Spalloni che aiutano la pattuglia

Tutto accadde in un giorno in cui ero comandato a svolgere il servizio di casermiere.
Nonostante la mia avversione, questa era una delle attività, che eravamo tenuti ad adempiere in questi posti. Si effettuava a rotazione, coinvolgendo tutto il personale, ad esclusione dei Comandanti del Reparto: brigadieri e vicebrigadieri.
La funzione di casermiere prevedeva diversi compiti quali: cuciniere, piantone, effettuare i collegamenti radio, con le altre stazioni, ad ogni ora del giorno ed altre incombenze varie. Sono stato costretto pertanto, mio malgrado, ad imparare come si doveva fare da mangiare. Si doveva inoltre scendere nel primo centro abitato e provvedere all’acquisto dei generi alimentari, necessari alla preparazione del pranzo e della cena, per tutti i commensali, compresi eventuali ospiti e gli Ufficiali che gradivano fermarsi a pranzo, dopo aver effettuato le loro ispezioni.
Se il cuciniere sbagliava a confezionare il vitto, se lo bruciava o era troppo salato o insipido, il danno era a suo carico ed era pertanto, tenuto a sopportarne le spese.
Piuttosto quindi che essere incaricato di questo servizio, preferivo mille volte, essere comandato di pattuglia. Non è che il pattugliamento che si operava in quei luoghi, teso alla repressione del contrabbando, fosse una delle migliori soluzioni ma lo preferivo piuttosto che fare il casermiere.
Fortuna volle che col tempo si offrì volontario un collega il quale aveva la passione per la cucina e non gli piaceva il servizio anti contrabbando.
Il Reparto era molto disagiato, isolato, in mezzo ad un bosco, proprio a ridosso del confine Svizzero. A nord dell’immobile a pochi passi c’era la famosa “Ramina” la rete fiscale messa come barriera contro le intrusioni da parte di soggetti dediti ad attività illecite.
Erano gli anni in cui fioriva l’importazione dalla Svizzera di diversi tipi di merci evitando il pagamento dei diritti doganali. Una su tutte: le sigarette ( o tabacco lavorato estero, t.l.e.) come veniva denominato. Oltre a questa merce c’era anche l’importazione di generi come : oro, gioielli, caffè, saccarina, apparecchi radio, televisori ecc.
Il contesto era questo: da una parte le Fiamme Gialle a tutela dei diritti dell’Erario, dall’altra chi cercava di violare questi diritti. Veniva ribadito più volte che per quelle zone queste attività formavano l’economia prevalente a causa della scarsità di lavoro. Non c’erano altre alternative.
Tuttavia tra i militari della G.di F. e i contrabbandieri c’era una sorta di tacito accordo. Un patto non scritto, che veniva rispettato da ambo le parti. In sostanza si trattava di questo: Se la pattuglia eseguiva un fermo di merce di contrabbando, in genere le bricolle di t.l.e. e queste venivano lasciate cadere a terra al grido di “molla” o “lancia il cane” o “attacca”, i militari di pattuglia, dopo un breve inseguimento, desistevano dall’arresto dei responsabili. Considerato che in genere questi interventi avvenivano di notte ed in mezzo al bosco, diventava arduo ed improbabile, acchiappare ed arrestare qualcuno. Era sufficiente quindi, da parte degli spalloni, lasciare il carico per terra e darsi alla fuga. In questo frangente accadeva che se i sacchi da concentrare in Caserma erano molti, la pattuglia era in difficoltà, per trasportarli tutti. Ecco che allora, gli stessi spalloni che si erano dileguati, ritornavano indietro, offrendo il loro aiuto, affinché la merce giungesse a destinazione.
Il contrabbando “romantico”, questo era l’appellativo dato in virtù di questi comportamenti cavallereschi. Queste azioni erano tollerate ma non dovute. Se un superiore gerarchico avesse assistito ad un evento del genere, questo sicuramente avrebbe preteso che venisse sanzionato.
Proprio quello che avvenne quel giorno in cui mi trovavo ad espletare l’incarico di casermiere.
Era un tardo pomeriggio, quando una pattuglia composta da due soli militari, (non mi vengono in mente i loro nomi), aveva proceduto al fermo, mi pare di quattro o cinque bricolle di t.l.e. Per il trasporto in caserma si fecero aiutare dagli stessi spalloni. A conclusione delle operazioni quest’ultimi furono lasciati a riprendere il loro cammino.
Quando si dice la iella!
Fatalmente, in quel preciso momento, in cui quella gente si stava allontanando dal Reparto, sentiamo suonare il campanello. Aperta la porta d’ingresso, il brigadiere si trova davanti il capitano comandante la compagnia, giunto lì per una ispezione. L’ufficiale si era reso conto del movimento anomalo di quelle persone che si stavano allontanando ma, per poco, non sorprese quella gente mentre aiutava la pattuglia. Si era accorto solamente che nell’atrio c’erano ancora le bricolle per terra, Non si era fatto in tempo a custodirle nella stanza apposita. Non ci aveva messo molto a capire, cosa poteva essere accaduto, ma non ne aveva la certezza.
In quel momento il panico è dilagato per tutta la caserma. Era ben noto a tutti il modo di agire di questo ufficiale. Chi ha fatto servizio in quegli anni in queste zone, avrà avuto modo di conoscerlo. Infliggeva sanzioni disciplinari anche alle minime manchevolezze.
Entrato in ufficio si è seduto al posto riservato al brigadiere comandante ed ha iniziato un interrogatorio “a tappeto”, cominciando da quelli che avevano operato il sequestro delle sigarette, fino a quelli, che al momento erano presenti nei locali. Per ultimo ha interrogato anche “me”.
La principale domanda che fece, rivolta a tutti, fu quella di far ammettere che c’era stato aiuto da parte degli spalloni, a portare la merce in caserma. Tutti negarono, per fortuna, questa ipotesi e quando fu il mi turno mi chiese:
“Tu come ti chiami?”
Rispondo: “Sono il finanziere Abbaterusso Giuseppe, in servizio di casermiere”.
“Hai visto e conosciuto le persone che hanno portato le bricolle in caserma?”
“No, non le conosco e non ho visto nessuno fare quello che lei mi sta chiedendo in quanto ero tra i fornelli della cucina intento a preparare la cena. Ho sentito solamente del movimento all’ingresso. Mi sono affacciato dalla porta della cucina e ho notato che per terra, c’erano delle bricolle. Altro non ho da aggiungere.”
Finito di fare queste dichiarazioni sono tornato alla mia mansione.
Al riguardo mi preme precisare che realmente, non avevo mai visto quella gente e nemmeno la conoscevo. Le finestre della cucina, erano situate in posizione tale, da impedire la vista, ad eventuali movimenti esterni alla caserma. Tuttavia, se anche ipoteticamente, li avessi conosciuti e visti transitare, avrei affermato all’interrogante, di non conoscere e di non aver visto persone aiutare la pattuglia. Questo per solidarietà, nei confronti dei mie compagni che avevano operato il fermo.
Alla fine dell’inchiesta e acquisiti in atti tutte le nostre dichiarazioni l’ ufficiale se ne andò riservandosi di agire di conseguenza.
Di questo episodio sono rimasto veramente scosso. Ci siamo chiesti quali sarebbero stati i provvedimenti che avrebbe preso in considerazione dell’accaduto. Il fatto lo abbiamo considerato “grave”,visto la piega che aveva preso.
Non nascondo che il mio stato d’animo era a terra. In effetti da parte mia, non mi sentivo coinvolto, proprio a causa di quel momento, ero proprio estraneo a quanto accaduto. Comunque ero molto agitato ed in ansia su quello che sarebbero stati gli sviluppi della situazione. Sono arrivato al punto di consultare un avvocato, unitamente ad altri colleghi, soprattutto quelli che avevano proceduto al fermo delle sigarette. Così che al primo permesso ottenuto, ci siamo recati a Como, presso lo studio del professionista, il quale messo al corrente di quanto accaduto, in un certo qual modo, ci diede delle assicurazioni positive per noi. Riferendosi alla mia situazione: mi tranquillizzò, significando che non ravvisava motivo di provvedimenti perché estraneo al fatto e occupato in ben altre mansioni. Tuttalpiù, asseriva che tutto si sarebbe concluso, eventualmente con un provvedimento di carattere amministrativo, attingendo dalle norme punitive contemplate nei nostri regolamenti. Ipotesi questa riferita nei confronti del comandante del Reparto e della pattuglia che aveva operato il fermo. Provvedimenti di carattere penale non avrebbero avuto senso, mancando la certezza, da parte dell’ufficiale, che si fosse compiuto l’atto, di aiutare la pattuglia, al trasporto della merce di contrabbando.
A distanza di oltre 50 anni, è singolare come ricordi perfettamente tutta l’inchiesta, posta in essere dal capitano, mentre invece per quanto concerne i provvedimenti presi dal medesimo, nei confronti della pattuglia e del Comandante la Brigata, non ho idea di quali furono. Su di me non ci fu alcuna punizione.
In conclusione di tutto questo, quando penso a questo episodio, un senso di amarezza e frustrazione mi pervade. Fatti di questo genere fanno crollare e mettere a dura prova il morale di una persona. Nonostante in quel periodo svolgessi il mio compito con molto impegno e spirito di sacrificio, ero demoralizzato di quanto accaduto. Erano le mie prime esperienze, al mio primo reparto. Mi era stato assegnato, terminato il corso allievi finanzieri, conseguito presso la Scuola Alpina della Guardia di Finanza di Predazzo. Avevo memorizzato e assimilato tutti gli insegnamenti ricevuti ed ero fiero di metterli in pratica con grande volontà serietà, onestà, spirito di sacrificio, voglia di fare, di emergere, di rendermi utile sapendo che avevo una missione da compiere per la salvaguardia degli interessi dello Stato e della collettività. Uno pensa, nonostante ti trovi ad operare tra mille difficoltà, ti imbatti poi in situazioni alle quali non sei responsabile ma vieni tirato dentro, come se lo fossi tu a causarlo, capisci che qualcosa non quadra.
Per questi motivi, mi sarebbe stato di gradimento essere avvicendato in altra sede, meno problematica di quella in cui mi trovavo.
Per fortuna questo avvenne. Poco tempo dopo ottenni il trasferimento. Questa volta in una sede più tranquilla. In effetti ebbi modo di constatare con mia grande soddisfazione di trovarmi in un ambiente molto diverso e distensivo dove il servizio veniva svolto con più serenità e più tranquillità.

Spalloni con carico di bricolle

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