La Fuga

Bellagio
La fuga
Bene, una sera ero libero dal servizio e mi trovavo a bighellonare insieme al collega Calogero (nome questo di fantasia per rispetto della sua privacy) a bordo della sua nuova e fiammante “Fiat 500”, all’epoca era già un lusso possederne una. Ci chiedevamo cosa fare e dove trascorrere queste ore che avevamo a disposizione. Quando eravamo liberi dal servizio uscivamo spesso insieme.
Lui era un ragazzo di origine siciliana che a dire il vero non brillava tanto per coraggio ed iniziativa, minuto nel fisico e con pochi capelli in testa ed a volte con quella sua vocina con timbro più femminile che maschile era anche noioso e petulante, tuttavia gli piaceva la “gonnella” ma era talmente timido che cercava in me sempre un punto d’appoggio. Non è che io brillassi molto in fatto di conquiste femminili ma comunque lui quando era libero sempre chiedeva la mia compagnia per andare a divertirci insieme. Era anche molto superstizioso, al punto di fermare la sua auto all’apparire di un gatto nero da qualsiasi lato gli attraversasse la strada. Immediatamente lui si fermava e tornava indietro, inutili i miei tentativi di convincerlo a desistere dalla sua volontà tentando di spiegargli che un semplice ed inoffensivo gatto non poteva pregiudicare il suo destino. Ma lui non sentiva ragioni di alcun genere, girava la macchina e tornava indietro.
Comunque tutto sommato uscivo abbastanza volentieri e la sua compagnia non mi disturbava, anzi ascoltavo volentieri le sue immancabili battute in siciliano e mi divertiva la sua bramosia di conoscere ragazze. Così tra una battuta sua e uno sfottò mio passavamo la serata.
I nostri colleghi più anziani e smaliziati ci prendevano spesso io giro per la nostra goffaggine nel relazionarci con le ragazze. Ci facevano rimanere a bocca aperta a sentir narrare le loro avventure amorose e le conquiste che facevano ogni volta che uscivano, Uhm! Io credo che bluffassero ma restavamo ugualmente incantati sia io che Calogero ai racconti di questi Don Giovanni. In effetti Bellagio era un posto in cui non era difficile come si dice in gergo “rimorchiare”, cioè fare amicizia con l’altro sesso e specialmente con le turiste straniere, tedesche, olandesi, inglesi, francesi, c’è n’erano per tutti i gusti… !
Bene fatte queste premesse, anche quella sera mentre passeggiavamo in auto, ad un certo punto, gli si para davanti un gatto nero e lui, come di consueto si apprestava a fare la solita manovra di ritorno sui propri passi quando incrociammo una automobile che ci apparve immediatamente come una di quelle adibite al trasporto delle sigarette di contrabbando, condotta da un individuo di nostra conoscenza soprannominato “Faina” (nome di fantasia per dovere di privacy, anche se sono trascorsi oramai tantissimi anni da quell’episodio) la cui attività era quella di guidare autovetture cariche di sigarette di contrabbando.
Mi rivolgo al collega dicendogli: “Calogero hai visto chi è passato? Sicuramente è il Faina e la macchina mi sembra proprio carica”.
Questi autoveicoli erano predisposti per non far apparire esternamente cosa contenessero. Avevano sospensioni rinforzate, all’interno dell’abitacolo non esistevano i sedili per i viaggiatori, erano stati tolti in funzione di quello che dovevano trasportare. Esisteva solo il sedile del conducente e i sacchi di sigarette erano stipati fino al livello dei finestrini per non dare nell’occhio. Anche il baule ne era pieno. Uno che guardava da fuori non vedeva nulla.
Noi comunque ci eravamo abituati a capire queste situazioni, e visto il personaggio, la strada che percorreva, l’orario, l’automobile tipica per quei trasporti, ci convincemmo che era proprio un carico di sigarette di contrabbando che stava prendendo la via di Milano o qualche altra località di smercio.
Calogero risponde: “Porca miseria è proprio il Faina e sono convinto che la macchina è stracarica di sigarette”.
Gli dico: “Dai inseguiamolo e fermiamolo, vedrai che questa volta lo fottiamo..”.
Lui anche se non era un campione di coraggio e anche molto superstizioso, si convince ad effettuare l’inseguimento e gira il veicolo per tornare indietro, la strada era abbastanza stretta, lui mi dice: “Prendi la paletta e vediamo di bloccarlo non appena riesco a superarlo”.
Generalmente anche le auto private erano dotate della cosiddetta “paletta” che serviva per intimare l’Alt, alle autovetture quando facevamo il controllo sull’osservanza delle norme del Codice Stradale, inoltre anche se eravamo liberi dal servizio, dovevamo portare sempre con noi la pistola d’ordinanza.
Teoricamente essere liberi dal servizio non era esatto, poiché il nostro regolamento ci obbligava ad essere sempre in servizio 24 ore al giorno con obbligo di intervento di fronte ad atti illeciti perseguibili a termini di legge.
Detto questo, Calogero si accoda alla macchina del Faina, che fino a quel momento ancora non si era accorto di nulla ed al primo momento favorevole lo sorpassa. Io metto il braccio fuori dal finestrino e con la paletta gli intimo l’Alt. La macchina si ferma, anche noi ci fermiamo, Calogero rimane a bordo della sua cinquecento. Io scendo e mi avvicino lentamente, al veicolo e faccio per intimare al Faina di scendere.
L’adrenalina era salita al massimo, sia Calogero che io, eravamo tesi come due corde di chitarra. Questi tipi di interventi sono abbastanza complicati nel loro svolgimento e non sempre vanno a buon fine, invece di farsi prendere dall’agitazione che attanaglia in quei momenti, bisognerebbe avere calma e sangue freddo. Ma non sempre è così. Normalmente i soggetti che compivano questi viaggi con gli autoveicoli non erano aggressivi, solitamente se potevano si davano alla fuga, abbandonando il carico illecito, non reagivano, ma l’imprevedibile era sempre in agguato e bisognava stare con gli occhi bene aperti.
Ero arrivato ormai all’altezza dello sportello del lato guidatore e mentre cercavo di ordinargli di scendere dal veicolo improvvisamente. Il Faina, riconoscendomi, innesta rapidamente la retromarcia e sgommando si allontana rapidamente percorrendo quasi un centinaio di metri all’indietro, poi trovato uno spazio abbastanza largo gira la macchina e si allontana velocemente. Io faccio per inseguirlo a piedi, ma vista l’impossibilità di raggiungerlo e preso dalla rabbia, metto mano alla pistola d’ordinanza, una Beretta calibro 9 ed esplodo due colpi in aria. Chissà cosa volevo ottenere con quel gesto. Col cavolo che il Faina si è fermato, nonostante il mio intervento. Tutto si è svolto in un attimo, ed in un attimo tutto è svanito, ma io resto pietrificato, e mi sembra di stare lì da un’eternità rimuginando su quanto accaduto e sul fatto di non essere stato capace di effettuare il fermo.
Nel frattempo si avvicina Calogero, il quale anche lui sconsolato e con una tipica battuta siciliana, esclama: “Minchia, eravamo partiti per fotterlo, invece lui ha fottuto noi”.
Per alcuni minuti restiamo senza parole, poi mestamente entriamo nella cinquecento e ce ne torniamo in Caserma a stendere un rapporto su quanto accaduto.
Avevamo anche una certa apprensione, di qualche risvolto disciplinare, in quanto io avevo fatto un uso delle armi alquanto improprio.
Comunque passano i giorni ed ancora non ho notizie spiacevoli nei mie confronti in fatto di provvedimenti disciplinari. Ma un giorno, in occasione dell’ispezione periodica al nostro reparto effettuata dal comandante della compagnia di Menaggio, durante il pranzo esordisce verso di me dicendo: “Mi è giunta voce che qualche giorno fa vi è sfuggita un’ autovettura carica di sigarette di contrabbando e che tu hai estratto la pistola ed hai esploso dei colpi in direzione della vettura colpendo il fondo della stessa”.
Al che io mi sono risentito e mi sono difeso giustificandomi dicendo : “Si, ho sparato, ma i colpi sono stati esplosi in aria e mai addosso a qualcuno le notizie che le hanno riferito sono prive di fondamento”.
Chissà perché le informazioni che viaggiano di bocca in bocca poi sono sempre distorte e non corrispondono alla realtà dei fatti accaduti. Evidentemente c’è sempre qualcuno che vuole farti del male.
Per fortuna l’ufficiale credette alle mie parole e nessuna azione disciplinare fu presa nei miei confronti.
Questo per me è stato un grande insegnamento in altre occasioni simili mi sono guardato bene dall’estrarre l’arma e sparare. Ho preferito piuttosto lasciar perdere il carico di contrabbando per l’impossibilità di fermarlo con i mezzi normali di cui disponevamo. Quindi per evitare queste spiacevoli occasioni, mi sono guardato bene di ripetere l’errore di estrarre l’arma ed esplodere dei colpi così solamente a scopo intimidatorio.
Dopo quell’increscioso episodio altre volte mi sono trovato ad effettuare fermi di autovetture cariche di T.L.E. (Tabacco Lavorato Estero), ma io non ho più fatto uso delle armi. La lezione mi era ben servita. Utilizzavamo altri mezzi di contrasto che il regolamento ci imponeva di adottare e tutto andò per il meglio. Spesse volte si usciva per questi servizi con le automobili private, per chi le possedeva, proprio per non essere riconosciuti. Il collega Cirillo (altro nome di fantasia), aveva rimesso in sesto una vecchia topolino (vedi foto) che molto spesso veniva adibita per azioni di contrasto. Se le auto cariche di sigarette di contrabbando. non si fermavano al posto di blocco, noi comunicavamo via radio agli altri colleghi situati qualche centinaio di metri più avanti in modo che avevano il tempo di gettare attraverso la strada la “catena chiodata” (strumento legale e approvato dalla legge per azioni di contrasto specialmente in materia di contrabbando, così che l’auto quando passava sopra, bucava tutte le gomme ed era costretta a fermarsi.
La mia vita al reparto quindi era scandita da queste attività e procedeva regolarmente fino al giorno in cui ricevetti l’ordine che dovevo lasciare Bellagio per raggiungere la Scuola Sottufficiali. Nel pur breve, ma intenso periodo di mia permanenza in quello splendido posto, ero riuscito a fare due cose importanti per il prosieguo del mio cammino di vita. Prendere la patente di guida e vincere il concorso per la Scuola. Non faccio per vantarmi, ma avevo conseguito ex-equo con un altro collega il punteggio più alto nello svolgimento della prova scritta di italiano di tutta la Legione di Como.
Così con mio grande rammarico arrivò il giorno del mio commiato da Bellagio, ripromettendomi tuttavia, non appena possibile di ritornarci, come in effetti ho fatto. Ancora adesso infatti, quando posso riesco a fare una capatina e rivedere quel luogo bellissimo che sempre ricordo con una punta di dolce nostalgia.
In onore di questi luoghi incantevoli cito a braccio un passo del Manzoni, chiedendogli perdono se le parole non sono proprio esatte come lui le ha immortalate nella sua opera. “Addio monti sorgenti, dalle acque ed elevati al cielo, cime ineguali, note a chi è cresciuto tra voi ed impresse nella sua mente non meno che lo sia l’aspetto dei suoi più familiari torrenti…..”

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