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La cena

Scuola Alpina della Guardia di Finanza – Predazzo

31° Corso Antelao – anno 1963/64

La cena fatta di straforo al Circolo Ufficiali

Grazie alla compiacenza di un allievo che serviva ai tavoli degli Ufficiali, una domenica a sera ci siamo presi la soddisfazione di andare a banchettare nella loro mensa, a loro insaputa, nonostante la paura di essere scoperti.
Ricordo ancora l'incoscienza proprio dell'allievo che ci aveva invitato e che continuava a rassicurarci che non sarebbe venuto nessuno, come in effetti è stato, per fortuna. Così fu che ci abbuffammo di tutto quello che volevamo.
Accidenti, non è che il nostro vitto fosse cattivo, ma vuoi mettere, assaggiare le pietanze che davano agli Ufficiali è un'altra cosa. Bistecche alla piastra, formaggio, vino, frutta a volontà, grappa, cognac ed altro ben di dio.
Siamo usciti quasi sbronzi dopo una bella mangiata di quel genere. Dobbiamo davvero ringraziare il buon allievo Cesaria. Ancora ricordo il suo nome e mi piacerebbe sapere dove vive attualmente e magari re-incontrarlo per ricordare quel momento.  

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Consegna

Scuola Alpina della Guardia di Finanza – Predazzo
31° Corso Antelao – anno 1963/64
La consegna
La “consegna” è una particolare punizione per l’allievo che durante l’arco della giornata non ha osservato le norme di comportamento che regolano l’andamento del Corso e quindi non può uscire fino a che non ha scontato la sanzione. Gli istruttori hanno questa autorità di infliggerla.
Questa unitamente al “Richiamo” è una delle punizioni più lievi che venivano applicate. Altre più gravi erano: la “Camera di Punizione Semplice” e quella di “Rigore”.
Perché mai esordisco con queste punizioni disciplinari? Lo si capirà nel corso di quello che vado a raccontare.
Sono trascorsi ben 55 anni, oltre mezzo secolo, da quel lontano 19 novembre 1963, data in cui ho iniziato a frequentare, la Suola Alpina della Guardia di Finanza di Predazzo.
A quell’epoca la mia famiglia ed io abitavamo a Marghera (Ve).
Ho voluto ripercorrere le orme paterne decidendo di arruolarmi nelle Fiamme Gialle. Anche lui ha servito lo Stato indossando quella divisa per ben 28 anni. Io ci sono rimasto di più: 31 anni effettivi.
Non tutto quello che mi accadde in quel periodo può essere ricordato ma ci sono delle cose, che rimangono indelebili, anche se, i contorni potrebbero apparire sfumati.
L’impatto del passaggio dalla vita civile, da giovane studente con poca voglia di studiare, a quella militare, è stato lentamente assorbito con la frequenza della Scuola Alpina. La qualifica che avevamo era quella di “Allievo Finanziere”, Il grado più basso della scala gerarchica prevista per il Corpo della Guardia di Finanza.
Siamo stati messi al corrente di come è caratterizzata la vita militare in tutte le sue forme ed espressioni. Cosa ben diversa dall’ambiente civile. Si inizia a comprendere la simbologia, i segni distintivi portati sulla nostra una divisa: fregi, fiamme, galloni, copricapi, tipi di uniformi da indossare per ogni particolare occasione: lavoro di corvè, servizio d’istituto, libera uscita, cerimonie, ecc. Tutto segue un protocollo consolidato dalla tradizione militare.
Una delle prime cose che ci vengono insegnate consiste nel riconoscere i gradi di ogni appartenente, dal più semplice al più elevato, fino a quello di generale.
Al giorno d’oggi ci sono stati diversi cambiamenti ma a quel tempo i simboli erano un poco diversi.
A memoria, descrivo i segni, che distinguevano la truppa, i sottufficiali e gli ufficiali. L’allievo non aveva distintivi particolari, li avrebbe ottenuti una volta superato l’esame a fine corso. Venivano consegnati infatti le agognate “fiamme gialle” da appuntare ai baveri della divisa, Il fregio del cappello era ancora nero e sarebbe diventato dorato alla fine del corso. Il finanziere semplice invece era dotato di fiamme gialle e il fregio dorato sui copricapi. Il finanziere scelto aveva il gallone rosso a forma di V su entrambe le maniche dell’uniforme a metà avambraccio. L’appuntato aveva i galloni rossi doppi suddivisi da una striscia nera. La categoria dei sottufficiali si distingueva in vicebrigadiere con il gallone a forma di V dorato, il brigadiere doppio gallone suddiviso da una striscia nera, il maresciallo ordinario, un binario dorato, longitudinalmente alle spalline della divisa, il maresciallo capo, due binari dorati, sempre sulle spalline, il maresciallo maggiore, su tre binari dorati. Categoria Ufficiali inferiori: sottotenente portava una stelletta su entrambe le spalline, il tenente due stellette, il capitano tre stellette, Gli ufficiali superiori: il maggiore aveva una stelletta dorata su entrambe le spalline, il tenente colonnello due, il colonnello tre, sempre dorate. Se il colonnello era anche comandante di Corpo ( in genere erano le Legioni, ora Comandi Provinciali), allora le stellette avevano un fondo rosso. I generali: quello di Brigata aveva una stelletta d’argento, il generale di divisione due stellette sempre d’argento. Non rammento se all’epoca i nostri generali avessero tre stelle. Ricordo che il comandante generale proveniva dall’Esercito e forse questo ufficiale aveva le tre stellette.
Questi elementi dovevano, essere da noi allievi, ben recepiti e memorizzati in quanto erano i segni distintivi per ogni appartenente al Corpo. La gerarchia dovevamo impararla molto bene, pena qualche rimprovero, nella migliore delle ipotesi, altrimenti potevano scattare anche altri tipi di punizioni se, al passaggio di un militare con il grado superiore al nostro, non si faceva il saluto militare. Questo consisteva nel portare la mano destra all’altezza della visiera del cappello. Se questo mancava, dovevamo girare prontamente la testa, dalla parte nella quale transitava il soggetto da salutare.
Il tempo trascorreva impegnandolo in varie attività: studio delle materie tecnico giuridiche, esercitazione fisica, studio delle armi, addestramento formale, addestramento al combattimento con applicazione di varie metodologie. Dovevamo avere padronanza della pistola automatica beretta calibro nove corto e del fucile mitragliatore M.A.B. Eravamo sottoposti ad esercitazioni periodiche di tiro con le varie armi.
Settimanalmente, in genere il sabato, c’era in programma una marcia tra le montagne circostanti, in genere della durata di circa quattro ore. Si partiva intorno alle ore otto per ritornare a ora di pranzo all’incirca alle ore 12.00. L’attività ginnico sportiva era garantita anche questa. Nel periodo invernale c’erano esercitazioni con gli sci.
Gli istruttori selezionavano i migliori elementi, di tutte le attività sportive, in previsione delle gare di battaglione. Queste venivano eseguite alla fine del corso, prima degli esami.
In merito all’attività ginnica ricordo che mi avevano scelto per effettuare la corsa dei 100 metri piani. L’ufficiale, che ci seguiva, mi aveva notato, per la mia agilità nello scatto, ai blocchi di partenza. Purtroppo dovetti interrompere questi allenamenti a causa di un incarico imprevisto che mi era stato assegnato che mi impediva gli allenamenti.
Non c’era proprio modo e tempo di annoiarsi. Al suono della tromba c’era la sveglia del mattino, con orari stabiliti a seconda della stagione, adunata in piazza d’armi, per assistere alla cerimonia dell’alza bandiera, poi si entrava in mensa ed a orari stabiliti c’era la colazione, il pranzo e la cena serale. La giornata finiva ancora al suono della tromba con le note del “silenzio”.
Purtroppo una volta, mentre facevamo addestramento formale, cioè esercitazioni di marcia in piazza d’armi, con tutta la compagnia, sono stato punito. Mi sono stati dati dei giorni di consegna perché, secondo l’istruttore, mi aveva sentito commentare, un ordine che avevo mal digerito. Non ricordo con precisione quale fosse stato. Sta di fatto che mi sono visto infliggere una consegna di tre o quattro giorni non ricordo bene. Ho dovuto rinunciare quindi alla libera uscita e rimanere in punizione, in caserma. Era previsto che gli allievi consegnati dovevano effettuare operazioni di pulizia, nei locali: camerate, servizi igienici, corridoi ed altro.
Anche se a volte ero insofferente a certe situazioni prettamente di carattere militare, dopo questo intoppo ho avuto l’accortezza e la furbizia di evitare di incappare nelle sanzioni, ma quella volta ci cascai in pieno. Di buon grado dovetti accettare la situazione. Devo dire che per tutta la durata del Corso quella fu l’unica o una delle poche volte, ad essere punito.
Non potendo uscire quindi,dovevo stare in caserma ed eseguire i compiti demandati ai consegnati.
La sfortuna volle che proprio in quei giorni vennero a trovarmi gli amici di Marghera.
Sono rimasto veramente desolato, rammaricato e mi sono anche vergognato di non poter andare in giro per il paese di Predazzo e trascorrere con loro qualche ora in allegria; pur avendo fatto tanta strada per venire a trovarmi con i loro mezzi. Credo fossero arrivati con delle vespe o lambrette. Ho dovuto riceverli, previo permesso che mi è stato accordato, solamente in “Parlatorio”. I ragazzi quasi tutti miei coetanei: sui 18, 19, 20 anni, ancora non avevano ricevuto la chiamata per andare militare e quindi erano incuriositi, su tutto quanto concerneva il tipo di vita, al quale ero sottoposto in quella struttura.
Considerato che non potevo uscire, ho impiegato il tempo a mia disposizione per illustrare brevemente in cosa consisteva la mia presenza alla Scuola. Ho spiegato che, innanzitutto si trattava di un istituto di addestramento di carattere militare, finalizzato a preparare del personale in compiti istituzionali assegnati alla nostra Organizzazione e cioè alla Guardia di Finanza. La legge italiana attribuisce notevoli facoltà d’intervento in molti settori della vita pubblica al Corpo: da quello fiscale, economico, giuridico, militare. Per essere in grado, di espletare con competenza, tutto questo, ecco che bisogna preparare l’allievo, a compiere con serietà e competenza il proprio dovere. C’è bisogno pertanto, dei cosiddetti reparti d’istruzione, per insegnare ai giovani allievi questi compiti. Proprio una di queste strutture è la Scuola Alpina, la quale tra l’altro è specializzata in specifici addestramenti in luoghi particolari, quali possono essere quelli alpini. Quindi qui si impara a sapersi muovere tra le montagne, a sciare e conoscere il sistema alpino del nostro paese. Questo perché la maggior parte degli allievi alla fine dei corsi saranno destinati a Reparti di confine ubicati nell’arco alpino.
Attività queste apprese in aula per quanto concerne lo studio delle materie prima accennate. Sul campo invece: attività ginnico sportiva, addestramento di carattere prettamente militare: uso delle armi, pistola automatica barretta calibro 9 corto. Saperla smontare e rimontare ad occhi chiusi. Fucile mitragliatore Mab. Esercitazioni di tiro con varie armi ecc. I ragazzi mi hanno ascoltato affascinati dalla mia spiegazione. Mi hanno chiesto, in particolare, cosa fossero determinati comportamenti, quando si faceva addestramento al combattimento, citando quei famosi “passi” che si facevano in quelle occasioni. In qualche modo cercai di spiegare di cosa si trattava.
Il passo del gattino
Ci si corica (sdraiati) aderendo al terreno, tenendo i piedi uniti. Si tasta il terreno antistante con la mano sinistra per rimuovere ciò che può produrre rumore. Si muove il corpo in avanti sollevando gli avambracci e la punta dei piedi. Si impugna l’arma, tenuta a tracolla con la cinghia lenta, con la mano destra.
Il passo del gatto
Si cammina appoggiandoti sulle ginocchia e sulla mano sinistra. Si tasta il terreno con la mano sinistra e si spostano le ginocchia dove non si sentono oggetti che producono rumore.
Si impugna l’arma, tenuta a tracolla con la cinghia lenta, con la mano destra.
Ed infine il passo del leopardo.
Questo è un attimo più complesso, si avanza sdraiati ma con le gambe, non con le braccia (che devono sorreggere l’arma).
Tattiche piuttosto anacronistiche (soprattutto per quanto riguarda gli scenari operativi attuali) che non vengono assolutamente utilizzate al giorno d’oggi.
Ho spiegato che la durata del corso era di nove mesi al termine del quale avrei dovuto superare un esame che mi avrebbe dato la facoltà di fregiarmi delle tanto desiderate Fiamme Gialle da applicare sull’uniforme. Gli “allievi” infatti, ne erano sprovvisti. Avevano semplicemente le stellette, ad indicare lo stato di militare e il fregio, che si applica ai copricapi non era dorato ma nero.
Trascorso l’orario delle visite, ho dovuto salutarli per ritornare nella mia camerata. In qualche modo, questi amici hanno capito il mio disagio, concernente il fatto di non poter uscire, fuori dalla Scuola, con loro ma si sono sentiti ugualmente soddisfatti e tranquillamente, hanno ripreso la via del ritorno.
Un’altra volta, per fortuna, ho avuto la soddisfazione di ricevere la visita dei miei familiari, padre, madre e due sorelle più giovani di me: una nata nel 1952 e l’altra nel 1953. Devo dire che in questa occasione, avendo ottenuto un permesso per andare in libera uscita, ho avuto modo di far vedere il paese di Predazzo, di fare ammirare il paesaggio circostante e in ultimo, li ho portati a pranzare in un ristorante del luogo. Ho constatato il gradimento di mio padre, vedendomi entusiasta, di quello che stavo facendo e della mia scelta di intraprendere la vita militare. Si è piacevolmente ricordato dei tempi lontani, nei quali, anche lui giovane allievo, frequentò la stessa mia Scuola.
Al rientro dei familiari, ho ripreso la quotidianità della vita, con i consueti ritmi. Due importanti traguardi restavano da raggiungere: uno sarebbe stato l’esame di fine corso, l’altro il giuramento. Quest’ultimo sarebbe stato l’atto finale compiuto al completamento del percorso, con il quale avremmo, raggiunto il tanto sospirato “status” di Finanziere e non più Allievo. Era la conclusione di una attività abbastanza dura e impegnativa sotto molti aspetti. La Scuola, ci aveva plasmato ed in tutti noi Allievi, era avvenuto un cambiamento notevole nello stile di vita. Non eravamo più semplici cittadini ma servitori dello Stato, al servizio del Paese, della società, del singolo, bisognoso di un qualsiasi aiuto. Ero fiero di quanto avevo raggiunto. Indossare la divisa di Finanziere mi riempiva di orgoglio. Intravedevo già il percorso da fare negli anni a seguire, consapevole delle responsabilità cui sarei andato incontro. Pronto ad adempiere con fierezza, dignità e coraggio, qualsiasi mansione, qualsiasi incarico, avessi ottenuto nel corso della mia vita con le stellette.
NEC RECISA RECEDIT.

Sentinella

31° corso Antelao – Scuola Alpina G.diF. Predazzo anno 1963/64

Sentinella

Questa volta tocca a me fare il turno di notte. Tra le molteplici attività e incombenze che dovevamo svolgere durante il Corso vi era tra queste quello di effettuare, a rotazione, questo servizio in punti predefiniti del perimetro interno della Scuola Alpina. Questo era uno dei più noiosi ma molto delicato. Dovevi far trascorre il tempo previsto, senza occuparti d'altro. L'abbandono del posto o di addormentamento era sanzionato pesantemente. Per fortuna non capitava spesso. C'era la ripartizione tra gli allievi di tutto il Corso, per cui passavano anche diverse settimane prima di ritornare a svolgerlo.
Vi era un Corpo di Guardia in cui sostavano gli allievi comandati nel turno che ad intervalli periodici di un'ora o forse due, venivano accompagnati ai posti dislocati intorno alla Scuola, un decina in tutto.
Allo scoccare del tempo prestabilito partiva la “muta” (squadra formata da una decina di persone) che guidata da un capo muta ad ogni posto di guardia sostava per dare il cambio alla sentinella smontante la quale si accodava e si riprendeva il cammino fino a completare tutte le sostituzioni. Una volta fatto questo la cosiddetta muta rientrava al corpo di guardia in attesa di un nuovo giro quando previsto. Questa era la dinamica dei cambi.
L'impiego da parte nostra consisteva in quello di essere a disposizione per tutto l'arco delle 24 ore fino ad essere rilevati da una nuova squadra.
Così giunge il momento del mio turno. La muta mi accompagna al punto prestabilito per effettuare il cambio con la guardia smontante.
E' notte e si gela, siamo in pieno inverno, mi trovo in un punto isolato del perimetro interno della caserma. Pericoli reali non ce ne sono ma per un ragazzo di 18 anni rimanere in quel posto da solo per un'ora o forse due, questo non lo rammento, non è il massimo dell'allegria.
Sono ben coperto, cappotto pesante, scarponi, calzettoni e copricapo di lana e sopratutto armato. Il cielo è limpido e stellato con la luna che imbianca quasi a giorno le cime innevate delle montagne circostanti, tutto intorno un gran silenzio, tranne udire lo scroscio dell'acqua che scorre nel torrente a ridosso del recinto della Scuola.
Il mio sguardo fissa le luci delle finestre dei locali circostanti e mi soffermo ad osservare l'andirivieni delle persone che sono dentro, al caldo, chi guarda la TV, chi sta cenando chi gioca a carte o si occupa di altro mentre io mi ritrovo là fuori. Altro da fare non c'è, si tratta di far trascorrere il tempo per cui vado avanti e indietro toccando i limiti dei confini assegnati per quel posto e nel frattempo mille pensieri si affacciano alla mente.
Sono rivolti ai propri cari che hai lasciato a casa, agli studi, interrotti, alla compagnia degli amici, ai divertimenti. Mi chiedo se ce la farò a continuare nella strada intrapresa io che sono caratterialmente indipendente e abbastanza insofferente agli ordini e alla disciplina. Così mi comportavo a casa, e più di qualche volta andavo in conflitto con la mia famiglia a causa del mio atteggiamento. Vale tutto il sacrificio che sto compiendo ora? Avrò una vita migliore di quella che ho lasciato alle mie spalle? Le aspirazioni, i desideri si avvereranno? O è tutto vano e inutile l'impegno che ci sto mettendo per giungere al traguardo?
Mi prende comunque la tristezza, e non vedo l'ora che finisca il turno per andare a riposare e consumare qualche bevanda calda o bere un bicchierino di grappa tanto per alleviare il freddo che mi è penetrato nelle ossa.



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