Esami

Esami
Il momento è giunto. Oramai le gare sportive hanno avuto termine ed ora è tempo di esami. Si deve dare conto alla commissione del nostro rendimento avuto per tutto il periodo di studi che si è concluso.
Importante questo passaggio per il prosieguo del nostro cammino professionale. Chi ha avuto la costanza di studiare avrà il privilegio di essere ai primi posti della graduatoria finale che inciderà nell’assegnazione del reparto dove l’allievo una volta ottenuto il sospirato grado andrà a fare servizio.
Per formare questa lista c’è un sistema di valutazione che prende il nome di “voto caratteristico“ che se è buono tende ad alzare la media generale dell’esaminato. In genere viene concesso alto a chi si è distinto oltre che alla partecipazione alle gare di fine corso, anche sull’andamento generale avuto dall’allievo: poche punizioni, ubbidienza e rispetto delle gerarchie e dei propri compagni.
Purtroppo io pur non avendo avuto grossi guai disciplinari ma per il semplice motivo di non aver partecipato a nemmeno una gara atletica e il mio scarso impegno negli studi ottenendo voti mediocri nel ciclo degli studi mi viene dato 10/20 come voto caratteristico. Così nella graduatoria finisco al 168° posto su 275 partecipanti al corso.
Chi invece eccelle in questo esame e nel corso di tutti gli studi è proprio il vincitore delle gare di atletica: ancora l’allievo De Palo. Eccezionale, quando è interrogato fa rimanere a bocca aperta sia gli insegnanti che noi allievi. Risponde a tutte le domande, sembra che abbia una memoria di ferro. Ripete pari pari tutto quello che sta scritto nelle sinossi. Si classifica il primo di tutto il Corso Allievi. Da ammirare veramente, ragazzo molto simpatico ed intelligente e alla mano, si prodiga in ogni modo ad aiutare chi si trova in difficoltà nelle varie materie. Nel corso degli anni vengo a sapere che molto probabilmente vince un concorso in Magistratura e quindi lascia il Corpo.

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Gare di fine corso

Le gare di fine corso
I giorni e i mesi trascorrono velocemente. Si avvicinano gli esami di fine corso Allievi ma prima bisogna disputare le gare delle varie discipline: marcia, salto in lungo, in alto, corsa ad ostacoli, 100 e 200 metri piani, gare di palla a volto, il lancio della bomba a mano e altre specialità di vario genere di atletica che sanciranno il vincitore di ogni specialità e con i punteggi conseguiti proclamare quale compagnia sarà la prima.
Credo proprio che siamo noi a ricevere la coppa per il primo premio.
Importantissimo parteciparvi, chi lo fa ottiene un buon “punto caratteristico” così chiamato il quale fa da media con i voti di esame. Per cui chi lo ottiene alto ha il vantaggio di avanzare nella classifica finale, determinante per le assegnazioni.
Qua per me ci sono le dolenti note! Nel senso che non mi sento di partecipare ad alcuna attività sportiva e questo pregiudica il mio esame finale.
Per mia scelta rinuncio alla partecipazione di qualsiasi gara ma ci sono i miei compagni che si fanno davvero onore. Uno in particolare si distingue su tutti: l’allievo De Palo, questo ragazzo infatti riesce a sgominare tutti quanti nelle gare dei 100, 200 metri e staffetta 4×100. Una forza della natura.

gare di fine corso
Gare di Fine Corso
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In libera uscita

In libera uscita
La sera finalmente un poco di respiro. Se non sei incappato in qualche punizione da scontare o comandato di servizi di corvè quali: pulizia straordinaria alle camerate, bagni, corridoi e altro, oppure in servizio di guardia e se ancora ne hai voglia dopo una giornata così intensa, puoi andare per qualche ora in “libera uscita” in giro per Ostia. Sempre che tu sia in ordine con la divisa, barba capelli a posto, scarpe lucide e pantaloni stirati. Prima di uscire devi essere sottoposto a rivista se sei in ordine con tutto quanto puoi andare altrimenti ricevi pure una consegna e devi tornare dentro.
Se non hai voglia di uscire e sei libero da tutti questi impegni la Scuola è ben organizzata per gestire il tempo libero degli allievi. Dispone di un fornito bar, di una sala convegno dove è possibile vedere la televisione oppure giocare a biliardo, calcetto o ping-pong. C’è anche una sala di proiezione per i film. Così ci si può svagare sino all’ora della “ritirata” annunciata al suono della tromba. Dopo di che è necessario intorno alle ore 22:00 rientrare nelle proprie camerate per andare a dormire.
Considerato che in libera uscita devi andare sempre in uniforme, così come previsto dal regolamento della Scuola. Qualcuno di noi, me compreso rischiando sanzioni, se scoperti, prendiamo in affitto una stanza dove poterci cambiare e indossare abiti borghesi. Questo lo si può fare quando riesci ad ottenere un permesso di una giornata che in genere è la domenica. Allora esci, ti cambi e prendi immediatamente la metropolitana e te ne vai a Roma. Ci sono circa quaranta minuti di corsa e finalmente puoi passeggiare nella città eterna mischiato in mezzo alla gente con la certezza di non essere scoperti. Meglio di così, non c’è proprio null’altro da pretendere. Unico inconveniente che può girare a nostro sfavore è il taglio dei capelli. Facilmente riconoscibile dall’essere un militare ma se qualcuno ci fa delle domande in proposito siamo abbastanza evasivi e mai si rivela la nostra vera identità. Almeno la soddisfazione di visitare la città, le sue piazze, le sue vie, i suoi quartieri.
Ho un amico salentino “Alfredo” impiegato al Ministero del Tesoro che condivide un appartamento con un altra persona nel quartiere San Lorenzo a Roma. Diverse volte vado a trovarlo per trascorrere una giornata in compagnia, pranzare insieme per poi uscire e andare a passeggiare o a vedere qualche film.

io in libera uscita ad Ostia
Ostia Lido-Libera Uscita
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Di guardia

Di guardia
Periodicamente c’è anche il turno di guardia. Ogni compagnia deve fornire un’aliquota di allievi per questo tipo di attività che consiste nel controllare il perimetro della caserma nell’arco delle 24 ore. Le sentinelle sono dislocate in vari punti del perimetro. Il cambio avviene ogni due ore. Non ricordo di preciso quanti sono comandati per questo servizio, credo dodici o quindi allievi. Il turno è abbastanza pesante e logorante. Per fortuna è a rotazione di tutto il battaglione e quindi passa diverso tempo prima di effettuarlo di nuovo. Oltre ai vari punti del perimetro della Scuola c’è un luogo che deve essere controllato. All’interno dello stabile vi è una stanza dove è custodita la Bandiera del Corpo e questa deve essere sorvegliata. Due ore di noia, andare avanti e indietro per il corridoio. Il tempo non passa mai e bisogna inventarsi qualcosa per farlo trascorrere. Quando tocca a me i miei pensieri spaziano al di fuori della Scuola. Mi immagino in vacanza al mare nel Salento, con i miei amici oppure a casa con i miei genitori a Marghera, oppure all’ultimo reparto in cui sono stato prima di venire al Corso a far baldoria in paese una volta smontati dal servizio. Ad un certo punto però sento come una voce interiore che cerca di attirare la mia attenzione come se volesse instaurare un dialogo con me.
La Voce: “Non essere così annoiato, cinico e superficiale. perché ti comporti in questo modo? Lo sai cosa stai facendo qui in questo luogo? ”
Rispondo: “Certo che lo so sono qua per due ore a fare da guardia ad un oggetto situato in quella stanza.”
La Voce: “Sai cosa rappresenta quell’oggetto? E’ la Bandiera del Corpo. Dovresti essere onorato di averla qui davanti a te e proteggerla. Essa simboleggia tutto il sacrificio e l’eroismo di molti uomini che in divisa come quella che attualmente indossi hanno perso la vita sia in tempo di pace che in guerra. In pace per proteggere la collettività da azioni criminali commesse da gente senza scrupoli o compiere azioni umanitarie nei confronti di popolazioni colpite da calamità naturali o prodigandosi in azioni individuali, per salvare singoli cittadini da pericoli mortali, non curandosi della propria incolumità, dimostrando un elevato senso di altruismo. In guerra immolandosi fino alla morte nella consapevolezza di fare la cosa giusta per il bene del proprio paese. Come vedi quindi questi atti di coraggio sono simbolizzati attraverso le medaglie di cui è ornato questo oggetto. Ti rammento che questo oggetto, come tu lo chiami, è la bandiera più decorata tra quelle dei corpi di polizia italiani, insignita di 5 Ordini Militari d’Italia, 3 Medaglie d’oro al Valor Militare, 8 Medaglie d’oro al Valor Civile ed altre 44 tra decorazioni e medaglie, italiane ed estere.”
Perbacco che lavata di testa! Questo intimo dialogo avuto con la voce interiore che si protrae sino alla fine del mio turno mi ha dato da pensare a quanti sacrifici gli uomini in divisa hanno dovuto sopportare negli anni per una vita migliore e per il bene del Paese.
Ecco che arriva il cambio. “Tutto a posto” dico all’allievo che mi rileva augurandogli buona guardia e lo saluto. Chissà se anche lui di fronte a quel simbolo sentirà qualche richiamo interiore, chissà… magari domani glielo chiedo, ora vado a riposare.
C’è un luogo in cui il servizio di guardia non mi pesa molto. Questo è l’Arenile. Il lido balneare appartenente alla nostra Amministrazione per dare la possibilità agli appartenenti della G.di F. e loro famigliari di trascorre delle giornate al mare ed in spiaggia. Si deve uscire dalla caserma, prendere l’autobus e raggiungere il posto e trascorrervi la notte. Al mattino si rientra. A me piace perché c’è la possibilità di distendersi su un lettino e riposare fino al mattino successivo.

Bandiera al Lido di Ostia
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Attività ginnico sportiva

Attività ginnico sportiva e corso di difesa personale
Mettersi in tuta da ginnastica per un’ora di attività fisica giornaliera è preferibile che non marciare su è giù per la Scuola anche se quel tipo di addestramento era contemplato nel nostro ordinamento. La Guardia di Finanza è organismo militare e deve sottostare a certe regole.
La Caserma è dotata di una bella pista di atletica leggera, dove si allena il Gruppo Sportivo Fiamme Gialle ma la struttura è anche a disposizione di noi allievi.
Ci viene insegnato anche l’attività di difesa personale. L’istruttore è un brigadiere del Corpo non ricordo se fosse o meno una “cintura nera” ma gli insegnamenti che impartisce sono seguiti con attenzione da tutti noi.

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Addestramento Militare

Addestramento militare
Le prime volte che ci dedichiamo all’addestramento formale che in pratica consiste nel fare piazza d’armi, cioè marciare ben allineati e coperti e recepire immediatamente gli ordini di alt, dietro front, fianco dest, fianco sinist, fronte dest, fronte sinist ecc.ecc. Succede di tutto. Non siamo più abituati a questo tipo di operazioni: da dove si proveniva certo non si faceva piazza d’armi ma bensì servizio d’Istituto. Una delle regole di questo tipo di addestramento è che l’allievo deve essere in grado di guidare lui stesso la compagine, sino al livello di Compagnia, plotone e squadra. Questo approccio provoca appunto malcelate risate da parte di tutti noi, istruttori compresi. I poveri malcapitati che devono condurre gli uomini non sono in grado di dare ordini precisi, così invece di vedere un reparto ordinato ed allineato succede di tutto. Sbandamenti a destra e a sinistra. Ondeggiamenti strani e imprecazioni sia da parte nostra che dagli istruttori.
Come ogni sabato mattina dobbiamo andare nella pineta adiacente alla Scuola per addestramento militare. Nel pomeriggio bisogna, con mia grande noia pulire la camerata e le armi, in quanto è sistematica la visita di un ufficiale istruttore per ispezionare sia l’ordine della camerata che le armi e tutto il corredo in nostra dotazione. Come armamento oltre alla pistola d’ordinanza “Beretta cal.9 corto” ci consegnano anche il fucile mitragliatore Beretta Mab. da tenere sempre ben oleato e pulito pena la ricezione di qualche punizione se non si ottempera a queste incombenze.
Ci viene insegnato anche come guidare le motociclette di 200 cc di cilindrata e alla fine si viene giudicati idonei alla conduzione di questo mezzo con il rilascio di un patentino.

Addestramento a quota “sette” – Lido di Ostia
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In Aula

In aula
Il programma delle lezioni è ben nutrito si passa da materie giuridico-economico-finanziarie a quelle prettamente militari. Abbiamo come insegnanti istruttori sottufficiali e ufficiali del Corpo ed anche professori che provengono dell’ambiente civile.
Questo avviene sia di mattina che di pomeriggio. C’è proprio poco spazio per fare altre cose. Questa attività si dimostra la più importante sotto il profilo della formazione professionale di ogni allievo. Le lezioni si susseguono al ritmo di ogni ora per materia, a volte anche due.
La mia partecipazione, devo riconoscerlo, non è tra le migliori. Ancora non riesco a trovare la concentrazione giusta per dedicarmi anima e corpo allo studio. Trovo ancora difficoltà a smaltire il cambiamento di vita che avevo al reparto e questo modo di procedere. A volte mi estraneo completamente dalle lezioni. Vivacchio, prendo raramente in mano le “sinossi” per andare a rileggere quello che gli istruttori impartiscono durante le loro lezioni. Al punto che una volta riesco anche a farmi un bel “pisolino”, mentre il Capitano La Rocca, comandante la compagnia tiene una lezione di cultura giuridica. Non si accorge del mio stato, pur essendo il mio posto situato nei primi banchi situati entrando a sinistra dell’aula. Con molta probabilità rimango fuori dal suo campo visivo. Mi va davvero bene, rischio molto, non so cosa mi sarebbe successo una volta scoperto.
Il capitano La Rocca è un ufficiale che non spreca le parole. Fisicamente minuto, dai modi pacati, si dimostra profondo conoscitore della materia che insegna. Durante la sua lezione non si sente volare una mosca, tutta l’aula presta attenzione, forse anche perché si esprime con tono di voce molto basso. Per questo ufficiale tutti noi abbiamo un timore reverenziale forse è dovuto al fatto che è anche il nostro comandante di compagnia e quindi ha potere su di noi non solo come insegnante ma anche come responsabile del buon andamento generale. Si deve riconoscere che nonostante il suo serio atteggiamento applica pochi provvedimenti disciplinari. Di questo gli allievi ne sono ben contenti.
Un’altra volta la fortuna non mi aiuta. Ancora c’è la lezione di cultura giuridica impartita questa volta dal supplente del capitano: il tenente Remediani. Questo ufficiale pur avendo frequentato l’Accademia proviene dalla nostra categoria. Prima è stato anche lui sottufficiale poi ha effettuato il passaggio. Chi ha costanza, intraprendenza, voglia di emergere e fortuna può affrontare questo salto di carriera. A volte viene in aula per sostituire il capitano La Rocca. Sembra comportarsi come uno che sta dalla nostra parte, con il suo accento romanesco fa delle battute spiritose mentre spiega la lezione così da tenere alta la nostra attenzione sulla materia che sta spiegando tanto da non renderla noiosa.
Proprio una di queste volte il tenente Remediani invece di mettersi a spiegare gli salta in mente di interrogare. Scorre il registro e dice:
“Oggi interroghiamo Abbaterusso, Ariano e Albarano”. Un brivido mi corre lungo la schiena. Non sono preparato per niente. Come dicevo, le mie sinossi sono ancora integre. Mi limito solamente ad ascoltare le lezioni impartite in aula e mai faccio il ripasso sui libri o sui manuali. Alle domande dell’istruttore mi arrampico sugli specchi, azzardo qualche risposta ma non lo convinco più di tanto. Dopo una breve tortura si rende conto della mia impreparazione e mi rimanda al mio posto con una bella sotto-media. Questo significa un voto scritto in rosso sul registro al disotto dei 20 ventesimi. Se non ricordo male mi affibbiò un nove. Ma non finisce lì, il fatto di aver preso un voto inferiore alla media automaticamente scatta anche una punizione. Credo che mi sia stato inflitto anche qualche giorno di consegna. Una brutta figura davvero nei confronti di tutta l’aula.
Quello che mi fece più arrabbiare non fu prendere il voto basso ma il fatto che anche i miei colleghi interrogati non è che se la siano cavata tanto meglio di me, ma a loro fu risparmiata la sotto-media. Covai questo malumore nei confronti dei miei colleghi per diverso tempo.

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La Fuga

Bellagio
La fuga
Bene, una sera ero libero dal servizio e mi trovavo a bighellonare insieme al collega Calogero (nome questo di fantasia per rispetto della sua privacy) a bordo della sua nuova e fiammante “Fiat 500”, all’epoca era già un lusso possederne una. Ci chiedevamo cosa fare e dove trascorrere queste ore che avevamo a disposizione. Quando eravamo liberi dal servizio uscivamo spesso insieme.
Lui era un ragazzo di origine siciliana che a dire il vero non brillava tanto per coraggio ed iniziativa, minuto nel fisico e con pochi capelli in testa ed a volte con quella sua vocina con timbro più femminile che maschile era anche noioso e petulante, tuttavia gli piaceva la “gonnella” ma era talmente timido che cercava in me sempre un punto d’appoggio. Non è che io brillassi molto in fatto di conquiste femminili ma comunque lui quando era libero sempre chiedeva la mia compagnia per andare a divertirci insieme. Era anche molto superstizioso, al punto di fermare la sua auto all’apparire di un gatto nero da qualsiasi lato gli attraversasse la strada. Immediatamente lui si fermava e tornava indietro, inutili i miei tentativi di convincerlo a desistere dalla sua volontà tentando di spiegargli che un semplice ed inoffensivo gatto non poteva pregiudicare il suo destino. Ma lui non sentiva ragioni di alcun genere, girava la macchina e tornava indietro.
Comunque tutto sommato uscivo abbastanza volentieri e la sua compagnia non mi disturbava, anzi ascoltavo volentieri le sue immancabili battute in siciliano e mi divertiva la sua bramosia di conoscere ragazze. Così tra una battuta sua e uno sfottò mio passavamo la serata.
I nostri colleghi più anziani e smaliziati ci prendevano spesso io giro per la nostra goffaggine nel relazionarci con le ragazze. Ci facevano rimanere a bocca aperta a sentir narrare le loro avventure amorose e le conquiste che facevano ogni volta che uscivano, Uhm! Io credo che bluffassero ma restavamo ugualmente incantati sia io che Calogero ai racconti di questi Don Giovanni. In effetti Bellagio era un posto in cui non era difficile come si dice in gergo “rimorchiare”, cioè fare amicizia con l’altro sesso e specialmente con le turiste straniere, tedesche, olandesi, inglesi, francesi, c’è n’erano per tutti i gusti… !
Bene fatte queste premesse, anche quella sera mentre passeggiavamo in auto, ad un certo punto, gli si para davanti un gatto nero e lui, come di consueto si apprestava a fare la solita manovra di ritorno sui propri passi quando incrociammo una automobile che ci apparve immediatamente come una di quelle adibite al trasporto delle sigarette di contrabbando, condotta da un individuo di nostra conoscenza soprannominato “Faina” (nome di fantasia per dovere di privacy, anche se sono trascorsi oramai tantissimi anni da quell’episodio) la cui attività era quella di guidare autovetture cariche di sigarette di contrabbando.
Mi rivolgo al collega dicendogli: “Calogero hai visto chi è passato? Sicuramente è il Faina e la macchina mi sembra proprio carica”.
Questi autoveicoli erano predisposti per non far apparire esternamente cosa contenessero. Avevano sospensioni rinforzate, all’interno dell’abitacolo non esistevano i sedili per i viaggiatori, erano stati tolti in funzione di quello che dovevano trasportare. Esisteva solo il sedile del conducente e i sacchi di sigarette erano stipati fino al livello dei finestrini per non dare nell’occhio. Anche il baule ne era pieno. Uno che guardava da fuori non vedeva nulla.
Noi comunque ci eravamo abituati a capire queste situazioni, e visto il personaggio, la strada che percorreva, l’orario, l’automobile tipica per quei trasporti, ci convincemmo che era proprio un carico di sigarette di contrabbando che stava prendendo la via di Milano o qualche altra località di smercio.
Calogero risponde: “Porca miseria è proprio il Faina e sono convinto che la macchina è stracarica di sigarette”.
Gli dico: “Dai inseguiamolo e fermiamolo, vedrai che questa volta lo fottiamo..”.
Lui anche se non era un campione di coraggio e anche molto superstizioso, si convince ad effettuare l’inseguimento e gira il veicolo per tornare indietro, la strada era abbastanza stretta, lui mi dice: “Prendi la paletta e vediamo di bloccarlo non appena riesco a superarlo”.
Generalmente anche le auto private erano dotate della cosiddetta “paletta” che serviva per intimare l’Alt, alle autovetture quando facevamo il controllo sull’osservanza delle norme del Codice Stradale, inoltre anche se eravamo liberi dal servizio, dovevamo portare sempre con noi la pistola d’ordinanza.
Teoricamente essere liberi dal servizio non era esatto, poiché il nostro regolamento ci obbligava ad essere sempre in servizio 24 ore al giorno con obbligo di intervento di fronte ad atti illeciti perseguibili a termini di legge.
Detto questo, Calogero si accoda alla macchina del Faina, che fino a quel momento ancora non si era accorto di nulla ed al primo momento favorevole lo sorpassa. Io metto il braccio fuori dal finestrino e con la paletta gli intimo l’Alt. La macchina si ferma, anche noi ci fermiamo, Calogero rimane a bordo della sua cinquecento. Io scendo e mi avvicino lentamente, al veicolo e faccio per intimare al Faina di scendere.
L’adrenalina era salita al massimo, sia Calogero che io, eravamo tesi come due corde di chitarra. Questi tipi di interventi sono abbastanza complicati nel loro svolgimento e non sempre vanno a buon fine, invece di farsi prendere dall’agitazione che attanaglia in quei momenti, bisognerebbe avere calma e sangue freddo. Ma non sempre è così. Normalmente i soggetti che compivano questi viaggi con gli autoveicoli non erano aggressivi, solitamente se potevano si davano alla fuga, abbandonando il carico illecito, non reagivano, ma l’imprevedibile era sempre in agguato e bisognava stare con gli occhi bene aperti.
Ero arrivato ormai all’altezza dello sportello del lato guidatore e mentre cercavo di ordinargli di scendere dal veicolo improvvisamente. Il Faina, riconoscendomi, innesta rapidamente la retromarcia e sgommando si allontana rapidamente percorrendo quasi un centinaio di metri all’indietro, poi trovato uno spazio abbastanza largo gira la macchina e si allontana velocemente. Io faccio per inseguirlo a piedi, ma vista l’impossibilità di raggiungerlo e preso dalla rabbia, metto mano alla pistola d’ordinanza, una Beretta calibro 9 ed esplodo due colpi in aria. Chissà cosa volevo ottenere con quel gesto. Col cavolo che il Faina si è fermato, nonostante il mio intervento. Tutto si è svolto in un attimo, ed in un attimo tutto è svanito, ma io resto pietrificato, e mi sembra di stare lì da un’eternità rimuginando su quanto accaduto e sul fatto di non essere stato capace di effettuare il fermo.
Nel frattempo si avvicina Calogero, il quale anche lui sconsolato e con una tipica battuta siciliana, esclama: “Minchia, eravamo partiti per fotterlo, invece lui ha fottuto noi”.
Per alcuni minuti restiamo senza parole, poi mestamente entriamo nella cinquecento e ce ne torniamo in Caserma a stendere un rapporto su quanto accaduto.
Avevamo anche una certa apprensione, di qualche risvolto disciplinare, in quanto io avevo fatto un uso delle armi alquanto improprio.
Comunque passano i giorni ed ancora non ho notizie spiacevoli nei mie confronti in fatto di provvedimenti disciplinari. Ma un giorno, in occasione dell’ispezione periodica al nostro reparto effettuata dal comandante della compagnia di Menaggio, durante il pranzo esordisce verso di me dicendo: “Mi è giunta voce che qualche giorno fa vi è sfuggita un’ autovettura carica di sigarette di contrabbando e che tu hai estratto la pistola ed hai esploso dei colpi in direzione della vettura colpendo il fondo della stessa”.
Al che io mi sono risentito e mi sono difeso giustificandomi dicendo : “Si, ho sparato, ma i colpi sono stati esplosi in aria e mai addosso a qualcuno le notizie che le hanno riferito sono prive di fondamento”.
Chissà perché le informazioni che viaggiano di bocca in bocca poi sono sempre distorte e non corrispondono alla realtà dei fatti accaduti. Evidentemente c’è sempre qualcuno che vuole farti del male.
Per fortuna l’ufficiale credette alle mie parole e nessuna azione disciplinare fu presa nei miei confronti.
Questo per me è stato un grande insegnamento in altre occasioni simili mi sono guardato bene dall’estrarre l’arma e sparare. Ho preferito piuttosto lasciar perdere il carico di contrabbando per l’impossibilità di fermarlo con i mezzi normali di cui disponevamo. Quindi per evitare queste spiacevoli occasioni, mi sono guardato bene di ripetere l’errore di estrarre l’arma ed esplodere dei colpi così solamente a scopo intimidatorio.
Dopo quell’increscioso episodio altre volte mi sono trovato ad effettuare fermi di autovetture cariche di T.L.E. (Tabacco Lavorato Estero), ma io non ho più fatto uso delle armi. La lezione mi era ben servita. Utilizzavamo altri mezzi di contrasto che il regolamento ci imponeva di adottare e tutto andò per il meglio. Spesse volte si usciva per questi servizi con le automobili private, per chi le possedeva, proprio per non essere riconosciuti. Il collega Cirillo (altro nome di fantasia), aveva rimesso in sesto una vecchia topolino (vedi foto) che molto spesso veniva adibita per azioni di contrasto. Se le auto cariche di sigarette di contrabbando. non si fermavano al posto di blocco, noi comunicavamo via radio agli altri colleghi situati qualche centinaio di metri più avanti in modo che avevano il tempo di gettare attraverso la strada la “catena chiodata” (strumento legale e approvato dalla legge per azioni di contrasto specialmente in materia di contrabbando, così che l’auto quando passava sopra, bucava tutte le gomme ed era costretta a fermarsi.
La mia vita al reparto quindi era scandita da queste attività e procedeva regolarmente fino al giorno in cui ricevetti l’ordine che dovevo lasciare Bellagio per raggiungere la Scuola Sottufficiali. Nel pur breve, ma intenso periodo di mia permanenza in quello splendido posto, ero riuscito a fare due cose importanti per il prosieguo del mio cammino di vita. Prendere la patente di guida e vincere il concorso per la Scuola. Non faccio per vantarmi, ma avevo conseguito ex-equo con un altro collega il punteggio più alto nello svolgimento della prova scritta di italiano di tutta la Legione di Como.
Così con mio grande rammarico arrivò il giorno del mio commiato da Bellagio, ripromettendomi tuttavia, non appena possibile di ritornarci, come in effetti ho fatto. Ancora adesso infatti, quando posso riesco a fare una capatina e rivedere quel luogo bellissimo che sempre ricordo con una punta di dolce nostalgia.
In onore di questi luoghi incantevoli cito a braccio un passo del Manzoni, chiedendogli perdono se le parole non sono proprio esatte come lui le ha immortalate nella sua opera. “Addio monti sorgenti, dalle acque ed elevati al cielo, cime ineguali, note a chi è cresciuto tra voi ed impresse nella sua mente non meno che lo sia l’aspetto dei suoi più familiari torrenti…..”

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Bellagio-articolo

Bellagio
Un comune di 3.820 della provincia di Como in Lombardia . Appartiene alla Comunità montana del Triangolo Lariano ed il suo territorio rappresenta uno dei vertici ideali del Triangolo Lariano.
Un giorno navigando per la Rete, qualcuno mi ha fatto memoria di un bellissimo posto in cui ho passato un breve ma intenso periodo della mia vita facendomi decidere di scrivere queste righe in omaggio a questa stupenda località ma andiamo con ordine.
Ho trascorso circa due anni di rischioso, gravoso, allucinante servizio in un posto terribile sotto ogni aspetto. L’ambiente operativo era molto ostile e la dislocazione logistica, impossibile. I componenti del reparto, una ventina circa erano stipati in sole due camerate e si dormiva in letti a castello. I locali erano veramente orrendi eppure nonostante tutte queste disfunzioni, facevamo il nostro dovere, impegnati in diuturni e impegnativi servizi a difesa della frontiera reprimendo operazioni di contrabbando tra la Svizzera e l’Italia. Come prima esperienza di reparto certo non fu esaltante, a tal punto che pensai che se la vita nel Corpo fosse stata sempre così, dopo aver fatto il periodo minimo di ferma di tre anni mi sarei congedato.
Non è di questo che voglio narrare in questo mio scritto ma della nuova sede che mi era stata assegnata in una ridente cittadina del lago di Como. Su questa mia nuova destinazione devo molto anche all’aiuto mio padre.
Dopo una sua visita compiuta in quel luogo così disastrato e constatato il disagio da me patito si rese conto che era necessario intervenire presso le sedi opportune e far valere, al posto mio, il sacrosanto diritto ad essere avvicendato. Se la memoria non mi inganna era previsto infatti che dopo un periodo, di circa 9 mesi di permanenza in zone così disagiate, avevamo la possibilità di essere assegnati in sedi meno impegnative sia sotto l’aspetto del servizio che sotto l’aspetto ambientale. Invece io mi trovano là da quasi tre anni, non ho voluto mai far valere quello che mi spettava, sembrava proprio che avessero smarrito la mia matricola e si fossero dimenticati di trasferirmi. Mio padre invece si prodigò per me e come per magia, dopo circa una quindicina di giorni dal suo interessamento, mi arriva un bell’ ”ordine di trasferimento” nel quale mi veniva assegnato come reparto una caserma situata nella ridente cittadina di Bellagio soprannominata la “Perla del Lago di Como”.
Questa è una località stupenda che fa da spartiacque tra il ramo di Lecco e quello di Como del lago omonimo. Centro turistico di prim’ordine frequentato specialmente in estate da molti turisti stranieri e non. Con le sue ville i suoi palazzi e i suoi alberghi. Un luogo davvero incantevole dove poter trascorrere una bella vacanza ed a maggior ragione, svolgere il mio lavoro con molta meno apprensione.
Il paesaggio è affascinante, non ti stancheresti mai di ammirarlo, l’azzurro del cielo e quello del lago e lo sfondo delle montagne, innevate per la maggior parte dell’anno rendono il posto una favola. Nel periodo di aprile-maggio tutt’intorno è un tripudio di colori, la fioritura delle azalee ricopre il paese di stupende tonalità.
Dalla parte ovest e cioè dal ramo del lago di Como, esiste un molo d’imbarco del traghetto che ti porta alla sponda opposta e di fronte si vede ad occhio nudo la cittadina di Menaggio e dietro le sue montagne già si prefigura il confine con la Svizzera. Dal ramo di Lecco altri paesini, descritti stupendamente da Alessandro Manzoni nel suo romanzo capolavoro “I Promessi Sposi”, costeggiano la costa.
In questa mia nuova assegnazione quindi mi attendevano incarichi di servizio ugualmente importanti ma svolti con più serenità, confortato anche dal bell’ambiente che mi circondava mi accingevo a cambiare sede molto volentieri suscitando anche l’invidia dei mie colleghi. La località era molto apprezzata sia dal punto di vista lavorativo che ambientale. La gente locale era molto cordiale e disponibile.
Ricordo ancora perfettamente il giorno che lasciai il vecchio reparto, salutando con una punta di malinconia i colleghi con i quali avevo condiviso con loro anche momenti belli nonostante le condizioni veramente pessime in cui dovevamo operare. Sembra proprio che più si vive male più si riesce a legare in amicizia e solidarietà con le persone con le quali quotidianamente sei in contatto e che fanno il tuo stesso lavoro.
Nel tragitto che mi portava al nuovo reparto dovevo passare per la città di Como, lì cambiare autobus e prendere la linea che mi avrebbe condotto direttamente a destino. La strada che si dipana da Como a Bellagio mostra un paesaggio da sogno: nelle belle giornate si vede l’azzurro del cielo che si fonde con quello del lago, il verde dei boschi, si vede scorrere l’acqua dei ruscelli, tutt’intorno si possono ammirare bellissime ville adagiate sui pendii.
All’epoca qualche sigaretta la fumavo, ne accesi una e mentre ammiravo il panorama il mio pensiero si focalizzava al fatto di quanto ero stato fortunato nell’aver lasciato alle mie spalle, un periodo della mia vita abbastanza triste.
Al mio arrivo a destinazione sono stato messo subito a mio agio, il comandante era una persona magnifica, disponibile in tutto, i nuovi colleghi anche e mi accolsero molto benevolmente, chiedendomi il mio reparto di provenienza. Quando io dissi da dove venivo, fecero una smorfia di disgusto, conoscendo appunto il luogo e mi confortavano dicendomi che a Bellagio era tutta un’altra cosa e che presto avrei dimenticato quei luoghi così tristi.
La mia sistemazione in questo nuovo posto era più che dignitosa, mi assegnarono in una cameretta a due posti letto, quindi ero in compagnia solamente con un altro collega. Ognuno di noi aveva l’armadio personale dove finalmente potevo appendere i miei abiti. L’organico non superava mai le 4 o 5 unità. Il comandante e un altro collega sposato alloggiavano fuori dalla caserma. Era come trovarsi in famiglia, e tra di noi, si era instaurato un buon rapporto di amicizia e confidenzialità. Io ero molto felice di questa situazione.
Nei momenti di libertà dal servizio, ci trovavamo, specialmente nel periodo estivo un paese turistico da assaporare, i divertimenti non mancavano, il lido, le sale da ballo, le turiste e alla bella età di anni venti. Queste cose non dispiacevano davvero. Una sola cosa che poteva essere negativa era quella che con tutte queste distrazioni che si presentavano non riuscivo ad arrivare a fine mese con il mio stipendio a differenza del precedente reparto dove invece potevo risparmiare qualcosa da inviare a casa sotto forma di bollettini postali, che la mia famiglia meticolosamente metteva da parte per farmi trovare un bel gruzzoletto al mio ritorno.
La vita di reparto in sintesi era scandita principalmente da diverse attività.
Servizio di “casermiere”, che consisteva nell’essere impiegato giorno e notte in diverse mansioni. Far da mangiare a tutti i componenti. In quell’epoca non era previsto che nelle nostre caserme i civili si occupassero del vitto per noi e quindi dovevamo provvedere in proprio. Ma era anche piacevole al mattino uscire e andare in paese, come una brava donna di casa , con la nota delle cose da comprare, fermarsi un attimo al bar, prendere un caffè, scambiare quattro chiacchiere con le persone del luogo e commentare sul fatto che noi finanzieri dovevamo in proprio preoccuparci di confezionare il vitto per tutti quelli che erano alloggiati in caserma. La gente mi chiedeva, cosa avrei preparato di buono per tutti i commensali. A dir il vero, io mi arrangiavo a malapena a far da mangiare, ma guardando gli altri colleghi più esperti, qualcosa ero riuscito ad apprendere anch’io, per lo meno non fare il cibo salato o bruciato. Bisognava avere anche fantasia e pensare a cosa avrei potuto fare che fosse di gradimento per tutti. Alcuni erano anche esigenti, altri meno, ma questa mansione che sembrava di poco conto o non proprio esaltante sotto un certo aspetto, incideva notevolmente come incarico.
Servizio di “piantone”. Questo significava che ogni ora dalle otto del mattino alle otto di sera si dovevano effettuare collegamenti radio con la “capo-maglia”, che si trovava nella sede di Menaggio sull’altra sponda del lago, del ramo di Como. Ricevere e trasmettere fonogrammi in chiaro e cifrati. Aprire la porta principale ad ogni persona che entrava nella caserma e rispondere al telefono. Insomma quello che potrebbe definirsi nell’ambiente civile la mansione di “usciere”.
Servizio di Istituto :Reprimere eventuali violazioni al codice della strada. Effettuare ispezioni fiscali a tutte le attività economico commerciali sotto la nostra giurisdizione.
Non c’era proprio di che annoiarsi, ma l’attività maggiormente interessante era il contrasto al contrabbando di sigarette che svolgevamo periodicamente con turni di servizio nell’intera circoscrizione del reparto che abbracciava diversi paesi del circondario di Bellagio.
Proprio su questo ultimo servizio mi soffermo per narrare un episodio accadutomi.
Il territorio di Bellagio era un crocevia di traffico per quel genere di illecita attività che si svolgeva tra la Svizzera e l’Italia. Ad ovest, al di là della sponda del ramo del lago di Como, dietro le montagne troviamo subito il confine svizzero. Da questi luoghi partivano i carichi di sigarette per raggiungere, dopo aver attraversato il lago, le zone limitrofe della cittadina. Qui la merce illecita veniva nuovamente ricaricata in autoveicoli opportunamente predisposti i quali velocemente prendevano la via delle più importanti città per essere smerciata clandestinamente.

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Si inizia

Si inizia
Completati gli arrivi degli aspiranti al corso iniziano le assegnazioni dei posti letto. Io sono inserito in una camerata con altri 20 allievi rispettando l’ordine dei cognomi alfabeticamente.
Se non ricordo male al corso viene dato il nome :
“41° – Montello”.
Viene formato il “Battaglione Allievi” composto da 3 compagnie per 275 partecipanti. Ogni compagnia divisa in tre plotoni, ogni plotone diviso in tre squadre e così via. C’è anche un’aliquota di finanzieri di mare che partecipano anche loro al corso. Quando siamo in vena di scherzi, prendiamo in giro questi marinai, chiamandoli “scarica tavole”, questo è il soprannome che è in uso ai finanzieri di mare. Loro di rimando ci appellano come “scarponi”, ma tutto è fatto con grande correttezza, simpatia e goliardia.
Il comando della Scuola è retto ad un colonnello. Persona severa che pretende molto sia da noi allievi che da tutto il corpo istruttori. L’istituto deve funzionare nel migliore dei modi. Sotto il suo comando viene istituito l’uso di attraversare il piazzale antistante la caserma sempre di corsa in tutte le operazioni della giornata, sia quando si va in aula che quando si va a pranzo e cena. Dobbiamo sempre essere in forma fisica prestante. Alla nostra età, si può sopportare.
L’allievo Aureli conosciuto proprio il giorno del mio arrivo viene nominato “capo corso” in considerazione della sua anzianità. Questo significa che ha la responsabilità del buon andamento delle operazioni quotidiane degli allievi ed è il tramite con i superiori per ogni comunicazione o altro che perviene alla nostra Compagnia.
Ci informano che la nostra permanenza al Lido di Ostia si svilupperà nel seguente modo:
• nove mesi circa di studio ed attività militari-ginnico sportive, a conclusione delle quali ci saranno le gare di atletica per tutto il Battaglione e gli esami finali per il corso Allievi;
• un mese di campo estivo per addestramento militare;
• un mese di pratica di comando da effettuarsi presso vari reparti del Corpo;
• giuramento e per i promossi agli esami la consegna del grado di vicebrigadiere;
• licenza finale e al rientro della quale inizierà il corso per i vicebrigadieri.
Una novità, questa seconda fase, infatti viene istituita proprio in questo corso. Il motivo è per preparare l’attività del Corpo in previsione della riforma tributaria degli anni 70. Passaggio dall’Imposta Generale sull’Entrata all’Imposta sul Valore aggiunto. Modifiche anche alle Imposte Dirette.
Sono proprio scalognato, già da quando sono entrato alla Scuola Alpina. Prima il corso durava 6 mesi, arrivo io e lo portano a 9 mesi. Ad Ostia prima del mio arrivo erano 9 mesi adesso viene raddoppiato. Non c’è male. Con rassegnazione devo sorbire tutte queste novità.
La nostra uniforme di finanziere viene arricchita con due filetti dorati cuciti a fianco delle mostrine, che poi sono le nostre fiamme gialle. Questo per confermare lo stato di “Allievo Sottufficiale”. La divisa quindi si completa anche con l’uso di guanti bianchi che devono essere indossati quando si esce in libera uscita.
Ci conducono al magazzino vestiario dove ci viene fornita una dotazione completa di capi di abbigliamento da usare per ogni occasione, tute da ginnastica, tute da lavoro, da combattimento, divise estive ed invernali, biancheria, calze, scarpe, scarponi. Non c’è che dire, davvero un buon equipaggiamento. Nel frattempo mi arriva il baule spedito da Bellagio, così ho modo di riordinare per bene le mie cose.
Ci forniscono di tutto il materiale occorrente per lo studio delle materie:
libri, codici, sinossi. Nel gergo militare si definiscono “Sinossi” i testi utilizzati per l’apprendimento delle varie discipline di insegnamento previste dal programma didattico.
La nostra giornata è scandita da ritmi precisi. A seconda della stagione, la sveglia viene effettuata alle 06.30 in estate e alle ore 7.00 d’inverno. Ci si deve alzare e andare a dormire al suono della tromba. Al mattino dopo le operazioni attinenti la pulizia personale, mezz’ora circa, tutte le compagnie devono trovarsi in piazza d’armi, per la cerimonia dell’alza bandiera. Poi si può andare a fare colazione sempre in ordine di squadra, plotone e compagnia. Mezz’ora per la colazione e poi subito in aula per gli studi. Un’ora dedicata ad esercitazione fisica o alternativamente ad addestramento formale nella piazza d’armi. Dobbiamo saper marciare e anche saper guidare il plotone e la squadra imparando gli ordini del caso.
Mi sembra di ritornare ai tempi della Scuola Alpina, ma qui il trattamento che viene dato agli allievi è molto diverso. Si pretende molta più precisione ed è tutto più freddo e distaccato da parte degli istruttori sia sottufficiali che ufficiali.
La disciplina è veramente rigida. Io prendo tre giorni di punizione per non aver sistemato il mio posto letto, al momento della sveglia mattutina. La regola è che prima di andare a lavarsi bisogna disfare la brandina per far prendere aria alle lenzuola e una volta ritornati dai bagni rifare il letto come ci è stato insegnato, tutti allo stesso modo, e rimettere in ordine la propria postazione. Malauguratamente un giorno tralascio questa incombenza e mi trovo punito con la seguente motivazione: “Tre giorni di consegna per non aver arieggiato gli effetti letterecci”. Ispezione effettuata di sorpresa da uno dei nostri tenenti comandanti di plotone…sigh! Il tenente Taurino. Lui è il comandante del 1° plotone al quale io appartengo. Questo ufficiale è abbastanza volubile e pignolo, ha la consegna facile, ci dobbiamo guardare bene dal non commettere stravaganze in sua presenza. Insegna “Imposte di Fabbricazione”.
Non ci è permesso di dissentire, recriminare o contestare l’operato degli istruttori. Tutto quello che ci viene imposto deve essere eseguito senza discutere pena qualche punizione. Tuttavia nonostante tutta questa disciplina lentamente si riesce a capire il funzionamento dell’Istituto e si accetta di buon grado la situazione.
A differenza della Scuola Alpina dove tutti provengono dall’ambiente civile, qui gli allievi giungono da tutte le parti della Penisola isole comprese e ognuno di noi porta il bagaglio di conoscenze acquisite nei distaccamenti, nelle brigate, nelle tenenze, nelle compagnie, nei gruppi e nelle legioni. Chi ha fatto servizio ai confini, chi ai porti, chi ai valichi di frontiera, chi all’interno del territorio. Questo è anche positivo che oltre agli studi fatti in aula si può apprendere anche a livello pratico facendo tesoro delle esperienze di questi finanzieri. La mia camerata è un crogiolo di dialetti, siciliano, toscano, veneto, emiliano, piemontese, ligure, lombardo, ecc.ecc.
Comincio a conoscere i miei compagni prima quelli di camerata più vicini di branda : Albarano, Ariano, Angeletti, Angelucci, tutti cognomi che iniziano con la lettera “A”. Nella camerata, composta da 20 letti si arriva fino alla lettera “D”: De Nadai, De Paolo ecc., gli altri faccio fatica a ricordarmeli. Ci vorrebbe il famoso “Numero Unico” sorta di diario che viene pubblicato a fine Corso dove sono inserite le azioni più importanti dell’attività svolta alla Scuola con inserito l’elenco di tutti i partecipanti. Sfortunatamente questo libro l’ho smarrito. Chissà dove l’ho posato! Per fortuna invece ritrovo un vecchio album nel quale sono riportate fotografie che, scorrendole è come aver tolto una patina di polvere dalla mia mente e mi aiutano a descrivere con più attenzione quanto è accaduto alla Scuola.
Comincio anche a conoscere quelli delle altre squadre e plotoni. Ci ritroviamo tutti i giorni in aula, la Compagnia di cui faccio parte è al completo e durante le pause tra una lezione e l’altra ci scambiamo le nostre impressioni.

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