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Spalloni che aiutano la pattuglia

Tutto accadde in un giorno in cui ero comandato a svolgere il servizio di casermiere.
Nonostante la mia avversione, questa era una delle attività, che eravamo tenuti ad adempiere in questi posti. Si effettuava a rotazione, coinvolgendo tutto il personale, ad esclusione dei Comandanti del Reparto: brigadieri e vicebrigadieri.
La funzione di casermiere prevedeva diversi compiti quali: cuciniere, piantone, effettuare i collegamenti radio, con le altre stazioni, ad ogni ora del giorno ed altre incombenze varie. Sono stato costretto pertanto, mio malgrado, ad imparare come si doveva fare da mangiare. Si doveva inoltre scendere nel primo centro abitato e provvedere all’acquisto dei generi alimentari, necessari alla preparazione del pranzo e della cena, per tutti i commensali, compresi eventuali ospiti e gli Ufficiali che gradivano fermarsi a pranzo, dopo aver effettuato le loro ispezioni.
Se il cuciniere sbagliava a confezionare il vitto, se lo bruciava o era troppo salato o insipido, il danno era a suo carico ed era pertanto, tenuto a sopportarne le spese.
Piuttosto quindi che essere incaricato di questo servizio, preferivo mille volte, essere comandato di pattuglia. Non è che il pattugliamento che si operava in quei luoghi, teso alla repressione del contrabbando, fosse una delle migliori soluzioni ma lo preferivo piuttosto che fare il casermiere.
Fortuna volle che col tempo si offrì volontario un collega il quale aveva la passione per la cucina e non gli piaceva il servizio anti contrabbando.
Il Reparto era molto disagiato, isolato, in mezzo ad un bosco, proprio a ridosso del confine Svizzero. A nord dell’immobile a pochi passi c’era la famosa “Ramina” la rete fiscale messa come barriera contro le intrusioni da parte di soggetti dediti ad attività illecite.
Erano gli anni in cui fioriva l’importazione dalla Svizzera di diversi tipi di merci evitando il pagamento dei diritti doganali. Una su tutte: le sigarette ( o tabacco lavorato estero, t.l.e.) come veniva denominato. Oltre a questa merce c’era anche l’importazione di generi come : oro, gioielli, caffè, saccarina, apparecchi radio, televisori ecc.
Il contesto era questo: da una parte le Fiamme Gialle a tutela dei diritti dell’Erario, dall’altra chi cercava di violare questi diritti. Veniva ribadito più volte che per quelle zone queste attività formavano l’economia prevalente a causa della scarsità di lavoro. Non c’erano altre alternative.
Tuttavia tra i militari della G.di F. e i contrabbandieri c’era una sorta di tacito accordo. Un patto non scritto, che veniva rispettato da ambo le parti. In sostanza si trattava di questo: Se la pattuglia eseguiva un fermo di merce di contrabbando, in genere le bricolle di t.l.e. e queste venivano lasciate cadere a terra al grido di “molla” o “lancia il cane” o “attacca”, i militari di pattuglia, dopo un breve inseguimento, desistevano dall’arresto dei responsabili. Considerato che in genere questi interventi avvenivano di notte ed in mezzo al bosco, diventava arduo ed improbabile, acchiappare ed arrestare qualcuno. Era sufficiente quindi, da parte degli spalloni, lasciare il carico per terra e darsi alla fuga. In questo frangente accadeva che se i sacchi da concentrare in Caserma erano molti, la pattuglia era in difficoltà, per trasportarli tutti. Ecco che allora, gli stessi spalloni che si erano dileguati, ritornavano indietro, offrendo il loro aiuto, affinché la merce giungesse a destinazione.
Il contrabbando “romantico”, questo era l’appellativo dato in virtù di questi comportamenti cavallereschi. Queste azioni erano tollerate ma non dovute. Se un superiore gerarchico avesse assistito ad un evento del genere, questo sicuramente avrebbe preteso che venisse sanzionato.
Proprio quello che avvenne quel giorno in cui mi trovavo ad espletare l’incarico di casermiere.
Era un tardo pomeriggio, quando una pattuglia composta da due soli militari, (non mi vengono in mente i loro nomi), aveva proceduto al fermo, mi pare di quattro o cinque bricolle di t.l.e. Per il trasporto in caserma si fecero aiutare dagli stessi spalloni. A conclusione delle operazioni quest’ultimi furono lasciati a riprendere il loro cammino.
Quando si dice la iella!
Fatalmente, in quel preciso momento, in cui quella gente si stava allontanando dal Reparto, sentiamo suonare il campanello. Aperta la porta d’ingresso, il brigadiere si trova davanti il capitano comandante la compagnia, giunto lì per una ispezione. L’ufficiale si era reso conto del movimento anomalo di quelle persone che si stavano allontanando ma, per poco, non sorprese quella gente mentre aiutava la pattuglia. Si era accorto solamente che nell’atrio c’erano ancora le bricolle per terra, Non si era fatto in tempo a custodirle nella stanza apposita. Non ci aveva messo molto a capire, cosa poteva essere accaduto, ma non ne aveva la certezza.
In quel momento il panico è dilagato per tutta la caserma. Era ben noto a tutti il modo di agire di questo ufficiale. Chi ha fatto servizio in quegli anni in queste zone, avrà avuto modo di conoscerlo. Infliggeva sanzioni disciplinari anche alle minime manchevolezze.
Entrato in ufficio si è seduto al posto riservato al brigadiere comandante ed ha iniziato un interrogatorio “a tappeto”, cominciando da quelli che avevano operato il sequestro delle sigarette, fino a quelli, che al momento erano presenti nei locali. Per ultimo ha interrogato anche “me”.
La principale domanda che fece, rivolta a tutti, fu quella di far ammettere che c’era stato aiuto da parte degli spalloni, a portare la merce in caserma. Tutti negarono, per fortuna, questa ipotesi e quando fu il mi turno mi chiese:
“Tu come ti chiami?”
Rispondo: “Sono il finanziere Abbaterusso Giuseppe, in servizio di casermiere”.
“Hai visto e conosciuto le persone che hanno portato le bricolle in caserma?”
“No, non le conosco e non ho visto nessuno fare quello che lei mi sta chiedendo in quanto ero tra i fornelli della cucina intento a preparare la cena. Ho sentito solamente del movimento all’ingresso. Mi sono affacciato dalla porta della cucina e ho notato che per terra, c’erano delle bricolle. Altro non ho da aggiungere.”
Finito di fare queste dichiarazioni sono tornato alla mia mansione.
Al riguardo mi preme precisare che realmente, non avevo mai visto quella gente e nemmeno la conoscevo. Le finestre della cucina, erano situate in posizione tale, da impedire la vista, ad eventuali movimenti esterni alla caserma. Tuttavia, se anche ipoteticamente, li avessi conosciuti e visti transitare, avrei affermato all’interrogante, di non conoscere e di non aver visto persone aiutare la pattuglia. Questo per solidarietà, nei confronti dei mie compagni che avevano operato il fermo.
Alla fine dell’inchiesta e acquisiti in atti tutte le nostre dichiarazioni l’ ufficiale se ne andò riservandosi di agire di conseguenza.
Di questo episodio sono rimasto veramente scosso. Ci siamo chiesti quali sarebbero stati i provvedimenti che avrebbe preso in considerazione dell’accaduto. Il fatto lo abbiamo considerato “grave”,visto la piega che aveva preso.
Non nascondo che il mio stato d’animo era a terra. In effetti da parte mia, non mi sentivo coinvolto, proprio a causa di quel momento, ero proprio estraneo a quanto accaduto. Comunque ero molto agitato ed in ansia su quello che sarebbero stati gli sviluppi della situazione. Sono arrivato al punto di consultare un avvocato, unitamente ad altri colleghi, soprattutto quelli che avevano proceduto al fermo delle sigarette. Così che al primo permesso ottenuto, ci siamo recati a Como, presso lo studio del professionista, il quale messo al corrente di quanto accaduto, in un certo qual modo, ci diede delle assicurazioni positive per noi. Riferendosi alla mia situazione: mi tranquillizzò, significando che non ravvisava motivo di provvedimenti perché estraneo al fatto e occupato in ben altre mansioni. Tuttalpiù, asseriva che tutto si sarebbe concluso, eventualmente con un provvedimento di carattere amministrativo, attingendo dalle norme punitive contemplate nei nostri regolamenti. Ipotesi questa riferita nei confronti del comandante del Reparto e della pattuglia che aveva operato il fermo. Provvedimenti di carattere penale non avrebbero avuto senso, mancando la certezza, da parte dell’ufficiale, che si fosse compiuto l’atto, di aiutare la pattuglia, al trasporto della merce di contrabbando.
A distanza di oltre 50 anni, è singolare come ricordi perfettamente tutta l’inchiesta, posta in essere dal capitano, mentre invece per quanto concerne i provvedimenti presi dal medesimo, nei confronti della pattuglia e del Comandante la Brigata, non ho idea di quali furono. Su di me non ci fu alcuna punizione.
In conclusione di tutto questo, quando penso a questo episodio, un senso di amarezza e frustrazione mi pervade. Fatti di questo genere fanno crollare e mettere a dura prova il morale di una persona. Nonostante in quel periodo svolgessi il mio compito con molto impegno e spirito di sacrificio, ero demoralizzato di quanto accaduto. Erano le mie prime esperienze, al mio primo reparto. Mi era stato assegnato, terminato il corso allievi finanzieri, conseguito presso la Scuola Alpina della Guardia di Finanza di Predazzo. Avevo memorizzato e assimilato tutti gli insegnamenti ricevuti ed ero fiero di metterli in pratica con grande volontà serietà, onestà, spirito di sacrificio, voglia di fare, di emergere, di rendermi utile sapendo che avevo una missione da compiere per la salvaguardia degli interessi dello Stato e della collettività. Uno pensa, nonostante ti trovi ad operare tra mille difficoltà, ti imbatti poi in situazioni alle quali non sei responsabile ma vieni tirato dentro, come se lo fossi tu a causarlo, capisci che qualcosa non quadra.
Per questi motivi, mi sarebbe stato di gradimento essere avvicendato in altra sede, meno problematica di quella in cui mi trovavo.
Per fortuna questo avvenne. Poco tempo dopo ottenni il trasferimento. Questa volta in una sede più tranquilla. In effetti ebbi modo di constatare con mia grande soddisfazione di trovarmi in un ambiente molto diverso e distensivo dove il servizio veniva svolto con più serenità e più tranquillità.

Spalloni con carico di bricolle

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Il Pacco

l pacco
Sono comandato di servizio anticontrabbando in un Reparto di confine tra la Svizzera e l’Italia. Rivesto la carica di capo-pattuglia perché sono più anziano, come anni di servizio del collega che è con me, nonostante sia un parigrado. Queste sono le regole da rispettare nel nostro ambiente. In genere siamo tutti giovani e provenienti dagli stessi reparti di istruzione, Scuola Alpina, Roma, Portoferraio ma di corsi diversi. Generalmente, il vivaio più numeroso, di finanzieri che si trovano a rimpolpare i reparti della Legione di Como, proviene dalla Scuola Alpina di Predazzo. Io sono uno di questi. Dopo aver frequentato nove mesi di corso sono trasferito proprio in questa Legione. Sono anni nei quali il contrabbando di tabacco lavorato estero imperversa in tutta la quella zona. Numerosi sono i reparti dislocati a ridosso del Confine proprio per contrastare questo particolare fenomeno.
Raggiungiamo il luogo che ci è stato assegnato nell’ordine di servizio, camminando di notte, al buio, senza alcuna luce, tanto siamo abituati a calpestare questi sentieri. La nostra meta è proprio in uno di questi, che rasenta la linea di confine e la “rete fiscale”, ubicato in località Maiocca – Scala del Paradiso.
Si adotta l’espediente di appostarci non proprio nel posto prescritto ma spostati leggermente un poco più in alto, in mezzo a dei cespugli, per non dare adito ai contrabbandieri di scoprirci. Questa è una buona regola, sperimentata varie volte che ci ha permesso di effettuare diversi sequestri di merce di contrabbando.
Siamo dotati di un solo sacco a pelo pur essendo in due. Ci viene ordinato di portarne uno solo. I Comandi, temono che, se ne usiamo due, c’è il rischio che invece di vegliare, ci si addormenta tutti, a scapito del buon esito del servizio.
Il luogo che ci circonda, è noto per la diuturna presenza di soggetti, che girano per il bosco, principalmente per scoprire i posti dove le pattuglie si appostano, simulando la ricerca di funghi o qualche altro espediente del tipo: portare a spasso il cane, fare passeggiate nel bosco, ecc. Per cui meno, rumore si fa e più nascosti siamo, meglio è per noi, per avere più possibilità di celare la nostra presenza. In tal modo si può pretendere un buon effetto sorpresa, nell’eventualità che sia introdotta della merce di contrabbando dalla Svizzera in Italia.
L’armamento, che abbiamo in dotazione, è la classica pistola d’ordinanza Beretta calibro nove corto. Sono in grado, di smontare e rimontare, quest’arma ad occhi chiusi. Questo grazie agli insegnamenti ottenuti al reparto d’istruzione della Scuola Alpina. Inoltre ci viene assegnato il cosiddetto moschetto calibro 91/38. Le munizioni sono cartucce caricate a mitraglia. Questo tipo di munizione è progettata proprio per il nostro uso nei reparti di confine. Tecnicamente è un’ogiva in ottone che all’uscita dalla volata si apre lasciando uscire alcuni proiettili in piombo. In genere, quando si verificava un fermo di merce di contrabbando, c’è l’abitudine di esplodere qualche colpo in aria di queste cartucce per dare l’Alt ai contrabbandieri in modo che abbandonino il carico.
A proposito di ciò, un fatto singolare, mi è successo una volta, in occasione di un fermo di sigarette. Fatalità, proprio quando siamo rientrati in caserma, con il carico sequestrato, c’era l’ispezione da parte dell’ufficiale comandante la tenenza di Gironico. Costui invece di complimentarsi con la pattuglia, alla domanda se avevamo fatto uso delle armi e ricevendo da parte nostra, risposta affermativa, ci rifilò due giorni di consegna. Avevamo esploso due colpi in aria di queste munizioni a mitraglia. Boh! Sull’uso delle armi in zona di confine non si capiva mai bene come comportarsi.
La famosa legge 4 marzo 1958, n. 100 – Uso delle armi da parte dei militari e degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria in servizio alla frontiera e in zona di vigilanza. Lasciava adito a varie interpretazioni.
Tornando al nostro appostamento, in questi frangenti vale la regola del silenzio, le poche parole che mi scambio col collega sono pronunciate a bassa voce. Questo per poter ascoltare i rumori provenienti dal sentiero sottostante, considerato come usuale per il transito di merce sospetta.
In quei momenti di attesa, una moltitudine di pensieri ronza come uno sciame d’api nella mia testa.
Non ho ancora vent’anni, mi ritrovo di notte, in mezzo ad un bosco, a svolgere un incarico particolarmente delicato e pieno di imprevisti. La scelta che ho fatto nel vestire l’uniforme del finanziere sarà stata giusta? Potevo rimanere a casa con la mia famiglia? Continuare gli studi? Frequentare gli amici di sempre? Invece di trovarmi qua, in un posto di confine, in una zona disagiata sotto vari aspetti. Turni di servizio impossibili. Sempre allarmati dalla presenza dei contrabbandieri. Con il rischio di prendere anche punizioni disciplinari da parte dei superiori, sempre in giro d’ispezione a controllare il nostro operato.
Un taglio, a questi pensieri, viene dato dal calpestio che sentiamo sopraggiungere dal basso, dove è situato il sentiero. Riusciamo ad intravedere in lontananza, un individuo, che si sta avvicinando verso la nostra postazione. Ancora la figura della persona non è abbastanza chiara. Nel dubbio dico al collega:
“Mi sembra che sia un tipo solitario, lasciamolo passare, poi io cercherò di avvicinarmi a lui seguendolo senza farmi notare. L’involucro che in spalla non è troppo voluminoso.” Dalla poca luce, si riesce a capire, che non è una bricolla di sigarette ma qualcosa d’altro, qualcosa di più piccolo. Accordatomi col collega sul comportamento da adottare, senza far rumore, comincio a pedinare da solo questo soggetto. Il collega rimane sul posto assegnato. Io proseguo nel mio intento. Giunto in prossimità di questa persona, un moto istintivo mi pervade. Senza pronunciare alcunché gli strappo il pacco dalla sua spalla. Questi si gira di scatto, si rende conto che, chi ha compiuto questo gesto, è un militare della Guardia di Finanza, per cui si dà a precipitosa fuga, prendendo la direzione verso l’abitato di Cavallasca. Ho cercato di fermarlo, ma considerato il buio della notte e il sentiero scosceso, dopo pochi metri ho desistito dall’impresa. Riconosco che il gesto da me compiuto, è stato molto azzardato e non tanto protocollare. Tuttavia ci sono frangenti nei quali l’adrenalina sale e ti fa agire senza pensare tanto alle regole. Quello che mi interessava l’avevo nelle mie mani. Ero curioso di conoscere il contenuto di questo piccolo pacco avvolto in un involucro di carta nera. Non appena giunti in caserma, lo abbiamo aperto ed è risultato contenere “saccarina”, predisposta in piccoli sacchetti. A quei tempi, questa sostanza, era soggetta a regime di Monopolio e si prestava ad essere introdotta nel territorio italiano di contrabbando.
Successivamente il Decreto Legislativo 25/02/1980 nr. 30 ne aboliva il monopolio.
Quanto ho narrato fa parte dei miei ricordi risalenti a circa 55 anni fa. Gli anni sono quelli che vanno dal 1964 al 1966.
I ricordi di un uomo sono molto importanti ci aiutano a costruire il nostro presente.
Certo sembra di rivivere ora come allora le esperienze maturate come se accadessero nel presente. Potenza del cervello, quando si ha la fortuna di averlo ancora sano ed efficiente.
Il reparto era la brigata frontiera di Colombirolino. Località questa dipendente dal Comune di Cavallasca (Co). I componenti erano una ventina circa, tutti finanzieri di giovane età, comandati da un brigadiere e un vicebrigadiere in sottordine. Alcuni di loro li ricordo ancora:
Sotufficiali, avvicendatisi nel tempo:
Brigadieri: Ghisaura, Di Bernardo, Staiano.
Vicebrigadieri: Bisegna, Cagnazzi;
Finanzieri: Accili Roberto, Amato, Ropa Attilio, Valastro, Ottaviani Armando, Podda Agostino, Sica Galante, Leone Vincenzo, Stanganelli, De Giuseppe, Sangiorgio, Gobbi Giancarlo, Carnevale.
Mi scuso per gli altri ma i loro nomi, sono caduti nell’oblio e mi spiace ancora di non ricordare, il nome del collega, che mi ha accompagnato in questa avventura.
Se qualche lettore, ha notizie di qualcuno di questi colleghi che ho elencato, mi piacerebbe conoscere i loro attuali recapiti.
Sono a conoscenza che i colleghi del tempo, Accili Roberto e Sica Galante purtroppo non sono più tra noi. Mi auguro che gli altri siano in buona salute e che si godano la pensione raggiunta dopo tanti anni di sacrifici.

La Scala Paradiso e mappa di Monte Sasso

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Stanotte le prendi

Confine Italo-Svizzero anni 1964/1967
Brigata di Colombirolino

Dalla Scuola Alpina al primo reparto di frontiera
O fai come ti dico io oppure stanotte “le prendi!”.
Queste furono le parole di un compagno di pattuglia, che mi disse, mentre eravamo comandati di perlustrazione con appostamento per la repressione del contrabbando, in un turno di notte, presso la Brigata Frontiera della Guardia di Finanza di Colombirolino, sotto il comune di Cavallasca, in provincia di Como.
Che dire, non sempre sei in pattuglia con colleghi con i quali vai d’accordo.
Tuttavia è stata la prima ed unica volta che mi è accaduta una cosa del genere. Sono sempre andato d’accordo con il compagno con il quale uscivo in pattuglia.
L’affermazione del collega mi causò un certo disgusto. Rimasi pietrificato dalla sua reazione. Avevo solamente cercato di suggerirgli l’itinerario da intraprendere per effettuare la perlustrazione in quanto ero più pratico di lui nel conoscere la circoscrizione perché da più tempo mi trovavo in quel luogo. Lui era giunto al reparto da poco e pensavo di essergli utile nel consigliarli quale era il miglior percorso da fare. Invece la sua fu una reazione strana, per me incomprensibile.
Se avesse messo in atto veramente l’intenzione di bastonarmi non so come sarebbe finita.
In me sarebbe scattata la molla di autodifesa. In quel momento mi sono visto quando da ragazzo sempre facevo a botte anche con quelli anche più grandi di me, senza paura, allorquando vedevo mettere in atto delle prepotenze. Non le sopportavo. Se erano rivolte a me, cercavo di difendermi, se erano rivolte a qualche compagno più debole, prendevo le sue difese.
Spesso e volentieri rincasavo con la testa sanguinante a causa di questi episodi.
Fortunatamente quella notte non accadde questo. Alla fine del servizio rientrammo senza che lui mettesse in atto quello che aveva minacciato.
Questo finanziere era da poco giunto al reparto e ancora non avevo familiarizzato ma dimostrava un comportamento strano, anche con tutto il resto dei componenti del reparto.
Accadeva spesso che venissero trasferiti elementi puniti in altri posti ai quali era stato assegnato l’anno di “esperimento”. Pensai ad una cosa del genere anche a suo carico. Questo elemento era taciturno e non si confidava con nessuno. Probabilmente aveva qualche problema e non gradiva parlarne.
In merito a ciò, penso che scatenò parte delle sue rabbie, nei miei confronti, in quella notte in cui eravamo insieme di pattuglia.
Certo che sarebbe stato problematico andare in servizio con tale elemento ma il caso volle che dopo poco tempo fu trasferito ad altro reparto. Non ricordo il suo nome e se lo avessi saputo sicuramente lo avrei rimosso della mia mente.
Questo episodio, accadde al mio primo reparto che mi fu assegnato, dopo aver terminato il corso di allievo finanziere presso la Scuola Alpina della Guardia di Finanza di Predazzo, nel lontano 1964.
Approfitto per narrare qui di seguito l’iter che mi ha condotto a tale reparto.
Dopo nove mesi di corso mi trovo assegnato alla 6^ Legione – della Guardia di Finanza di Como. Se non ricordo male ci giunsi nel mese di agosto. In attesa di conoscere la destinazione definitiva io, più altri colleghi ci alloggiano, per tre giorni, presso il comando compagnia di Cernobbio. All’epoca era comandata dal capitano Domenico Gaddoni. Questo ufficiale lo ritroverò nel corso della mia carriera, come comandante di nucleo pt e successivamente comandante di gruppo della G. di F. di Brescia con il grado di tenente colonnello.
Questi tre giorni sono stati per noi come una vacanza inaspettata. In attesa dell’assegnazione del reparto ci hanno dato la possibilità di scoprire le bellezze del Lago di Como.
Per noi è stata una bella e gradevole esperienza.
Ho avuto occasione di apprezzarlo ulteriormente quando dopo alcuni anni di servizio fui trasferito alla Brigata di Bellagio. Ancor oggi ho impresso nella mia mente dei bei ricordi dei momenti vissuti in quel reparto.
Non ricordo se queste passeggiate le facevamo in abiti borghesi oppure anche in uniforme col cappello alpino.
A proposito di questo copricapo devo fare alcune considerazioni. Alla Scuola Alpina era d’obbligo indossarlo nei momenti di libera uscita, nelle occasioni ufficiali ed altre occasioni. Faceva parte integrante della nostra uniforme. Purtroppo il magazzino vestiario, responsabile della fornitura del nostro equipaggiamento, ci aveva consegnato un capo di vestiario non per nulla soddisfacente ai nostri desideri. Sembrava una padella scalcinata. Per cui, in armonia con i militari presenti alla Scuola, istruttori, ufficiali ed altri che avevano un bel copricapo che calzava a puntino, anche noi avevamo provveduto ad aggiustarlo secondo le nostre misure. Per fare questo ci siamo avvalsi di persone che a Predazzo lo sapevano fare. In questo modo, anche noi eravamo in grado di indossare un capo, veramente in linea con le nostre esigenze. Questo, secondo noi allievi, dava un tocco di eleganza, alla nostra divisa. I superiori non obiettavano, ci lasciavano fare queste modifiche.
Era giunto il giorno che tutti i finanzieri provenienti dalla Scuola Alpina i quali erano stati assegnati alla Legione di Como, dovettero essere presentati al cospetto dal Comandante. All’epoca il colonnello Fausto Musto.
Tutti schierati nel salone del Comando attendevamo la sua apparizione per i discorsi di circostanza.
Di li a poco si presentò e fummo costretti ad assistere ad un increscioso episodio. Ancora prima di darci il benvenuto fece un bel “cazziatone” all’ufficiale che ci aveva accompagnato. Era un capitano di cui non ricordo il nome. Il motivo? Ebbene al Colonnello non piacque il nostro cappello alpino, così come era stato amorevolmente aggiustato e come si usava tenerlo a Predazzo.
“Capitano porti via questa gente e faccia cambiare immediatamente i cappelli a questi finanzieri e presentatevi a questo Comando dopo averlo fatto.”
Restammo allibiti sia noi che il capitano che non sapeva che pesci prendere, dopo questa sfuriata ricevuta dal Colonnello.
Così di buon grado il mattino successivo, si dovette andare al magazzino vestiario, ove fu provveduto a ricevere le nuove “padelle” come da volontà del Colonnello.
Trascorsi i tre giorni alla Compagnia di Cernobbio, ci vennero comunicati i reparti da raggiungere al fine di iniziare finalmente il nostro servizio.
A me unitamente ad altri tre o quattro, non ricordo esattamente tutti i nomi, mi vengono in mente solo quelli di Amato e Accili Roberto, ci assegnarono la Brigata Frontiera di Colombirolino. Questo reparto si trovava sotto il comune della cittadina di Cavallasca in provincia di Como.
Ecco quindi che mi trovo ad operare al mio primo reparto dopo essere uscito dalla Scuola Alpina.
La permanenza di questo luogo non fu certo dei più idilliaci. La caserma si trovava proprio a ridosso della rete fiscale di confine tra la Svizzera e l’Italia, in mezzo ad un bosco dove tutto attorno vi era il nulla. Per poter raggiungere il luogo bisognava percorrere, a piedi, un tratto i sentiero di circa un chilometro partendo dal paese di Cavallasca.
L’immobile non era certo un albergo: letti a castello, pavimento in assi di legno, privo di armadi. Il riscaldamento era costituito da una semplice stufetta a gas. Il reparto era composto da circa 20 componenti tutti finanzieri giovani più un comandante: un brigadiere coadiuvato ed un vicebrigadiere.
Nonostante tutto questo aspetto negativo, dovetti intraprendere l’attività di servizio che consisteva esclusivamente a contrastare soprattutto il contrabbando di sigarette (t.l.e) tabacco lavorato estero oltre ad altri generi: saccarina, preziosi, accendini, orologi, ecc.
La circoscrizione era abbastanza ampia, non ricordo esattamente la sua dimensione. A Nord, confinava con il reparto di Maslianico, a Ovest con quello di Parè e a Sud c’era la cittadina di Cavallasca.
Nel pattugliare la circoscrizione si procedeva esclusivamente a piedi percorrendo vari sentieri i cui nomi a volte erano abbastanza lugubri: sentiero delle vipere, dell’uomo morto e così via.
Uscivo in servizio sia di giorno che di notte, sotto la pioggia, la neve. Sempre in armonia con il mio compagno di pattuglia. Unico caso negativo fu quello qui narrato. Scherzavamo, rosicavamo, ma quando c’era da fare sul serio, affrontavamo qualsiasi imprevisto. Con i miei colleghi ci confortavamo a vicenda cercando di esorcizzare momenti difficoltosi. Dovevamo infatti essere sempre attenti, a contrastare sia il contrabbando, che le numerose ispezioni effettuate dai superiori gerarchici, cercando di evitare le punizioni che comminavano frequentemente, a volte anche per piccole mancanze.
Nonostante tutto ciò i mie compagni ed io animati dagli insegnamenti ricevuti alla Scuola Alpina non vedevamo l’ora di metterci in gioco. Dimostrare le nostre doti, le nostre capacità, sia personali che quelle ricevute al reparto d’istruzione. Nel nostro operare saltava fuori: il coraggio, la pazienza, la sopportazione, il sacrificio, il temperamento, l’audacia, l’onestà, la correttezza. Gli ideali di un giovane finanziere, fiero di indossare l’uniforme e appartenere a questa Famiglia, quale era ed è la Guardia di Finanza.

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Galante

Sica Galante

Scrivo queste note in ricordo di un collega con il quale abbiamo affrontato i primi servizi anticontrabbando dopo essere usciti dalla Scuola Alpina di Predazzo.
Alcuni giorni addietro, stavo messaggiando con un amico e collega in FB, quando vengo a sapere che aveva fatto servizio nel Corpo, in qualità di cinofilo e che la sua attuale residenza si trova a Castiglione del Lago in provincia di Perugia. Informato di questo, gli ho chiesto se conosceva due cinofili che avevano fatto servizio con me, al confine Italo-Svizzero, nella Brigata di Colombirolino, sotto il comune di Cavallasca in provincia di Como. Uno si chiamava Leone Vincenzo, se non ricordo male, originario di Alcamo (Tp), l’altro era Sica Galante, originario di un paesino della Calabria che, sempre dico, dal nome esotico di villaggio indiano: Simeri Crichi, in provincia di Catanzaro. Mi ricordo ancora il nome del suo cane : Medom.
Il collega con il quale ero in contatto in FB riconosce tutti e due in special modo Sica. Mi dice che da circa vent’anni abitano nella stessa cittadina di Castiglione del Lago. Purtroppo mi comunica che dal mese di Agosto dello scorso anno Galante Sica non è più tra noi.
Questa notizia mi ha causato una certa emozione, sono rimasto senza parole, in un attimo sono apparse nella mia mente ricordi di oltre 55 anni fa, in cui con Sica Galante abbiamo svolto servizio anticontrabbando al confine svizzero. Questa persona era di carattere simpatico ed allegro e sempre disponibile. Con i suoi atteggiamenti e il suo marcato accento calabrese, teneva su il morale di tutti i componenti del reparto.
A me piaceva veramente uscire di pattuglia con lui ed il suo cane. Non c’era un attimo di noia nel trascorrere il turno di servizio. Sempre si chiacchierava e si scherzava, mettendo da parte, per qualche momento la gravosità dell’ambiente che ci circondava.
Il suo cane Medom, un bel cane lupo, era purtroppo abbastanza vivace, a volte non recepiva immediatamente gli ordini che il suo padrone gli dava. Quando uscivamo in pattuglia, di notte, per i sentieri del bosco, al buio, la regola era che dovevamo camminare in silenzio, senza far rumore. Non dovevamo allarmare eventuali contrabbandieri che magari erano in attesa di attraversare il confine, con le bricolle di sigarette. Purtroppo l’effervescenza del cane Medom era irrefrenabile. Così accadeva che si creava una sorta di bolgia notturna, nel bosco, tra il cane e il suo padrone il quale cercava di frenare la sua irrequietezza. Queste acrobazie notturne andavano tuttavia a scapito del buon esito del servizio.
Tutti i colleghi erano a conoscenza di questi episodi, ma venivano tollerati e ci si scherzava anche sopra. La simpatia che emanavano sia Galante che il suo cane era tale che questi episodi notturni venivano accolti benevolmente. Non si è mai infierito contro il collega.
Ricordo che una volta siamo andati a Milano a trovare dei suoi parenti con la sua lambretta. Ancora mi chiedo da dove la tirò fuori, considerando che la caserma dove eravamo alloggiati non aveva la possibilità di parcheggiare alcun veicolo. Fatto sta che io, situato al sellino di dietro della lambretta ci siamo avventurati da Colombirolino a Milano. Sia il viaggio di andata che quello di ritorno è stata un’allegria continua e spontanea. Abbiamo trascorso veramente una bella giornata che ci ha fatto dimenticare per un attimo la nostra condizione di militari impegnati in gravosi servizi diuturni al confine.
Un particolare singolare che voglio far notare. Mi trovo iscritto a Facebook proprio grazie a Galante.
Premetto che sono sempre stato restio ad iscrivermi a questo “social” ma c’è stato un momento della mia vita, che ho avvertito come un sensazione ed un bisogno, ricercare vecchi colleghi con i quali a distanza di oltre 50 anni avevano condiviso con me, periodi di avventure belle e brutte in vari reparti del Corpo, specialmente in quelli più problematici sia sotto l’ aspetto del servizio che in quello dei rapporti con le gerarchie militari.
Ripensando pertanto a questi episodi, ecco che mi viene in mente il nome e il cognome di questo giovane finanziere cinofilo. Faccio una ricerca su Google e trovo sue tracce. E’ iscritto a Facebook. Anche se sono trascorsi moltissimi anni, lo riconosco, è lui. Vado nelle pagine bianche, rintraccio numero telefonico ed indirizzo. Provo a chiamare diverse volte ma trovo sempre la linea libera. Mah! penso forse non abita più lì e si è trasferito in altro luogo. Sto perdendo le speranze, quando un giorno, mi sento rispondere al telefono :
“Chi sei?”, mi chiede. Mi faccio riconoscere. Dico il mio nome e cognome. Attimi di esitazione, ancora non è convinto di quello che gli sto dicendo. Gli racconto tutta la storia di quando eravamo insieme alla Brigata di Colombirolino, insieme in pattuglia con il suo cane Medom. In un primo momento rimane perplesso, poi man mano che gli racconto gli avvenimenti vissuti insieme, si rende conto chi sono effettivamente. Un suo collega e compagno di lavoro. Per farla breve, per mettermi in pieno contatto con lui e per inviargli qualche foto di quel periodo, ho dovuto iscrivermi a Facebook .
Caro Galane, mi raccomando, da lassù comportati bene, non fare rumore specialmente di notte quando sei nel bosco con il tuo cane. Non trattarlo male è una bella bestia anche se un poco irrequieta.
R.I.P.

Galante con il suo cane Medom
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Sica

Perché mi sono iscritto a Facebook?
Premetto che sono stato sempre restio ad iscrivermi, avevo come un rifiuto nell’avventurarmi in quel mondo. Si sentono e dicono molte cose negative sul suo conto e quindi ho sempre desistito. Il motivo che mi ha convinto a farne parte, si trova nel racconto che vado a descrivere.
Non vorrei annoiare con questo mio scritto gli amici di FB, non voglio raccontare la storia della mia vita ma mi sono deciso a mettere nero su bianco qualcosa riguardante i miei ricordi di oltre 50 fa. Da giovane finanziere, ero stato trasferito, appena uscito dalla Scuola Alpina di Predazzo, ad un Reparto del confine italo-svizzero in provincia di Como: “la Brigata Frontiera della Guardia di Finanza di Colombirolino.”
Per raggiungerla dovevo percorrere qualche chilometro a piedi in mezzo al bosco partendo dal vicino paese di Cavallasca, in provincia di Como. Alla fine si raggiungeva una radura in cui si trovava la Caserma. Il luogo non era dei più idilliaci. Era proprio a ridosso del confine e a pochi metri dalla rete fiscale messa a tutela del nostro confine. Gli alloggi non erano certo camere di albergo: pavimenti in tavole di legno, che producevano un sacco di polvere. Ci si accorgeva di questo quando dovevamo pulirli. Letti a castello, armadi in plastica acquistati di tasca propria, per contenere i nostri capi di abbigliamento. Come riscaldamento avevamo una semplice stufa a gas Il lavoro che si doveva svolgere era notevolmente disagiato, turni impossibili, sia di giorno che di notte, continue ispezioni da parte dei superiori gerarchici. Erano gli anni sessanta e a quell’epoca in quelle zone di confine tra la Svizzera e l’Italia il commercio principale era il contrabbando di sigarette che noi come Corpo della G.di F. dovevamo contrastare. Eravamo una ventina di militari più due sottufficiali un brigadiere e un vicebrigadiere.. Nonostante tutti questi disagi tra noi era sorta una specie di amicizia e solidarietà al punto di dispiacermi quando fui temporaneamente trasferito ad altro reparto sempre al confine italo-svizzero. Anche questo abbastanza disagiato. Ma non vedevo l’ora di ritornare a Colombirolino per vivere e condividere insieme ai compagni quei disagi. Si usciva in pattuglia in genere in coppia e a volte con un militare cinofilo conducente di cane addestrato alla lotta al contrabbando. Anche se ho vivo in me il ricordo di quegli anni non mi vengono in mente tutti i nomi dei colleghi ma uno in particolare lo ricordo. Non faccio il suo nome per rispetto della sua privacy nonostante il tempo trascorso. Era conduttore di un cane chiamato “Medom”. Purtroppo questo animale non era ben addestrato e quando uscivamo di notte in pattuglia insieme a lui era una tragedia. Ne combinava di tutti i colori. In genere la regola era che dovevamo percorrere i sentieri a ridosso del confine a passi felpati, in assoluto silenzio, le orecchie tese a percepire il minimo rumore. Ma il cane a volte, sfuggiva al controllo del conduttore e saltellava di qua e di la per il bosco, mettendosi a rincorrere qualche animale notturno facendo quindi un casino indicibile. Il suo conduttore non era da meno in quanto per riprenderlo si metteva a gridare in piena notte. Così il caos era completo. Se c’era qualcuno in zona certamente sentiva tutto il baccano e il fracasso che combinavano i due. A voglia di richiamarlo e dirgli di non comportarsi in quel modo specialmente di notte. Era inutile, io, al momento mi arrabbiavo ma a fine turno di servizio, ci si rideva sopra. Lui se la prendeva con il suo cane e io a dirgli che la colpa era sua che non lo aveva addestrato bene. Questo ragazzo di origini calabresi, proveniva da un paese dal nome esotico che sembra un villaggio indiano; lo canzonavamo e lo prendevamo in giro, sempre allegramente e non in modo offensivo, per il modo di agire maldestro suo e del suo cane. Si comportava nello stesso modo anche con gli altri colleghi con i quali usciva in pattuglia. Nonostante tutto, con lui ero diventato un buon amico. Una volta mi aveva invitato ad andare con lui a Milano a trovare suoi parenti a bordo di una lambretta di sua proprietà. A dire il vero non ricordo da dove fosse sbucato questo mezzo, considerato che era impossibile tenerlo in Caserma per mancanza di spazio. Così che da Colombirolino, (confine italo-svizzero in provincia di Como) abbiamo preso la strada per Milano. Per tutto il tragitto abbiamo riso e scherzato. Lui era davvero un tipo allegro e simpatico.
Come non ricordare questi episodi anche a distanza di più di 50 anni
Io avevo poco più di 20 anni e nonostante i disagi del posto e del servizio che dovevamo compiere affrontavo sia io che i miei colleghi volentieri tutto questo. Del resto le soddisfazioni di indossare una divisa, di portare un arma di ordinanza e di mettere in pratica tutti gli insegnamenti ricevuti alla Scuola Alpina mi riempiva di orgoglio e sopportavo tutto. La vita non era facile, i problemi non mancavano. Ripensando pertanto a questi episodi ecco che mi viene alla mente il nome, il cognome di questo giovane finanziere cinofilo. Faccio una ricerca su Google e trovo sue tracce. E’ iscritto a Facebook. Anche se sono trascorsi moltissimi anni, lo riconosco, è lui. Vado nelle pagine bianche, rintraccio numero telefonico ed indirizzo. Provo a chiamare diverse volte ma trovo sempre la linea libera. Mah! penso forse non abita più lì e si è trasferito in altro luogo. Sto perdendo le speranze, quando pochi giorno or sono ritento, mi sento rispondere al telefono :
“Chi sei?”, mi chiede. Mi faccio riconoscere. Dico il mio nome e cognome. Attimi di esitazione, ancora non è convinto di quello che gli sto dicendo. Gli racconto tutta la storia di quando eravamo insieme alla Brigata di Colombirolino, insieme in pattuglia con il suo cane Medom. In un primo momento rimane perplesso, poi man mano che gli racconto gli avvenimenti vissuti insieme si è rende conto chi sono effettivamente. Un suo collega e compagno di lavoro. Per farla breve, per mettermi in pieno contatto con lui e per inviargli qualche foto di quel periodo ho dovuto iscrivermi su Facebook .

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Trimblo

6^ Legione Guardia – Como – anni 1964/1967
Brigata di Colombirolino
La brigata dipendeva dalla Tenenza di Gironico e dalla Compagnia di Olgiate Comasco.
“TRIMBLO”
Questo era il soprannome affibbiato, a sua insaputa, al finanziere Mario (nome di fantasia) per rispetto alla sua privacy.
Il motivo era dovuto al fatto che ci eravamo accorti che quando doveva, per qualsiasi ragione, maneggiare qualche timbro lui ne storpiava il nome in “Trimblo”. Per questo difetto, a sua insaputa, lo sfottevamo e ci facevano tante risate e alle sue spalle. Questo accadeva in genere quando doveva presentare un foglio di permesso e c’era bisogno dell’attestazione del comandante attraverso il suo timbro. Per abbreviare, sia noi che Mario, timbravamo. Il comandante quindi autorizzava il permesso, apponendo semplicemente la sua firma. Oltre a questo difetto ne aveva anche un altro. Questa era una anomalia ricorrente in quei posti e in quei periodi, la chiamavamo: “bricollite”. Chi è stato alla legione di Como sa bene di che parlo come del resto è stata ben descritta anche in un racconto di Pasqualino Fadda su questo gruppo.
Il pensiero fisso del finanziere Mario, a tutte le ore del giorno e della notte, era quello di sequestrare bricolle. Sfruttava anche le ore di permesso e libera uscita per poter procedere a dei sequestri..
In qualche occasione mi sono trovato ed effettuare fermi di sigarette di contrabbando insieme a lui. La gioia che provava era incontenibile, il suo viso diventava rosso, ed era come se andasse in estasi contemplativa. Bisognava strattonarlo perché rientrasse in sé.
Un bel giorno, mi trovo ad uscire di pattuglia con lui. Nell’ordine di servizio vi è indicato: orario 10/16, l’itinerario da percorrere, con vari soffermi , era contemplato in diversi posti. Tra questi quelli che ricordo meglio e che meritano un poco di approfondimento, erano: il sentiero di Monte Sasso, detto anche Sasso di Cavallasca, la “Scala del Paradiso”, la rete denominata “Ramina” e la località Maiocca.
Percorrendo il sentiero di Monte Sasso ci si immergeva in una natura rigogliosa. Facile imbattersi anche in qualche scoiattolo, vederlo saltellare da un ramo all’altro di castagni, betulle, noccioli, ciliegi selvatici e faggi. Lì si incontrano anche siti di interesse culturale. Questo territorio, non so, se all’epoca in cui c’eravamo noi, facesse parte, come attualmente, del “Parco Regionale Spina Verde”. Ha infatti una caratteristica unica nel suo genere: è un parco di confine e per questo motivo permangono sul suo territorio alcuni manufatti singolari costruiti proprio per “difendere” il territorio italiano.
La cima del Monte Sasso è ad un’altitudine di circa 614 metri sul livello del mare. In questo posto vi sono anche due punti panoramici che attirano moltissime persone per la spettacolare vista che si può godere dalla loro posizione. Dal primo è possibile vedere i comuni di Cavallasca e di San Fermo della Battaglia, sullo sfondo, la pianura padana con Milano e nelle giornate terse gli Appennini.
Dal secondo punto è possibile vedere il panorama del bacino del lago di Como.
Un’altra caratteristica è sicuramente la Scala del Paradiso. Il nome rende bene l’idea dei più di novecento gradini di cui è costituita. Collega Ponte Chiasso con il Sasso di Cavallasca. Costruita alla fine dell’ottocento per favorire il controllo del confine da parte della Guardia di Finanza, ha paradossalmente finito per essere una “infrastruttura” a servizio di chi, illecitamente, ha contrabbandato beni di diverso genere tra Svizzera e  Italia negli anni 50-70 del secolo scorso. È infatti possibile ritrovare, in numerosi punti tratti della rete di confine, denominata “Ramina”. La rete sorge tutta all’interno del territorio Italiano, infatti è possibile notare come il vero confine di Stato, segnalato con bassi cippi di pietra, sia almeno 5-15 metri oltre la stessa rete. Nel secolo scorso la Guardia di Finanza pose dei campanelli su questo manufatto al fine di segnalare la presenza di contrabbandieri intenti a oltrepassare illegalmente il Confine.
Oggi che il fenomeno del contrabbando è sostanzialmente finito l’opera è rimasta a testimonianza del passato.
Ritornando al nostro turno di servizio, tutto procedeva tranquillo, la giornata era bella, si respirava un ‘aria buona su Monte Sasso. Era l’ultimo appostamento previsto dopo essere stati alla Maiocca e fatto un tratto della scalinata del Paradiso. Stavamo godendoci quel momento, quando vediamo in basso su un sentiero sottostante, in lontananza, un certo movimento di persone. Ci siamo alzati, dalla piazzola in cui eravamo appoggiati, per capire meglio cosa stava accadendo. La distanza tra noi e quelle persone non era molta, l’ostacolo principale era il dislivello che ci separava. Il sentiero infatti era più in basso della nostra posizione, c’era un bel salto da fare. In poche parole, ci accorgiamo che quelle non erano semplici persone ma spalloni con delle bricolle sulle spalle, contenenti con molta probabilità sigarette di contrabbando. Purtroppo si sono accorti della nostra presenza e hanno cominciato a correre. Ne abbiamo contati tre, ma forse erano di più, gli altri non ricadevano nella nostra visuale. Avvicinarsi a loro, ci siamo resi conto che era abbastanza problematico, a causa del dislivello che separava la nostra posizione con il sentiero sottostante. A parte questo intoppo, Mario ed io, in una attimo, abbiamo preso la decisione di inseguirli, cercando di avvicinarci a loro il più possibile, gridando nel frattempo il fatidico “MOLLA”. Non è servito a nulla. Hanno cominciato a fuggire con tutto il carico, al punto che, il nostro inseguimento è risultato vano. Io ne avevo puntato uno che mi sembrava il più facile da raggiungere, ma questa persona aveva le gambe che sembravano due trampoli, tanto erano lunghe. Correva come una lepre, nonostante il carico che aveva sulle spalle. Sono rimasto allibito da questo comportamento e dire che mi difendevo bene con la corsa considerando i miei vent’anni. Alla prima curva infatti l’ho perso di vista. Sono arrivato fino alla fine del sentiero, dove si congiungeva con una strada carrozzabile, con l’intento magari di scoprire l’autovettura, predisposta per contenere il carico illecito ma non ho visto nulla. Il tipo si dileguato nella boscaglia. A nulla è valso il colpo di fucile esploso in aria a scopo intimidatorio. Raramente ne facevo uso ma quella volta, quando ho capito che proprio era impossibile raggiungerlo, mi sono preso la libertà di farlo. Ci era stato consigliato, di usare le armi con estrema cautela, anche se, con i dovuti accorgimenti, previsti dalla legge 4 marzo 1958 nr. 100, si poteva farne uso, trovandoci in zona di vigilanza doganale.
Fatto sta che dell’inseguito ne avevo perso proprio le sue tracce. Analogo epilogo è toccato al collega Mario. Si era messo ad inseguire gli altri due ma con lo stesso risultato. Quel giorno ci avevano messo nel “sacco” come si suol dire. Con molta probabilità, erano perfetti conoscitori del luogo e al momento opportuno, hanno fatto perdere le loro tracce. Il collega (TRIMBLO) l’ho visto notevolmente affaticato, deve aver sofferto molto nell’inseguimento anche in considerazione del fatto che il suo fisico non era proprio da corridore ma ben piantato e un poco tarchiatello. Gli era venuto un fiatone pauroso, tutto in rosso in viso, faceva fatica anche a pronunciare qualche parola. Con la sua smania di sequestro, non essere riuscito a fermare, per lui è stato un o smacco insostenibile. Era davvero abbattuto. Ho cercato di consolarlo, una volta ripresosi da quell’inutile fatica, rabbonendolo e rammentandogli che, ci sarebbe stata sicuramente altra occasione, per sequestrare merce di contrabbando. Considerato quindi che il nostro turno era giunto alla fine, mestamente abbiamo ripreso la via del ritorno in Caserma.

La Scala Paradiso e mappa di Monte Sasso
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Lutto

Colombirolino
Lutto
A quel tempo si verificò un lutto in famiglia ad un componente del reparto. Se la memoria mi aiuta ricordo il suo cognome. Tuttavia per una questione di riservatezza qui metto un nome di fantasia: “Gianluigi”, credo che avessimo fatto il corso allievi insieme alla Scuola Alpina di Predazzo. Questo giovane finanziere, mio coetaneo, un giorno ebbe la brutta notizia della morte di suo padre, non so quale fu la causa del decesso. Gli fu concesso un breve periodo di licenza prevista in questi casi per partecipare alla cerimonia funebre.
La perdita di un congiunto è sempre un momento tragico nella vita di chi lo subisce. Chi viene colpito da un simile evento è come se una parte di sè stesso si unisce al congiunto. Il mondo sembra precipitare, non si capisce più nulla; è come vivere in un’altra dimensione, si perde ogni contatto con la realtà che ci circonda e ci si sente smarriti: A nulla valgono le parole di conforto dei parenti, degli amici, dei conoscenti. Sai che nei giorni a venire la presenza del proprio caro non esiste più. Il buio totale investe la tua anima. Difficile riprendersi da un tale dolore; tuttavia si deve avere il coraggio di continuare a vivere anche se sei cosciente che niente è più come prima.
Comprensibile quindi lo stato d’animo di Gianluigi al suo rientro al reparto. Egli era silenzioso e come smarrito, ma con una propria dignità; si vedeva sul volto la sua sofferenza anche se cercava in qualche modo di nasconderla cercando di riprendere il suo lavoro in un ambiente che non era certo tra i migliori, ma era necessario ritornare a vivere. Questo accadimento causò a tutti noi una profonda tristezza. Ognuno a proprio modo, cercava di trasmettergli fiducia e solidarietà. Capivamo che era difficile per lui riprendere la quotidianità in un ambiente poco confortevole quale era il nostro, ma nonostante la durezza di quello che ci attendeva, tra noi si era creato un buon rapporto. Direi che quasi era come una famiglia. Nei momenti di bisogno cercavamo sempre di dare un aiuto a chi ne avesse necessità.
Allo scadere del permesso Gianluigi dovette rientrare e riprendere la normale attività. Il solito monotono servizio di pattugliamento sia di giorno che di notte nei pressi del confine italo-svizzero. Lo scopo era sempre lo stesso: tutela delle leggi fiscali in vigore nel nostro Paese. Gli ordini di servizio erano oramai consueti: “perlustrazione con appostamento per la repressione del contrabbando in genere”.
Una notte dovetti uscire di pattuglia con questo collega. Dopo aver letto l’ordine di servizio che ci indicava i sentieri da percorrere e le località in cui avremmo dovuto sostare ci apprestammo a raggiungere il primo posto indicato nell’ordine. Qui dovevamo fermarci per circa due ore. Era notte, credo fossero l’una o le due. Sciogliamo l’unico sacco a pelo che avevamo in dotazione, lo stendiamo per terra e ci infiliamo tutti e due dentro, come di solito usavamo fare specialmente nelle notti autunnali o invernali, per ripararci dal freddo intenso della notte. Questo a dispetto del regolamento che ci impone di stare uno fuori di guardia e l’altro dentro il sacco a pelo, a turno, e di essere tutti e due svegli. Ci accordiamo invece di alternarci alla veglia. Prima devo farla io, poi tocca a lui. Allo scadere del tempo stabilito lo sveglio dicendogli: “Gianluigi il mio turno è finito, ora tocca a te. Qui mi sembra tutto tranquillo, alla fine del tuo turno svegliami che dobbiamo muoverci di qua per dirigerci in un altro posto” “Bene, ora tocca a me” disse. Ancora lo raccomando di non farsi prendere dal sonno, perché sarebbe stato un guaio se l’ispezione ci avesse trovato a dormire tutti e due. Si rischiava come minimo una grave punizione, se non di peggio, nei casi di addormentamento in servizio. A quei tempi le ispezioni erano ricorrenti e non pochi i casi di denunzie del genere da parte dei superiori gerarchici. Gli dico quindi di stare attento perché il “Capo” sovente gira di notte per ispezionare le pattuglie e non scherza in fatto di punizioni.
Da poco tempo infatti avevamo un nuovo comandante, un brigadiere. Questo era diverso dal precedente. Non si sa, quali fossero i motivi dal comportarsi diversamente dal suo precedessore. Quest’ultimo era sempre stato molto comprensivo con noi. Capiva quali erano le difficoltà che dovevamo affrontare in quel reparto e cercava di non fare pesare molto la sua autorità. Questo nuovo invece, che non voglio nominare, è apparso di altra opinione dimostrando meno confidenza nei confronti del personale. Sembrava abbastanza malfidente e sospettoso dei nostri comportamenti e pertanto operava diverse visite alle pattuglie dislocate nella circoscrizione di servizio di nostra competenza e se coglieva in difetto la pattuglia erano guai seri, perché applicava alla lettera il regolamento.
Di corporatura grossa, di statura sopra la media, arriva al reparto in sostituzione del suo parigrado in carica. Il suo sguardo mostra sempre una certa diffidenza nei confronti di chiunque, dal primo all’ultimo dei militari che sono alle sue dipendenze. Quando hai una conversazione con lui, sempre ti fa sentire a disagio, ti dà proprio la sensazione che devi stare attento da lui e che non devi commettere nessuna imprudenza perché non sarebbe perdonata specialmente se ti trovi in servizio. Si ha quindi la sensazione che in ogni momento ti voglia fregare. Non fidandosi quindi della correttezza del personale, è continuamente in giro di ispezione sia di notte che di giorno. Per controllare l’operato delle pattuglie. A volte mi chiedo: “Ma con quei piedi là, come hanno fatto ad arruolarlo.”. Si muove infatti come una “papera”. La sua camminata è proprio curiosa, classica di coloro i quali hanno i piedi piatti, con le punte rivolte all’esterno. Tuttavia a dispetto di queste critiche da noi fatte sul suo modo di camminare come un gorilla, riesce a muoversi nel bosco e a percorrere i sentieri senza far rumore. Te lo vedi apparire a poca distanza dal posto dove sei appostato di punto in bianco. Noi increduli dobbiamo essere sempre all’erta e mai scomposti se no sono guai. Si deve quindi stare attenti e con gli occhi aperti ad evitare di essere colti in atteggiamenti tali da dimostrare scarsa attenzione al compito che ci viene affidato. Siamo come presi da due fuochi: attenzione poiché non venga violato il confine con l’ingresso nel territorio italiano di merce di contrabbando o altro, attenzione nei confronti di eventuali ispezioni da parte dei superiori gerarchici. Un bel vivere davvero! Caspita!
Personalmente sono stato da lui sottoposto a svariati controlli ma fortunatamente non ho mai avuto problemi. Mi trova sempre abbastanza vigile in tutte le situazioni. Ho occhi e buone orecchie e sono sempre all’erta. Così che in un qualche modo acquisisce una certa simpatia nei miei riguardi, al punto che mi propone l’incarico della tenuta della contabilità vitto, in considerazione del fatto che sono anche fresco di studi.
Io rifiuto non perché non lo sappia fare, ma voglio avere, in un certo senso, una mia libertà. Una volta terminato il mio servizio voglio usufruire del tempo libero come mi pare e piace, considerato che poi tanto non ne abbiamo. Questi conti infatti devono essere sistemati quando non si è di pattuglia, ma rubati al tempo libero che ci spetta. Sinceramente questo stato di cose non è di mio gradimento.
Ritornando al nostro appostamento, dopo che indico le ultime raccomandazioni al mio collega Gianluigi, penso magari di schiacciare un pisolino, ma nel mio animo c’è sempre il pensiero di non mollare completamente ogni forma di attenzione. Penso magari sto qua cheto cheto, anche se tocca al mio collega stare sveglio. Mettendomi nei suoi panni, ho pensato: “Chissà in quale stato d’animo questa notte deve affrontare questo turno di servizio, visto che è appena tornato da casa, dove è stato per la cerimonia funebre del suo povero padre”. Sono situazioni spiacevoli e non certo si ha una predisposizione ad essere presenti ed attivi alle evenienze che si potrebbero presentare. Un lutto in famiglia è sempre una cosa grave, perdere un proprio caro incide notevolmente sul proprio animo e la mente a volte si perde, nei ricordi, nelle sensazioni, di tutta una vita. Comunque, assorto in questi pensieri, lentamente il sonno prende il sopravvento e credo proprio di essermi addormentato.
Non so quanto tempo sia passato, ma ad un certo punto, mi sento strattonare più volte: “Caspita questo è Gianluigi che mi sta chiamando per avvertirmi che è già ora di cambiare sede di appostamento; come è trascorso veloce il tempo dormendo!” Apro gli occhi e con mia grande meraviglia chi ti vedo che mi sta davanti, con un sorriso beffardo, a poca distanza dalla mia faccia?, Si proprio lui, il comandante. Ahi! Ahi!, che bella fregatura, innanzitutto che figuraccia che abbiamo fatto. Il collega si era addormentato anche lui e ci siamo fatti sorprendere come due allocchi. Oramai la frittata è compiuta. Ora non resta che aspettarne le conseguenze. La prima cosa che dice il superiore è stata questa: “Adesso finite il vostro turno, al rientro, mi presentate le vostre giustificazioni.” Poi ci chiede il nostro foglio di servizio per apporre le annotazioni di rito, al che io penso: “ Ora metterà là nero su bianco la nostra negligenza”. Dopo averlo riconsegnato a me in qualità di capo pattuglia riprende il suo cammino. Io per curiosità riapro il foglio e guardo l’annotazione. Per fortuna non vi era cenno di quanto accaduto, aveva apposto soltanto la data e l’ora della visita. Già questa cosa era un fatto positivo. Restava sempre che avremmo dovuto scrivere le nostre giustificazioni una volta giunti al Reparto.
Mi rivolgo a Gianluigi e gli dico: “Mannaggia come siamo stati cosi imbecilli da farci sorprendere.” Non ho avuto il coraggio di incolparlo visto che avrebbe dovuto stare sveglio, ma in considerazione del suo stato d’animo, proprio non me la sono sentita di riprenderlo. Posso capire cosa aveva ancora nel suo animo il povero Gianluigi, la perdita di un caro congiunto, il padre, è un dolore forte, triste, sono momenti della vita molto tristi e quindi da parte mia non ho avuto il coraggio di inveire contro di lui.
Il comandante, da parte sua, seppur nella severità e pignoleria che lo contraddistingue limita la punizione ad una semplice “consegna”. In pratica ci ha privato di due giorni senza poter ottenere permessi per andare in libera uscita. Ha dimostrato in questo caso di aver anche lui un’anima .
Questa avvenimento ci è servito però di insegnamento al punto che non mi sono fatto più prendere in difetto, conscio delle conseguenze che sarebbero sorte se avessi mancato ancora.

Colombirolino-Scala del Paradiso
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Il Cane Argo

6^ Legione Guardia – Como – anni 1964/1967
Brigata di Colombirolino
La brigata dipendeva dalla Tenenza di Gironico e dalla Compagnia di Olgiate Comasco. •
Il cane Argo
L’ordine arriva a notte inoltrata, l’incarico consiste in una perlustrazione con appostamento per la repressione del contrabbando in genere, che può essere commesso dalla vicina Svizzera verso il suolo italiano in vari luoghi della circoscrizione di nostra competenza.
In pattuglia con me c’è il conduttore cinofilo e il suo cane Argo. Il percorso che ci è stato assegnato è abbastanza difficile: dobbiamo camminare lentamente senza fare rumore e al buio, in mezzo al bosco, su sentieri scoscesi, pieni di ostacoli. Bisogna agire con cautela. Ho con me l’unico sacco a pelo che servirà per ripararci dal gelo della notte. Dico unico perché in teoria ce ne sarebbe spettato uno per ogni componente della pattuglia, ma disposizioni assurde ci obbligano diversamente.
L’attesa è lunga, fa freddo, decidiamo di metterci tutti e due dentro al sacco a pelo per riscaldarci un po’, in barba alla regola che indica il contrario. La cosa buffa è che anche il cane vorrebbe infilarsi dentro il sacco insieme a noi. Ma il conduttore con tono brusco gli ordina di rimanere fuori e di stare attento. Il cane ubbidisce, si siede, le orecchie tese, il muso rivolto dritto al confine, pronto a percepire ogni rumore anomalo. Argo è una bella bestia, addestrata bene per il suo compito, ma ha quasi raggiunto il meritato riposo dopo anni di intensa attività. A causa della sua età, a volte, il suo conduttore ha problemi a fargli accettare i comandi che gli vengono impartiti. Non sempre infatti ubbidisce al primo colpo. Ora sta lì in silenzio, sembra aver recepito in pieno quanto gli è stato ordinato.
Fratucello, questo è il nome del conduttore del cane, che io per abbreviare chiamerò “Frate”, è un ragazzone di origine trentina, tutto sommato di buon carattere. Ha più esperienza e qualche anno più di me di servizio. In questi posti l’anzianità di pochi anni o addirittura di pochi mesi conta molto. Ma lui, fortunatamente non è di quelli che fanno pesare la cosa. Da buon trentino invece gli piace qualche buon bicchiere di vino e anche questa notte esce dal Comando abbastanza allegro.
Il rapporto che ha stabilito con il suo cane non è tra i migliori. Come previsto dal regolamento, ha cura dell’animale ma non ha molto legame affettivo con lui. Ogni tanto gli rifila qualche calcio, e qualche pugno, quando ritiene di non essere ubbidito a dovere. Io soffro nel vedere queste azioni, ma non posso intervenire, lui è il responsabile della gestione. Argo subisce in silenzio, senza nemmeno guaire e da lì capisco quanta referenza e rispetto ha per il suo padrone. Mai una volta l’ho visto rivoltarsi contro per le botte subite. Io amo questo cane e quando ho la fortuna di uscire in pattuglia con loro mi sento più tranquillo. Tra noi tre è nato un buon accordo e riusciamo anche a farci qualche risata dimenticando per qualche momento la responsabilità e la pericolosità del lavoro che dobbiamo svolgere.
Il tempo trascorre lentamente e complice sia il tepore del sacco a pelo che del vino bevuto la sera, Frate si addormenta. Il patto tra noi è quello di darci ogni tanto il cambio. Al momento sono io quello che deve restare sveglio. La notte è fredda ma limpida, la volta stellata è meravigliosa e nel contemplarla molti pensieri affollano la mia mente facendomi dimenticare totalmente, per alcuni istanti, il luogo in cui mi trovo. Ripasso tutti i consigli che mi sono stati dati, durante il corso di istruzione su come ci si deve comportare in casi di intervento anti-contrabbando. Penso a casa, alla mia famiglia, alla scuola che ho abbandonato per arruolarmi, agli amici, che magari stanno divertendosi in qualche posto. L’epoca che vivo è di grandi cambiamenti, i giovani portano tutti i capelli lunghi come vuole la moda dei Beatles. Io, invece sono costretto a portarli corti, venendo riconosciuto subito come militare. Cosa un po’ fastidiosa. Tutto questo accade mentre sono lì, sdraiato per terra, al freddo, a dividere un unico sacco a pelo col compagno ed ammirare la volta celeste in un silenzio assoluto.
Mi chiedo cosa sto facendo lì, alla mia età, neanche 20 anni, in mezzo ad un bosco, armato di pistola Beretta calibro 9 e moschetto mod. 91, e con un unico sacco a pelo da dividere in due a controllare che vengano rispettate le leggi fiscali in vigore nel mio Paese. Eppure nonostante la malinconia del momento e del luogo in cui mi trovo, che non è dei più idilliaci, sono fiero di adempiere ai compiti che mi sono stati affidati, con molto senso del dovere.
Mentre tutti questi pensieri occupano la mia mente mi accorgo che ad un tratto il cane Argo comincia a dare segni di nervosismo. Sveglio il compagno e gli dico:”Frate, ci siamo, il cane è in allarme.” e lui: ”Si hai ragione, Argo si comporta così quando sente persone che si muovono nell’oscurità” Dico: ”Frate, io ancora non sento nulla ma a vedere i movimenti ed il nervosismo del cane mi rendo conto che sta per accadere qualcosa”. Tutto questo viene detto tra noi sottovoce, in modo da non sviare l’attenzione del cane su quello che sta percependo. Ecco che qui entra in gioco il buon addestramento che ha ricevuto. Di solito un cane normale al primo rumore comincia ad abbaiare, lui invece no, dalla sua bocca esce appena un impercettibile sibilo. Il conduttore allora si convince e capisce che sta accadendo davvero qualcosa. In silenzio ascoltiamo anche noi, immobili. Siamo proprio vicini alla rete fiscale “la ramina”, Dopo un po’ ecco che, la percezione del cane si materializza, in un movimento di persone, che stanno attraversando il confine, per entrare in Italia dai luoghi non consentiti. Siamo certi che si tratta, di contrabbandieri di sigarette che trasportano le “bricolle” come vengono nominati i sacchi che contengono questi tabacchi.
Tra poco dobbiamo agire, il cuore comincia a battere forte forte, la tensione aumenta, siamo in due più un cane a fronteggiare almeno un gruppo di persone, certamente più numeroso di noi.
Il conduttore cinofilo impartisce al cane Argo il classico ordine che si dà in questi casi: “Attacca”. Questo comando allerta il cane il quale è addestrato per andare contro la persona che trasporta la merce di contrabbando, ma non appena il carico viene lasciato cadere per terra, l’animale deve fermarsi, senza curarsi della persona. A questa deve preoccuparsi il tutore della legge; se riesce in qualche modo ad arrestarla e condurla in caserma. In queste frazioni di secondo comincia la fase di attacco e sia il cane che tutti e due noi ci muoviamo, corriamo contro questo gruppo di persone, le quali avvertite dal rumore conseguente al nostro intervento, alcune riescono a fuggire e ritornare in Svizzera, altre abbandonano il carico e si perdono nell’oscurità del bosco. Sembra un fermo di sigarette classico, infatti quello che interessa maggiormente è recuperare la merce illegale se poi si riesce a fermare il responsabile tanto meglio. Ma qualcosa va storto. Argo ha compiuto in parte il suo lavoro. Invece di fermarsi davanti al carico giacente lì per terra, ha continuato ad inseguire la persona che lo portava. Questo significa che nella sua corsa Argo ha sconfinato in Svizzera. Ahimè! quello che non doveva accadere è accaduto, guardandoci in faccia tutti e due attoniti, ci siamo detti: qua stanotte, succedono dei guai, se le guardie svizzere si accorgono che un cane anti-contrabbando italiano è sconfinato nel loro territorio per inseguire una persona, qui andiamo incontro a problemi seri. Il tempo passa, inutile chiamarlo anche a voce alta, sembra scomparso nel fitto del bosco. Siamo proprio scoraggiati e amareggiati e anche impauriti ma ecco che all’improvviso, dal nulla, Argo appare. Un sospiro di sollievo esce dalle nostre bocche ma l’animale si prende anche una bella pedata nel sedere dal suo conduttore e consapevole dell’imperdonabile errore commesso, non ha nessuna reazione, emette solo un impercettibile mugolio, come per chiedere scusa dell’errore commesso e con la coda tra le gambe si accuccia vicino al suo padrone.
Dopo i primi momenti di paura e di rabbia, tutto passa, allora provo a dare una carezza ad Argo come per rincuorarlo; lui sembra accettare e mi lecca la mano.
Tutto è finito per il meglio. Soddisfatti dell’esito del servizio lentamente cominciamo a trasportare la merce sequestrata dirigendoci verso il Comando. Giunti al reparto riceviamo il plauso del comandante e dei colleghi per il buon esito dell’operazione.
Durante la mia permanenza in questo reparto disagiato sono state molte le notti trascorse all’addiaccio in situazioni come quelle qui descritte. Ma sono servite a temprare il mio carattere. Quando ho deciso infatti di concorrere per l’ammissione alla Scuola Sottufficiali, ormai lontano da questo luogo abbastanza inospitale, non ho avuto difficoltà, a trattare l’argomento dato come tema alla prova scritta, di ammissione al concorso per la Scuola Sottufficiali. Ebbene si, il titolo del tema è stato il seguente: “Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me. Commentate queste parole scritte da un celebre filosofo (Kant)”. Quando i commissari leggono questo titolo nella sala dei concorsi, un brivido percorre la mia schiena, e penso: “Coraggio, questa volta ci sei, è il tuo momento fortunato. Prendi al balzo questa opportunità e concentrati al massimo sull’argomento del tema, che è alla tua portata. Sono fatti e situazioni che hai vissuto di persona sulla tua pelle pertanto non puoi sbagliare.”Dopo poco tempo infatti mi viene comunicato che il mio trattato è stato classificato con un punteggio tale da risultare primo “ex equo” con quello di un altro collega della stessa Legione da cui dipendo. Evviva! forse è il momento che riesco a fare un salto di qualità nella mia carriera. Con il superamento della prova scritta si accede a quella orale. Tutto questo accade mentre non sono più nel reparto disagiato, ma mi trovo in un posto dove è l’invidia di tutti i miei colleghi. Sono soddisfatto.

bricolle sequestrate e il cane Argo
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Colombirolino

distintivo sesta legione g.di.f

Colombirolino
Sto trascorrendo come una specie di vacanza di tre giorni, alloggiato con altri colleghi in una caserma di Cernobbio, una ridente cittadina posta sul lato sinistro del Lago di Como a pochi chilometri dall’omonima città. Sono in attesa di essere assegnato in modo definitivo al reparto dopo aver completato il corso allievi presso la Scuola Alpina di Predazzo. Ignaro di quello che mi aspetta approfitto di questo periodo per visitare i caratteristici dintorni. I paesi affacciati sul lago sono belli e tranquilli. Tutto farebbe pensare che sono stato destinato ad operare in un buon ambiente, a dispetto dei commenti raccolti, qua e là dai colleghi che descrivono caserme molto disagiate e con servizi da svolgere abbastanza pericolosi.
La comunicazione dell’assegnazione non tarda ad arrivare: “Brigata di confine di Colombirolino”, Il nome è abbastanza curioso. Il posto si trova sui monti circostanti a ridosso di una piccolo paese:
“Cavallasca”: un comune ora di 2.722 abitanti della provincia di Como ma forse a quel tempo erano ancora di meno.
Per raggiungere questa Brigata si devono percorrere circa due chilometri a piedi in mezzo al bosco. La sensazione che provo la prima volta non è tra le più felici. Mi prende un vuoto allo stomaco ed una profonda desolazione nel vedere lo scenario che si presenta ai miei occhi. In una piccola radura ricavata in mezzo alla boscaglia, proprio alle spalle del confine svizzero si erge una costruzione a due piani con una specie di balconata tra il piano terra e quello rialzato. In mezzo a questi, nella facciata principale, si scorge lo stemma del Corpo, a dimostrare che si tratta di una caserma della Guardia di Finanza. L’intonaco dei muri esterni chissà da quanto tempo reclama una buona manutenzione.
Una struttura insomma costruita unicamente con lo scopo di ospitare al suo interno il minimo indispensabile per la gestione di un piccolo reparto di frontiera. Al piano terreno troviamo pertanto l’ufficio per il comandante; quanto basta per lo svolgimento di essenziali operazioni, la mensa per il personale, la cucina con annessa dispensa e un locale adibito a servizi igienici compreso due docce. L’armeria è situata all’interno dell’ufficio. Al piano rialzato ci sono due stanze: una per l’alloggio del comandante, l’altra per il resto del personale composto in media da una ventina di militari. Questo è l’unico locale adibito a camerata, dormitorio. I letti sono a castello, il pavimento è composto da malandate assi di legno, grezzo. Anche se la pulizia del locale viene effettuata ogni mattina, spruzzando acqua per terra sempre si raccoglie polvere mista a lanugine, questa sicuramente provocata dalle vecchie coperte di lana che sono adagiate sopra le brandine. Il riscaldamento è quello con le stufette a gas. Non abbiamo neanche un armadio per custodire i nostri capi di vestiario. Devo provvedere per conto mio ad acquistarne due di plastica per sistemare la mia roba. Mi domando: “Ma dove sono capitato?”
Devo dire che tra tutte le sedi in cui ho prestato servizio nella mia carriera, questa è la peggiore sotto tutti i punti di vista a cominciare dalla sistemazione logistica, dai servizi da svolgere, dall’inesistente contatto con la gente del luogo, dai non buoni rapporti con gli ufficiali superiori da cui dipendo, insomma una situazione davvero critica.
Nonostante tutte queste avversità vado d’accordo con gli altri colleghi: quasi tutti della mia stessa età, con pochi anni o mesi di differenza, anche come anzianità di servizio. Siamo tutti nella stessa condizione e quindi, tra di noi si instaura un buon rapporto di solidarietà. Mal comune e mezzo gaudio.
Un chiarimento è necessario per illustrare meglio il contesto in cui stanno accadendo questi fatti.
Al tempo in cui mi trovavo in quella zona il contrabbando in genere, quello delle sigarette in particolare, era un fenomeno dilagante al punto che per contrastarlo lo stato italiano aveva fatto posare per quasi tutta la frontiera italo-svizzera una rete: la “ramina” come veniva comunemente chiamata dagli abitanti delle regioni di frontiera. In origine era munita di un singolare sistema di campanelli che allertavano la vigilanza quando gli spalloni tentavano di sconfinare. Il nome sembra derivare dal fatto che questa rete è di metallo come fosse di rame da qui il nome “ramina”.
In un certo senso questo fenomeno era anche tollerato. Nonostante fosse attività illecita era anche fonte di reddito per le popolazioni di confine, in tempi di crisi economica come lo era in quegli anni. Tuttavia si cercava di impedire questo movimento con azioni di contrasto; questo compito era stato affidato dalla Guardia di Finanza che aveva dislocato in quei territori di confine numerose caserme.
La vita in questi zone non era tra le più rosee; il personale che ne faceva parte era sottoposto a turni di servizio pesanti, ad ogni ora del giorno, della notte e sotto tutte le intemperie. Continui erano i controlli e le ispezioni dei superiori gerarchici. Vi erano anche delle limitazioni sulle frequentazioni dei locali pubblici dei paesi in cui era situato il reparto. Vietati i rapporti con la gente del luogo per evitare eventuali compromissioni e atti di corruzione. Il personale era composto tutto da gente giovane: l’età media si aggirava intorno ai 20-26 anni. La permanenza in questi posti in teoria non doveva essere superiore ad un anno, ma in pratica superava di gran lunga questo limite. Nel mio caso personale ci rimasi per ben 17 mesi.
Ho ancora vivissimo il ricordo di quando giovanissimo finanziere mi trovo a percorrere, da solo in mezzo al bosco, al tramonto, l’unico sentiero, che conduce in caserma, dopo aver fruito poche ore di permesso nella vicina città di Como. In questa circostanza un pensiero ricorrente assale la mia mente: “Anche se incontro adesso un gruppo di contrabbandieri non ho paura ad affrontarli. Posso benissimo intervenire, senza l’aiuto di nessuno. L’uniforme che indosso mi infonde coraggio. Mi sento orgoglioso della mia condizione. Non devo mollare, devo stringere i denti, tanto qui in questo posto non ci starò per sempre. Le cose cambieranno. Certo la mia condizione non è tra le migliori, penso agli amici che ho lasciato a casa, loro sono molto più liberi e possono divertirsi molto più di me. Tuttavia al loro paragone mi sento più importante. Ho un lavoro da svolgere sono utile alla società per quello che faccio nonostante, i turni di servizio pesanti effettuati sia di notte che di giorno e la severa disciplina.. Malgrado tutto ciò accetto di buon grado questo sacrificio .”

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Stanotte ti guido io

6^ Legione Guardia – Como – anni 1964/1967

Brigata di Colombirolino

Dopo aver letto, le imprese pubblicate nel bel libro di Mario Toncelli, mi sono sentito un “pigmeo”, in confronto alle gesta compiute dalle Fiamme Gialle, nei posti descritti nell’opera. Tuttavia nel periodo in cui sono stato da quelle parti, nel mio piccolo, ho dato anch’io, un contributo alla lotta al contrabbando, al punto che ho voluto ricordare quei momenti con questo racconto.

Mi accingo ad uscire in pattuglia con il collega De Giuseppe, (non ricordo il nome). Lui è nuovo del reparto, proveniente da un’ altro posto di confine, che rimpiange. Ritrovarsi in questa nuova assegnazione lo demoralizza un poco. Racconta infatti che l’ambiente da dove proviene è molto diverso: i contatti con la gente, con gli stessi superiori, sono di gran lunga migliori di quelli trovati qui. Nonostante tutto questo, deve necessariamente essere disponibile per il nuovo incarico. Ha qualche anno di servizio più di me, in questi posti, conta molto La sola differenza anche di mesi, fa sì che si deve rispettare l’anzianità, tant’è che viene nominato capo pattuglia, anche se al reparto io ci sono da più tempo di lui. Come persona non è un cattivo ragazzo, non è arrogante né presuntuoso e non fa pesare la sua condizione. Abbiamo fatto anche amicizia, ci rispettiamo ma ha sempre un poco di nostalgia del posto che ha lasciato.
Aperta la busta contenente l’ordine di servizio si appresta a leggerlo: “Perlustrazione con appostamento per la repressione del contrabbando in genere. Orario: 22/04, con la descrizione delle località da sottoporre a controllo e l’indicazione del tempo di permanenza. Come ultima destinazione, vi era indicato un posto che non ricordo di preciso ma potevamo vedere i bagliori della dogana di Ponte Chiasso. Si raggiungeva percorrendo i sentieri: “vipere”, “dell’uomo morto” ed altri che non ricordo. Nomi abbastanza lugubri. Immaginate a percorrerli di notte in mezzo alla boscaglia che bell’effetto! Comunque, col trascorrere dei mesi, ci avevo fatto l’abitudine e mi muovevo con facilità anche di notte.
Data lettura all’ordine di servizio, De Giuseppe mi dice:”Mamma mia che incarico abbiamo da svolgere stanotte!: “Senti… io sono nuovo di qua e devo affidarmi alla tua esperienza per raggiungere questi posti” Va bene rispondo:
“Ti guido io stanotte”.
Prendiamo la nostra roba consistente in un sacco a pelo per due, ci viene consegnato ad ognuno il moschetto mod. 91 prelevato dall’armeria e caricato con pallottole a mitraglia più la nostra arma di ordinanza, pistola automatica Beretta calibro 9 corto. Arma questa che il regolamento ci impone di portare sempre con noi, anche quando dovremmo essere fuori servizio. Un commento sul sacco a pelo. Anche se il regolamento dice che abbiamo facoltà di usarne uno ciascuno, chissà chi ha emanato una disposizione interna al reparto che ne permette l’uso di uno solo. La risposta è semplice, il Comando teme che se ci infiliamo dentro in ognuno, esiste il pericolo che ci addormentiamo entrambi, a scapito del controllo che si deve compiere. Detto questo ci apprestiamo a fare il nostro lavoro. La notte appare tranquilla, sino al momento di effettuare l’ultimo appostamento ma mentre ci incamminiamo per raggiungerlo, ho come un presentimento, mi rivolgo al collega e gli dico: ”Ho la sensazione che qui debba accadere qualcosa. Sento che, con ogni probabilità, ci sia del movimento e poi sembrerà inverosimile ma quando arriva al reparto uno nuovo, sempre accade che si sequestra della merce di contrabbando. Con molta probabilità, potrebbe accadere anche stanotte”. Lui si fa una risatina e mi dice che anche da dove proveniva ricorreva il medesimo pensiero. Gli dico : “Sai cosa dobbiamo fare? Invece di andare a metterci al solito posto, perché non cambiamo? Ci spostiamo di qualche metro nascondendoci al di sotto del sentiero invece di stare di sopra. Separiamoci, ma teniamoci ad una distanza di sicurezza, in modo di riuscire a comunicarci a voce, considerato che non siamo dotati di apparati ricetrasmittenti.” Lui annuisce, confermandomi che andrà a sdraiarsi poco più avanti.
Deciso il da farsi, ognuno di noi va a posizionarsi, dove era stato stabilito.
Il tempo trascorre lentamente, non fa freddo, il cielo è limpido, ci troviamo a poca distanza dalla rete fiscale che separa la Svizzera dall’Italia. Guardando sotto di noi si intravedono le luci del valico internazionale di Ponte Chiasso. Noi siamo abbastanza alti, sulla costa della montagna e nelle nostre orecchie arriva impercettibile il frastuono del movimento dei mezzi che attraversano la frontiera, in entrata ed in uscita, dalla Stato. Ad un certo punto, comincio ad avvertire dei rumori, tendo bene l’orecchio e sento proprio il calpestio dei passi di persone che si stanno avvicinando al confine. Considerata l’ora di notte e il luogo in cui ci trovavamo, non ci vuole nulla a capire che sono proprio gli “spalloni”, (così vengono chiamate le persone che attraversavano il confine con sacchi di sigarette sulle spalle). Essi si apprestano ad effettuare il “passo”, in gergo è la traversata dalla Svizzera nel nostro territorio, con il loro carico, dopo essersi sincerati che la zona è libera da controlli. La tecnica che usano, quando si accingono a portare fuori dal confine svizzero sigarette di contrabbando, consiste in una preliminare perlustrazione del luogo di attraversamento, per sincerarsi che nessuna pattuglia si trovi nei paraggi, poi ad ogni certa distanza del sentiero che devono percorrere, mettono uno di loro a fare da “palo” per segnalare eventuali pericoli.
“Ci siamo”, penso, questa notte è buona per sequestrare le sigarette. Spero che non ci scoprano. Come in effetti è stato, la mia idea ha funzionato, loro infatti sono andati a guardare nel posto, dove di solito la pattuglia si posiziona, quando va in appostamento in quella zona e non avendo trovato nessuno, hanno dato inizio alle operazioni. Questo è un momento davvero critico e anche di una certa pericolosità, si tratta di intervenire di notte, in mezzo ad un bosco, per reprimere un’azione illecita solo noi due, contro una probabile decina di persone. Generalmente tra noi e i contrabbandieri, a quel tempo esiste come un codice di comportamento, nel senso che è difficile arrivare ad atti violenti. Se loro vengono scoperti abbandonano il carico e si danno alla fuga senza reagire. La legge ci impone di procedere al loro fermo ma non è facile, è gente che conosce i luoghi perfettamente perché in genere sono persone che abitano nei dintorni e si guadagnano da vivere facendo questa attività. Per noi, già è una soddisfazione giungere in caserma, con un carico di sigarette sequestrato. Ci dà prestigio ed una certa invidia da parte dei colleghi, quindi evitiamo nei limiti del possibile, di procedere al fermo di persone, se non proprio in casi eccezionali.
Intanto il primo spallone è già entrato nel territorio italiano, lo vedo passare ad una distanza di qualche metro sopra di me, io sono sdraiato a pochi passi da lui, ma non si accorge di nulla, lo lascio passare, il metodo è quello di farli entrare quanto più possibile in modo da fermare più bricolle. Non è facile, ma si tenta sempre questo espediente. Arriva il secondo, decido di uscire alla scoperto e di mettermi dietro di lui seguendolo come un’ombra. Il sacco che ha sulle spalle gli impedisce di vedermi e non si accorge che lo pedino.
Per evitare di fare dei movimenti sbagliati, quasi divertito, sincronizzo il mio passo al suo, come quando ci si addestra in piazza d’armi per le parate militari. Camminiamo in questo modo per un buon tratto di sentiero. Nel frattempo altri sono usciti e si trovano in cammino tra me e il collega che sta appostato dietro e sicuramente anche lui, si è accorto del movimento e aspetta un mio cenno per intervenire. Ma io ancora non mando alcun segnale, continuo a seguire lo spallone. Ad un certo punto, del percorso, ecco che intravedo nell’oscurità una persona, vicino o addirittura appoggiata ad un albero, è il “palo”. Sicuramente è posizionato là apposta, per segnalare eventuali nostre presenze. Continuando a camminare mi avvicino a lui e lo supero, vedo che lui gira la testa, dice qualcosa in dialetto stretto della zona, all’uomo che io sto pedinando, intanto mi osserva perplesso, sbigottito, ma in un primo momento, non capisce chi possa essere questo individuo che cammina dietro al suo compagno, senza alcun carico. Dopo qualche metro, però, sento che comincia a gridare segnalando il pericolo. Oramai siamo scoperti e dobbiamo intervenire segnalando la nostra presenza. Si verifica un fuggi fuggi generale, ma qualcosa viene abbandonato per terra prima di scappare. L’uomo che pedino si sbarazza del carico e fugge via precipitosamente. Io per il momento lascio la bricolla per terra e mi preoccupo di andare di corsa a dare aiuto al collega che nel frattempo è intervenuto anche lui. In questa fase concitata, riusciamo a recuperare nel buio della notte, tre bricolle di sigarette di contrabbando del peso di 20 Kg. ciascuna. Non è il massimo, ma bisogna considerare che siamo solo in due, senza l’ausilio del cane, e che il collega è in uno dei suoi primi servizi intrapresi in questo reparto. Non è ancora pratico dei sentieri e quindi deve muoversi con una certa cautela, per non cadere in qualche buca o sbattere contro qualche ramo o albero e ferirsi. Non sarebbe stata la prima volta che rientriamo con contusioni e graffi su tutto il corpo ma per fortuna non gravi. Io forse meglio di lui in questo frangente sono più abituato ad agire di notte in mezzo a quel bosco ed a quei sentieri. Lo raggiungo e gli chiedo come è andata. Lui tra l’eccitazione e la gioia di avere fermato il suo primo carico mi dice: ”Bene, bene, mi hanno mollato qua due sacchi.” “Allora ritorno a prendere l’altro”, gli dico, sperando di ritrovarlo in questo buio. Infatti è ancora là. Beh! Tutto sommato il nostro risultato di servizio quella notte lo abbiamo fatto. Dico a De Giuseppe: “ Hai visto? Che avevo ragione? La mia sensazione era giusta? Tu stanotte hai portato fortuna, ma anche noi ce la siamo procurata, perché se ci posizionavamo ai soliti posti, quasi sicuramente, ci avrebbero scoperto e non sarebbero passati dalla nostra parte.” Lui sprizzava contentezza da tutti i pori della sua pelle. Mi dice: “ Capperi avevi ragione”.
Certo che in qualità di capo pattuglia e responsabile del servizio ebbe il plauso di tutti i colleghi e del comandante. Tuttavia, dopo quella volta, per tutto il tempo della nostra permanenza al reparto, ebbe nei miei confronti. una sorta di ammirazione e di rispetto. Sempre ricordava quell’episodio apprezzando in me l’inventiva e il modo coraggioso con cui l’avevo portato a termine.

Nelle foto:
Foto a sx : vb. Cagnazzi, fin. Amato ed io davanti alla caserma e sotto alcuni sacchi di sigarette di contrabbando sequestrati. Le cosiddette “bricolle”.
Foto a dx: In piedi da sinistra: De Giuseppe, IO, Leone Vincenzo, Cardinale, dietro c’è Ottavviani. Quello davanti a lui non ricordo come si chiama. Il sottufficiale seduto e’ il vb Cagnazzi.
Se qualcuno avesse notizia di questi colleghi gradirei conoscere i loro recapiti.

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