Sfilata del 5 luglio

Preparazione alla sfilata del 5 luglio

Importante era la sfilata che avremmo dovuto fare il giorno della festa del Corpo che a quel tempo si festeggiava il 5 luglio, poi venne cambiata al 21 Giugno.
In quella occasione tutto il Corso doveva essere trasferito a Roma. L’equipaggiamento previsto era: tutta bianca, scarponi, sci in spalla, zaino, cappello alpino e l’armamento previsto per la circostanza. Immaginatevi al caldo del mese di luglio.
Il Battaglione Allievi costituito dalle tre compagnie : “La Vecia”, “La Fil de Fer” e “La Npiota”, ha raggiunto, con metodica puntualità, dopo quasi sette mesi di corso un grado di addestramento formale più che buono anzi direi ottimo. Ci muoviamo con sincronismo perfetto, e capiamo al volo gli ordini che ci vengono impartiti: “Avanti March, uno due, dietro front, dest riga, front sinist, ecc. ecc.” Gli istruttori sono soddisfatti ma non lo danno a dimostrare, però lo si capisce dal loro atteggiamento che un buon lavoro è stato fatto.
Dobbiamo però essere a Roma con un certo margine di anticipo dalla data della cerimonia questo perché si devono fare delle ultime prove in loco, proprio per non commettere errori. Tutti noi ci teniamo fare una bella figura, dall’ultimo degli allievi, agli istruttori e al Comandante della Scuola, tanto da sbalordire il pubblico che avrebbe assistito alla cerimonia. Il viaggio in treno non è tra i migliori: carrozze di III classe con sedili in legno, Si viaggia tutta la notte per essere al mattino a Roma. Ma si sopporta con allegria e spensieratezza, l’euforia che ci prende ci fa dimenticare i disagi del viaggio.
Ci comunicano che ci avrebbero fatto alloggiare presso una caserma dell’esercito occupata da soldati di leva dislocata in località “Pietralata”, una zona o quartiere di Roma. La specialità d’arma di questi militari è quella dei Granatieri di Sardegna: gente che come minimo deve avere un’ altezza non inferiore al metro e ottanta centimetri. Alcuni di noi, me compreso, sembriamo dei nanetti al loro cospetto. Ho pensato che questa sede avrebbe dovuto essere molto grande per accogliere un intero battaglione composto da circa trecento persone: allievi ed istruttori.
Ricordo, come fosse ora, di un fatto accaduto che fece sbellicare dalle risate tutti noi ma con le mani sul muso, per non farci notare dagli istruttori ma anche loro, del resto, non poterono trattenersi dal non ridere senza farsi notare. Premetto prima un particolare. Dove eravamo sistemati, come anticipato prima, si trattava di una caserma dell’Esercito e non una delle nostre. Questa era adibita ad alloggiare soldati di leva. A quel tempo tutti dovevano effettuare il servizio militare a meno di non essere volontari come noi i quali avevano scelto di far parte principalmente nei Corpi di Polizia, dei Carabinieri o Guardia di Finanza. I soldati non erano volontari come noi ma persone obbligate dalle leggi in vigore a prestare il periodo di «leva» che in gergo veniva chiamata “Naja”. Per cui, in quell’ambiente, era praticato il famigerato “nonnismo”. Detto in poche parole, questa specie di regola non scritta consisteva nel compiere determinate vessazioni, dispetti, angherie, scherzi pesanti, da parte dei soldati anziani i cosiddetti “nonni” alle giovani reclute nuove arrivate. Questo accadeva perché vi era un avvicendamento delle classi di leva e pertanto ci si trovava con elementi più giovani e meno giovani; gente che era alla scadenza della leva “i nonni”, mentre altri lo iniziavano. Ad esempio venivano nascosti gli indumenti al punto di non poter uscire dalla camerata e andare a fare le attività quotidiane, facevano ritrovare il letto in disordine dopo che al mattino le reclute lo avevano sistemato, oppure venivano chiuse nei bagni, dentro gli armadi o gli facevano fare la doccia solamente con l’acqua fredda. Uno scherzo abbastanza usuale era subire dei “gavettoni”. Andava bene se erano solo d’ acqua, ma a volte non lo era. Il gavettone non era altro che un recipiente riempito di liquido che veniva rovesciato addosso al malcapitato a sua insaputa, A volte non era solo acqua ma ben altro. C’erano dentro tutte le porcherie che si potevano mettere dentro un secchio e via di questo passo.
Nel nostro ambiente non accadevano queste cose perché innanzi tutto eravamo volontari e tutti insieme avevamo iniziato un Corso e pertanto queste pratiche non venivano applicate, per fortuna! Purtroppo, invece, nella caserma che ci alloggiava vigeva questo comportamento. Ci avevano avverti di stare attenti a questo genere di scherzi. Per farla breve, e ritornare alla nostra sistemazione, eravamo in attesa che ci assegnassero i posti letto. (brandine a forma di amaca), mi chiedo come facevano persone alte un metro e ottanta riposare in quei letti. I nostri della Scuola erano molto meglio.
Ritornando al curioso episodio che sarebbe accaduto; questo ha come protagonista uno dei nostri ufficiali. Era un giovane tenente, che da sotto un porticato gridava ordini a destra ed a manca, non stava fermo né zitto un momento. Ancora eravamo inquadrati e dovevamo sopportare le “manfrine” di questo ufficiale che con la sua bella uniforme, tutto impettito ed arrogante, non finiva di sbraitare, quando ad un certo punto vediamo piombargli addosso una scarica di robaccia nera e liquida, non so di cosa, ma certamente non era acqua di colonia, che lo ammutolì di colpo. Stette diversi secondi con la schiena ricurva e con la testa girata per vedere da dove sarebbe arrivato questo classico “gavettone” ma non vide nessuno. Mica scemi gli autori di questa bravata, nel farsi individuare. Noi che assistemmo a questa scena non sapevamo come trattenere la voglia di ridere a crepapelle. Ma cercavamo di non farci notare, sarebbe stato un grosso affronto e grossa mancanza di rispetto verso quel malcapitato tenente che mogio mogio dovette andare in qualche posto a cambiarsi di uniforme. Come volevasi dimostrare, il nonnismo aveva colpito. Chi commise quell’atto fu incurante del rispetto che avrebbe dovuto dare agli ospiti.
Per giorni abbiamo ricordato questo episodio e non eravamo capaci dal non trattenere le risate, anche quando eravamo in esercitazione nelle prove per la sfilata di notte nelle strade di Roma. Si proprio di notte, quale momento migliore, avevano pensato i nostri istruttori, per marciare in ordine di parata ed allenarci in vista della fatidica data del 5 luglio. Queste prove ebbero luogo per una settimana abbondante. Dovevamo uscire completamente equipaggiati come se dovessimo sfilare il giorno della cerimonia per le strade di Roma, dalle due alle tre di notte. Poco traffico e soprattutto ore fresche tenuto conto dell’equipaggiamento che avevamo addosso. Facevamo delle vere e proprie acrobazie a causa delle auto parcheggiate ai lati della strada che ci restringevano l’area di manovra. Gli ultimi della riga a volte dovevano anche salire i gradini delle case vicine ai marciapiedi. Ogni tanto qualche fanalino di auto o specchietto retrovisore veniva sbriciolato dai colpi degli sci che andavano a sbattere sulle carrozzerie di queste autovetture. Si inciampava, si cadeva, parolacce e spintoni a non finire, ma le prove dovevano essere portate a termine. Eravamo disposti in 9 elementi per ogni riga e per 10 file, in tutto 90 persone a fare questa giostra di notte.

Il giorno della sfilata

Sveglia all’alba per essere pronti e non fare tardi. La cerimonia avrebbe avuto inizio alle 11.00, ma come buona norma dell’ambiente militare bisognava essere in zona per tempo. Ad esser sincero sono in dubbio se la sfilata fu eseguita nel vialone XXI Aprile, nei pressi di una delle nostre Caserme o ai Fori Imperiali ma propendo per la prima ipotesi. Per la seconda, di solito si va a sfilare in occasione della festa della Repubblica del 2 giugno.
Tutto andò per il meglio, sfilammo in perfetto ordine, al suono della classica marcia degli alpini, passo lento e cadenzato, “il famoso inno 33”. Il pubblico che assistette non finiva più di applaudire proprio al nostro passaggio. Era un colpo d’occhio vedere questa compagine tutta bianca, muoversi compatta in perfetto ordine. Ancora adesso mi sento i brividi correre nella schiena per l’emozione. Un bel ricordo davvero.

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