purtroppo, era rimasta parcheggiata nel cortile della caserma. Il mezzo non aveva più senso che rimanesse li, inutilizzato, per cui il tenente Battistini, mi fa presente che avrebbe dovuto essere consegnato ai familiari del deceduto, residenti in Sicilia.
Che fare? Mi offro di consegnare personalmente ai familiari l’autovettura. Sono da poco rientrato proprio dalla Sicilia e precisamente da Alcamo, in provincia di Trapani. Il paese di origine di mia moglie, dove ho trascorso un periodo di vacanza. La mia famiglia è ancora lì per godere qualche altra settimana di mare. Loro si trovano ad Alcamo Marina. Località questa non molto distante da Alcamo.
Mi sono riservato ancora qualche giorno di licenza e decido di sfruttarlo per riportare l’auto ai familiari di Giambanco, per poi rientrare in treno, a Brescia con la mia famiglia.
Il tenente Battistini approva il mio suggerimento e quindi preparo il tutto per l’imbarco da Genova dell’auto di Giambanco.
Genova – Palermo, venti ore di traversata, con la nave Tirrenia. A bordo c’è l’autovettura che dovrò consegnare ai familiari di Giambanco.
Giunto al porto di Palermo ad attendermi c’è mia moglie ed una sua cugina.
Effettuate le operazioni di sbarco prendiamo la via per Villa Grazia di Carini, luogo questo in cui risiedono i familiari di Giambanco. Mi seguono mia moglie e sua cugina con la sua auto. La distanza non è molta ci sono da percorrere circa 17 chilometri.
Arrivati a destinazione i familiari preventivamente avvertiti dal mio arrivo sono ad attendermi davanti al loro giardino, in un bel viale, dove ai lati fanno bella mostra delle piante di agrumi.
Il momento è commovente. L’emozione si fa sentire da entrambe le parti. A me viene un nodo alla gola. Non riesco nemmeno a parlare.
Ricordo perfettamente ancor oggi, a distanza di molti anni, il commento del padre di Giambanco alla vista dell’autovettura. “Mi si riapre una ferita e non so ancora quando sarà del tutto rimarginata. Che senso ha aver riportato questa macchina quando il suo proprietario non è più tra noi.”
Io rispettosamente, gli faccio notare che, mi è stato ordinato dai miei superiori, il rientro del mezzo per essere messo a disposizione dei familiari e che, non sarebbe stato giusto tenerla inutilizzata nel piazzale della Caserma.
Dopo di ciò, il padre di Giambanco, si riprende dal momento critico e si tranquillizza.
Approfitto allora per avvertirlo che dobbiamo riprendere il viaggio per arrivare ad Alcamo in quanto c’è ancora un buon tratto di strada da percorrere. Il signor Giambanco non obietta alla mia richiesta e, dopo i vari saluti, ci regala anche due belle cassette di arance, prelevate dal proprio giardino.
Così dopo effettuata la consegna dell’auto abbiamo raggiunto la località di Alcamo con l’auto della cugina di Anna.
Con la mia famiglia sono rimasto ancora qualche giorno al mare per poi prendere il treno e rientrare a Brescia, dove ho ripreso il servizio in Sezione Mobile.

Lago d’Idro

Spalloni che aiutano la pattuglia

Tutto accadde in un giorno in cui ero comandato a svolgere il servizio di casermiere.
Nonostante la mia avversione, questa era una delle attività, che eravamo tenuti ad adempiere in questi posti. Si effettuava a rotazione, coinvolgendo tutto il personale, ad esclusione dei Comandanti del Reparto: brigadieri e vicebrigadieri.
La funzione di casermiere prevedeva diversi compiti quali: cuciniere, piantone, effettuare i collegamenti radio, con le altre stazioni, ad ogni ora del giorno ed altre incombenze varie. Sono stato costretto pertanto, mio malgrado, ad imparare come si doveva fare da mangiare. Si doveva inoltre scendere nel primo centro abitato e provvedere all’acquisto dei generi alimentari, necessari alla preparazione del pranzo e della cena, per tutti i commensali, compresi eventuali ospiti e gli Ufficiali che gradivano fermarsi a pranzo, dopo aver effettuato le loro ispezioni.
Se il cuciniere sbagliava a confezionare il vitto, se lo bruciava o era troppo salato o insipido, il danno era a suo carico ed era pertanto, tenuto a sopportarne le spese.
Piuttosto quindi che essere incaricato di questo servizio, preferivo mille volte, essere comandato di pattuglia. Non è che il pattugliamento che si operava in quei luoghi, teso alla repressione del contrabbando, fosse una delle migliori soluzioni ma lo preferivo piuttosto che fare il casermiere.
Fortuna volle che col tempo si offrì volontario un collega il quale aveva la passione per la cucina e non gli piaceva il servizio anti contrabbando.
Il Reparto era molto disagiato, isolato, in mezzo ad un bosco, proprio a ridosso del confine Svizzero. A nord dell’immobile a pochi passi c’era la famosa “Ramina” la rete fiscale messa come barriera contro le intrusioni da parte di soggetti dediti ad attività illecite.
Erano gli anni in cui fioriva l’importazione dalla Svizzera di diversi tipi di merci evitando il pagamento dei diritti doganali. Una su tutte: le sigarette ( o tabacco lavorato estero, t.l.e.) come veniva denominato. Oltre a questa merce c’era anche l’importazione di generi come : oro, gioielli, caffè, saccarina, apparecchi radio, televisori ecc.
Il contesto era questo: da una parte le Fiamme Gialle a tutela dei diritti dell’Erario, dall’altra chi cercava di violare questi diritti. Veniva ribadito più volte che per quelle zone queste attività formavano l’economia prevalente a causa della scarsità di lavoro. Non c’erano altre alternative.
Tuttavia tra i militari della G.di F. e i contrabbandieri c’era una sorta di tacito accordo. Un patto non scritto, che veniva rispettato da ambo le parti. In sostanza si trattava di questo: Se la pattuglia eseguiva un fermo di merce di contrabbando, in genere le bricolle di t.l.e. e queste venivano lasciate cadere a terra al grido di “molla” o “lancia il cane” o “attacca”, i militari di pattuglia, dopo un breve inseguimento, desistevano dall’arresto dei responsabili. Considerato che in genere questi interventi avvenivano di notte ed in mezzo al bosco, diventava arduo ed improbabile, acchiappare ed arrestare qualcuno. Era sufficiente quindi, da parte degli spalloni, lasciare il carico per terra e darsi alla fuga. In questo frangente accadeva che se i sacchi da concentrare in Caserma erano molti, la pattuglia era in difficoltà, per trasportarli tutti. Ecco che allora, gli stessi spalloni che si erano dileguati, ritornavano indietro, offrendo il loro aiuto, affinché la merce giungesse a destinazione.
Il contrabbando “romantico”, questo era l’appellativo dato in virtù di questi comportamenti cavallereschi. Queste azioni erano tollerate ma non dovute. Se un superiore gerarchico avesse assistito ad un evento del genere, questo sicuramente avrebbe preteso che venisse sanzionato.
Proprio quello che avvenne quel giorno in cui mi trovavo ad espletare l’incarico di casermiere.
Era un tardo pomeriggio, quando una pattuglia composta da due soli militari, (non mi vengono in mente i loro nomi), aveva proceduto al fermo, mi pare di quattro o cinque bricolle di t.l.e. Per il trasporto in caserma si fecero aiutare dagli stessi spalloni. A conclusione delle operazioni quest’ultimi furono lasciati a riprendere il loro cammino.
Quando si dice la iella!
Fatalmente, in quel preciso momento, in cui quella gente si stava allontanando dal Reparto, sentiamo suonare il campanello. Aperta la porta d’ingresso, il brigadiere si trova davanti il capitano comandante la compagnia, giunto lì per una ispezione. L’ufficiale si era reso conto del movimento anomalo di quelle persone che si stavano allontanando ma, per poco, non sorprese quella gente mentre aiutava la pattuglia. Si era accorto solamente che nell’atrio c’erano ancora le bricolle per terra, Non si era fatto in tempo a custodirle nella stanza apposita. Non ci aveva messo molto a capire, cosa poteva essere accaduto, ma non ne aveva la certezza.
In quel momento il panico è dilagato per tutta la caserma. Era ben noto a tutti il modo di agire di questo ufficiale. Chi ha fatto servizio in quegli anni in queste zone, avrà avuto modo di conoscerlo. Infliggeva sanzioni disciplinari anche alle minime manchevolezze.
Entrato in ufficio si è seduto al posto riservato al brigadiere comandante ed ha iniziato un interrogatorio “a tappeto”, cominciando da quelli che avevano operato il sequestro delle sigarette, fino a quelli, che al momento erano presenti nei locali. Per ultimo ha interrogato anche “me”.
La principale domanda che fece, rivolta a tutti, fu quella di far ammettere che c’era stato aiuto da parte degli spalloni, a portare la merce in caserma. Tutti negarono, per fortuna, questa ipotesi e quando fu il mi turno mi chiese:
“Tu come ti chiami?”
Rispondo: “Sono il finanziere Abbaterusso Giuseppe, in servizio di casermiere”.
“Hai visto e conosciuto le persone che hanno portato le bricolle in caserma?”
“No, non le conosco e non ho visto nessuno fare quello che lei mi sta chiedendo in quanto ero tra i fornelli della cucina intento a preparare la cena. Ho sentito solamente del movimento all’ingresso. Mi sono affacciato dalla porta della cucina e ho notato che per terra, c’erano delle bricolle. Altro non ho da aggiungere.”
Finito di fare queste dichiarazioni sono tornato alla mia mansione.
Al riguardo mi preme precisare che realmente, non avevo mai visto quella gente e nemmeno la conoscevo. Le finestre della cucina, erano situate in posizione tale, da impedire la vista, ad eventuali movimenti esterni alla caserma. Tuttavia, se anche ipoteticamente, li avessi conosciuti e visti transitare, avrei affermato all’interrogante, di non conoscere e di non aver visto persone aiutare la pattuglia. Questo per solidarietà, nei confronti dei mie compagni che avevano operato il fermo.
Alla fine dell’inchiesta e acquisiti in atti tutte le nostre dichiarazioni l’ ufficiale se ne andò riservandosi di agire di conseguenza.
Di questo episodio sono rimasto veramente scosso. Ci siamo chiesti quali sarebbero stati i provvedimenti che avrebbe preso in considerazione dell’accaduto. Il fatto lo abbiamo considerato “grave”,visto la piega che aveva preso.
Non nascondo che il mio stato d’animo era a terra. In effetti da parte mia, non mi sentivo coinvolto, proprio a causa di quel momento, ero proprio estraneo a quanto accaduto. Comunque ero molto agitato ed in ansia su quello che sarebbero stati gli sviluppi della situazione. Sono arrivato al punto di consultare un avvocato, unitamente ad altri colleghi, soprattutto quelli che avevano proceduto al fermo delle sigarette. Così che al primo permesso ottenuto, ci siamo recati a Como, presso lo studio del professionista, il quale messo al corrente di quanto accaduto, in un certo qual modo, ci diede delle assicurazioni positive per noi. Riferendosi alla mia situazione: mi tranquillizzò, significando che non ravvisava motivo di provvedimenti perché estraneo al fatto e occupato in ben altre mansioni. Tuttalpiù, asseriva che tutto si sarebbe concluso, eventualmente con un provvedimento di carattere amministrativo, attingendo dalle norme punitive contemplate nei nostri regolamenti. Ipotesi questa riferita nei confronti del comandante del Reparto e della pattuglia che aveva operato il fermo. Provvedimenti di carattere penale non avrebbero avuto senso, mancando la certezza, da parte dell’ufficiale, che si fosse compiuto l’atto, di aiutare la pattuglia, al trasporto della merce di contrabbando.
A distanza di oltre 50 anni, è singolare come ricordi perfettamente tutta l’inchiesta, posta in essere dal capitano, mentre invece per quanto concerne i provvedimenti presi dal medesimo, nei confronti della pattuglia e del Comandante la Brigata, non ho idea di quali furono. Su di me non ci fu alcuna punizione.
In conclusione di tutto questo, quando penso a questo episodio, un senso di amarezza e frustrazione mi pervade. Fatti di questo genere fanno crollare e mettere a dura prova il morale di una persona. Nonostante in quel periodo svolgessi il mio compito con molto impegno e spirito di sacrificio, ero demoralizzato di quanto accaduto. Erano le mie prime esperienze, al mio primo reparto. Mi era stato assegnato, terminato il corso allievi finanzieri, conseguito presso la Scuola Alpina della Guardia di Finanza di Predazzo. Avevo memorizzato e assimilato tutti gli insegnamenti ricevuti ed ero fiero di metterli in pratica con grande volontà serietà, onestà, spirito di sacrificio, voglia di fare, di emergere, di rendermi utile sapendo che avevo una missione da compiere per la salvaguardia degli interessi dello Stato e della collettività. Uno pensa, nonostante ti trovi ad operare tra mille difficoltà, ti imbatti poi in situazioni alle quali non sei responsabile ma vieni tirato dentro, come se lo fossi tu a causarlo, capisci che qualcosa non quadra.
Per questi motivi, mi sarebbe stato di gradimento essere avvicendato in altra sede, meno problematica di quella in cui mi trovavo.
Per fortuna questo avvenne. Poco tempo dopo ottenni il trasferimento. Questa volta in una sede più tranquilla. In effetti ebbi modo di constatare con mia grande soddisfazione di trovarmi in un ambiente molto diverso e distensivo dove il servizio veniva svolto con più serenità e più tranquillità.

Spalloni con carico di bricolle

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Il Pacco

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Sono comandato di servizio anticontrabbando in un Reparto di confine tra la Svizzera e l’Italia. Rivesto la carica di capo-pattuglia perché sono più anziano, come anni di servizio del collega che è con me, nonostante sia un parigrado. Queste sono le regole da rispettare nel nostro ambiente. In genere siamo tutti giovani e provenienti dagli stessi reparti di istruzione, Scuola Alpina, Roma, Portoferraio ma di corsi diversi. Generalmente, il vivaio più numeroso, di finanzieri che si trovano a rimpolpare i reparti della Legione di Como, proviene dalla Scuola Alpina di Predazzo. Io sono uno di questi. Dopo aver frequentato nove mesi di corso sono trasferito proprio in questa Legione. Sono anni nei quali il contrabbando di tabacco lavorato estero imperversa in tutta la quella zona. Numerosi sono i reparti dislocati a ridosso del Confine proprio per contrastare questo particolare fenomeno.
Raggiungiamo il luogo che ci è stato assegnato nell’ordine di servizio, camminando di notte, al buio, senza alcuna luce, tanto siamo abituati a calpestare questi sentieri. La nostra meta è proprio in uno di questi, che rasenta la linea di confine e la “rete fiscale”, ubicato in località Maiocca – Scala del Paradiso.
Si adotta l’espediente di appostarci non proprio nel posto prescritto ma spostati leggermente un poco più in alto, in mezzo a dei cespugli, per non dare adito ai contrabbandieri di scoprirci. Questa è una buona regola, sperimentata varie volte che ci ha permesso di effettuare diversi sequestri di merce di contrabbando.
Siamo dotati di un solo sacco a pelo pur essendo in due. Ci viene ordinato di portarne uno solo. I Comandi, temono che, se ne usiamo due, c’è il rischio che invece di vegliare, ci si addormenta tutti, a scapito del buon esito del servizio.
Il luogo che ci circonda, è noto per la diuturna presenza di soggetti, che girano per il bosco, principalmente per scoprire i posti dove le pattuglie si appostano, simulando la ricerca di funghi o qualche altro espediente del tipo: portare a spasso il cane, fare passeggiate nel bosco, ecc. Per cui meno, rumore si fa e più nascosti siamo, meglio è per noi, per avere più possibilità di celare la nostra presenza. In tal modo si può pretendere un buon effetto sorpresa, nell’eventualità che sia introdotta della merce di contrabbando dalla Svizzera in Italia.
L’armamento, che abbiamo in dotazione, è la classica pistola d’ordinanza Beretta calibro nove corto. Sono in grado, di smontare e rimontare, quest’arma ad occhi chiusi. Questo grazie agli insegnamenti ottenuti al reparto d’istruzione della Scuola Alpina. Inoltre ci viene assegnato il cosiddetto moschetto calibro 91/38. Le munizioni sono cartucce caricate a mitraglia. Questo tipo di munizione è progettata proprio per il nostro uso nei reparti di confine. Tecnicamente è un’ogiva in ottone che all’uscita dalla volata si apre lasciando uscire alcuni proiettili in piombo. In genere, quando si verificava un fermo di merce di contrabbando, c’è l’abitudine di esplodere qualche colpo in aria di queste cartucce per dare l’Alt ai contrabbandieri in modo che abbandonino il carico.
A proposito di ciò, un fatto singolare, mi è successo una volta, in occasione di un fermo di sigarette. Fatalità, proprio quando siamo rientrati in caserma, con il carico sequestrato, c’era l’ispezione da parte dell’ufficiale comandante la tenenza di Gironico. Costui invece di complimentarsi con la pattuglia, alla domanda se avevamo fatto uso delle armi e ricevendo da parte nostra, risposta affermativa, ci rifilò due giorni di consegna. Avevamo esploso due colpi in aria di queste munizioni a mitraglia. Boh! Sull’uso delle armi in zona di confine non si capiva mai bene come comportarsi.
La famosa legge 4 marzo 1958, n. 100 – Uso delle armi da parte dei militari e degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria in servizio alla frontiera e in zona di vigilanza. Lasciava adito a varie interpretazioni.
Tornando al nostro appostamento, in questi frangenti vale la regola del silenzio, le poche parole che mi scambio col collega sono pronunciate a bassa voce. Questo per poter ascoltare i rumori provenienti dal sentiero sottostante, considerato come usuale per il transito di merce sospetta.
In quei momenti di attesa, una moltitudine di pensieri ronza come uno sciame d’api nella mia testa.
Non ho ancora vent’anni, mi ritrovo di notte, in mezzo ad un bosco, a svolgere un incarico particolarmente delicato e pieno di imprevisti. La scelta che ho fatto nel vestire l’uniforme del finanziere sarà stata giusta? Potevo rimanere a casa con la mia famiglia? Continuare gli studi? Frequentare gli amici di sempre? Invece di trovarmi qua, in un posto di confine, in una zona disagiata sotto vari aspetti. Turni di servizio impossibili. Sempre allarmati dalla presenza dei contrabbandieri. Con il rischio di prendere anche punizioni disciplinari da parte dei superiori, sempre in giro d’ispezione a controllare il nostro operato.
Un taglio, a questi pensieri, viene dato dal calpestio che sentiamo sopraggiungere dal basso, dove è situato il sentiero. Riusciamo ad intravedere in lontananza, un individuo, che si sta avvicinando verso la nostra postazione. Ancora la figura della persona non è abbastanza chiara. Nel dubbio dico al collega:
“Mi sembra che sia un tipo solitario, lasciamolo passare, poi io cercherò di avvicinarmi a lui seguendolo senza farmi notare. L’involucro che in spalla non è troppo voluminoso.” Dalla poca luce, si riesce a capire, che non è una bricolla di sigarette ma qualcosa d’altro, qualcosa di più piccolo. Accordatomi col collega sul comportamento da adottare, senza far rumore, comincio a pedinare da solo questo soggetto. Il collega rimane sul posto assegnato. Io proseguo nel mio intento. Giunto in prossimità di questa persona, un moto istintivo mi pervade. Senza pronunciare alcunché gli strappo il pacco dalla sua spalla. Questi si gira di scatto, si rende conto che, chi ha compiuto questo gesto, è un militare della Guardia di Finanza, per cui si dà a precipitosa fuga, prendendo la direzione verso l’abitato di Cavallasca. Ho cercato di fermarlo, ma considerato il buio della notte e il sentiero scosceso, dopo pochi metri ho desistito dall’impresa. Riconosco che il gesto da me compiuto, è stato molto azzardato e non tanto protocollare. Tuttavia ci sono frangenti nei quali l’adrenalina sale e ti fa agire senza pensare tanto alle regole. Quello che mi interessava l’avevo nelle mie mani. Ero curioso di conoscere il contenuto di questo piccolo pacco avvolto in un involucro di carta nera. Non appena giunti in caserma, lo abbiamo aperto ed è risultato contenere “saccarina”, predisposta in piccoli sacchetti. A quei tempi, questa sostanza, era soggetta a regime di Monopolio e si prestava ad essere introdotta nel territorio italiano di contrabbando.
Successivamente il Decreto Legislativo 25/02/1980 nr. 30 ne aboliva il monopolio.
Quanto ho narrato fa parte dei miei ricordi risalenti a circa 55 anni fa. Gli anni sono quelli che vanno dal 1964 al 1966.
I ricordi di un uomo sono molto importanti ci aiutano a costruire il nostro presente.
Certo sembra di rivivere ora come allora le esperienze maturate come se accadessero nel presente. Potenza del cervello, quando si ha la fortuna di averlo ancora sano ed efficiente.
Il reparto era la brigata frontiera di Colombirolino. Località questa dipendente dal Comune di Cavallasca (Co). I componenti erano una ventina circa, tutti finanzieri di giovane età, comandati da un brigadiere e un vicebrigadiere in sottordine. Alcuni di loro li ricordo ancora:
Sotufficiali, avvicendatisi nel tempo:
Brigadieri: Ghisaura, Di Bernardo, Staiano.
Vicebrigadieri: Bisegna, Cagnazzi;
Finanzieri: Accili Roberto, Amato, Ropa Attilio, Valastro, Ottaviani Armando, Podda Agostino, Sica Galante, Leone Vincenzo, Stanganelli, De Giuseppe, Sangiorgio, Gobbi Giancarlo, Carnevale.
Mi scuso per gli altri ma i loro nomi, sono caduti nell’oblio e mi spiace ancora di non ricordare, il nome del collega, che mi ha accompagnato in questa avventura.
Se qualche lettore, ha notizie di qualcuno di questi colleghi che ho elencato, mi piacerebbe conoscere i loro attuali recapiti.
Sono a conoscenza che i colleghi del tempo, Accili Roberto e Sica Galante purtroppo non sono più tra noi. Mi auguro che gli altri siano in buona salute e che si godano la pensione raggiunta dopo tanti anni di sacrifici.

La Scala Paradiso e mappa di Monte Sasso

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24 dicembre 1994

24 Dicembre 1994
Milano, Via Melchiorre Gioia, sede del Comando Legione.
Mi trovo in fila con diversi colleghi in uno stanzone semibuio, alla fine di questo c’è un tavolino con una sedia nella quale è seduta una persona in abiti civili, non saprei quindi se è un graduato o un semplice finanziere. Il suo compito è quello di ricevere pistole e tesserino di riconoscimento depositate da tutte quelle persone che attendono in fila il loro turno. Man mano che lasciano questi oggetti egli procede ad una spunta su di un elenco che ha davanti a sé. Che cosa è questa operazione? Ebbene questo è l’ultimo atto che compio in seno alla Guardia di Finanza prima di uscirne completamente dopo aver trascorso ben31 anni. Si tratta del mio congedo da questa Amministrazione. Non sono uno che ci tiene alle formalità o alle apparenze ma l’impressione che ho avuto nel compiere l’ultimo gesto prima di uscire da quella stanza è stata di profondo squallore e malinconia. Dopo tanti anni di appartenenza ad una Organizzazione come quella che sto lasciando, non c’è nessuno che ti stringa la mano. Nessun discorso, nessun saluto. Non me lo sarei mai aspettato, io penso che in qualunque Amministrazione civile o militare ci sia un minimo di commiato rivolto a chi per tanti anni ne ha fatto parte. Niente, assolutamente niente. *** Non vorrei a questo punto che gli aspetti negativi descritti in queste pagine siano interpretati come la regola di comportamento adottata nel corso della mia permanenza in seno a questa Amministrazione. Questi sono stati degli episodi isolati come ad esempio i contrasti avuti con certi Superiori, i quali, nei miei confronti, e di altri, hanno manifestato arroganza, prepotenza, intolleranza e stupidità. Certo che il lavoro da me svolto è avvenuto in un ambiente militare e quindi particolare, diverso da quello civile. Ma chi non si è mai imbattuto in fatti che hanno provocato delusione, sconforto ed altre anomalie? Chi nella vita cosiddetta civile, nel mondo del lavoro o in altri ambiti non ha avuto problemi con un dirigente, un capoufficio, un impiegato, un collega, arrogante, presuntuoso, stupido o altro comportamento deleterio. Chi non ha mai inghiottito bocconi amari? Penso che molti abbiano vissuto le mie stesse situazioni a prescindere dai contesti in cui ci si è trovati, tali da urtare la propria sensibilità, dignità, amor proprio. Ho assistito, in occasione di controlli, presso alcune aziende al comportamento arrogante del datore di lavoro verso i propri dipendenti i quali dovevano subire umiliazioni gravi senza potersi difendere per timore di dover perdere il posto di lavoro. Di fronte a queste situazioni cresceva in me la consapevolezza che il mio stato era molto migliore di quello di molte altre persone impiegate nel cosiddetto ambiente civile. Perciò nel corso della mia carriera, come ritengo in tutte le altre manifestazioni umane ci siano momenti negativi e positivi. Quello che è importante è non demordere. I percorsi della vita di ognuno di noi non sono tutti in discesa. Ci sono anche delle asperità che si possono e devono superare. Questo è quello che ho cercato di fare nel corso della mia carriera nel Corpo della Guardia di Finanza alla quale va tutto il mio rispetto e ne sono onorato di avervi fatto parte. Soddisfazioni ne ho avute. Non è il caso di elencarle tutte. Le cose belle non fanno notizia. Ho avuto il privilegio di lavorare con persone in gamba dal più semplice finanziere all’ufficiale superiore più alto in grado. Dal loro comportamento ho sempre tratto lezioni di vita che mi resteranno per sempre impresse.
Così, terminata la mia ultima incombenza, mi reco alla stazione ferroviaria di Milano per prendere il treno di ritorno a Brescia da semplice cittadino. Mi lascio alle spalle 31 anni della mia vita nella quale ho indossato i panni di un finanziere prima e di sottufficiale poi. Durante il tragitto da Milano a Brescia oltre al solito paesaggio che si intravede dai finestrini del treno, mi vedo: non ancora diciannovenne lasciare la mia famiglia per andare a frequentare il corso allievi finanzieri presso la Scuola Alpina di Predazzo, prestare il servizio di istituto presso la Brigata di confine di Colombirolino, e quella di Bizzarone, sul confine italo-svizzero, la brigata di Bellagio sul lago di Como, frequentare il corso allievi sottufficiali presso la Scuola al Lido di Ostia, riprendere il servizio normale presso la compagnia del Brennero sul confine italo-austriaco, la brigata volante di Gorgonzola in provincia di Milano ed infine il Nucleo di polizia tributaria di Brescia nel quale ho reso il mio servigio per ben 21 anni. Quante cose sono accadute in tutto questo tempo? Specialmente se lo hai speso nell’ambito di un’organizzazione come la Guardia di Finanza di fatti, situazioni esperienze, si potrebbe scrivere un libro e non solo tenerle in serbo nella propria mente. Qualcosa ho messo nero su bianco. Sono scritti che possono sembrare scarni, a volte aridi, a volte burocratici ma si tratta di vita realmente vissuta. Ho voluto scrivere per mio gusto personale non avendo intenzione di pubblicare nulla. Magari un giorno se questi fogli capitassero chissà come nelle mani di qualcuno: moglie, figlia, nipote, amico, sorella, potrà dire: “Però quante esperienze ha vissuto Giuseppe”. Nel frattempo il treno è giunto a Brescia, è il 24 dicembre, vigilia di Natale. Domani è festa e sono sicuro che la trascorrerò in famiglia, almeno questo mi conforta. In tempi addietro forse, sarei stato comandato di servizio anche il giorno di Natale.

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